Una riflessione
concreta sull’orientamento studentesco dei Giovani comunisti
Di Alessio
Marconi (documento 2 alla conferenza GC Lottare, occupare, resistere)
Dal movimento
che ha scosso l’intero sistema dell’istruzione pubblica nell’autunno
del 2008, questa conferenza è il primo momento di confronto generale
che abbiamo a disposizione come compagne e compagni dei Giovani comunisti
su quale debba essere il ruolo, quale il programma, quale la tattica
della nostra struttura nella lotta per il diritto allo studio. E finalmente!
Chi ha guidato l’organizzazione in questi anni, ancor prima di far passare
le linee che ne hanno minato la crescita e il radicamento, si è assicurato
di non incorrere mai nell’inconveniente di una discussione democratica
che potesse dare voce e un orientamento organico ai compagni che militano
ogni giorno nei luoghi di studio. Il primo auspicio che possiamo fare
è quindi che questo non si ripeta mai più: un’organizzazione comunista
per poter vivere e lottare ha bisogno del dibattito come dell’ossigeno;
garantirlo, pretenderlo è diritto e compito di ogni compagno, oggi
come in qualunque momento della vita dell’organizzazione.
La situazione
che ci è consegnata non è certo delle migliori: i Giovani
comunisti hanno perso molto del radicamento che avevano fino a qualche
anno fa nel movimento studentesco, ci ritroviamo in molti casi a dover
reimpostare il lavoro da zero, o da sotto zero laddove il nome dei Giovani
comunisti e di Rifondazione è legato nella memoria degli studenti alla
politica governista che ci fa accomunare né più né meno agli altri
partiti, con in più l’idea non esattamente positiva che la maggioranza
dei giovani ha sui “comunisti” , frutto di un arretramento ideologico
che rincorre e a volte supera quello dei rapporti di forza reali nella
società.
Ogni compagno
che milita quotidianamente nelle scuole e nelle università sa
bene quali sono le difficoltà a sviluppare un intervento, quanto
sia forte la corrente contro cui dobbiamo nuotare. Eppure, nonostante
la difficoltà della situazione in cui si trova la nostra organizzazione,
la crisi del capitalismo rende più sottile il muro da rompere perché
numerosi studenti possano prendere in mano la propria vita, decidendo
di costruire al nostro fianco lo strumento della propria emancipazione.
Il problema che ci tocca primariamente allora è proprio capire quale
sia lo strumento, che allo stesso tempo ci serve per rompere questo
muro e da offrire a chi ci rivolgiamo. Con questo, e non con altro,
devono confrontarsi le posizioni espresse in conferenza.
La prima arma
di ogni organizzazione è il suo programma. Per anni i Gc non si
sono dotati di un chiaro programma di classe in difesa del diritto allo
studio, perdendosi dietro frasi che, facendo del concetto di “autoriforma”
il punto centrale, erano pronte a far passare tutto e il contrario di
tutto, a patto che fosse sufficientemente “suggestivo”. In questo
modo si facevano passare dietro alle espressioni più altisonanti le
linee più moderate. In tutti questi anni abbiamo condotto una battaglia
intransigente perché i Gc si dotassero di una piattaforma rivendicativa
all’altezza della battaglia che devono combattere: l’abolizione di tutte
le controriforme dell’istruzione dall’Autonomia Scolastica e universitaria
in poi, l’accesso gratuito ad ogni livello di istruzione, l’abolizione
dei numeri chiusi, l’immediato raddoppio dei finanziamenti all’istruzione
pubblica, i libri in comodato d’uso, la democrazia nelle scuole e nelle
università sono alcune delle parole d’ordine che abbiamo sempre spiegato
che l’intero partito doveva adottare. Nel leggere queste rivendicazioni
presenti nel documento 1 non possiamo quindi che essere felici, fuori
da ogni ironia.
Ecco, ci auguriamo
giusto che quando si parla di “protagonismo
studentesco” che va oltre agli “spazi democratici di assemblea e
rappresentanza” e che mira alla “programmazione collettiva di ciò
che si studia e di ciò che viene insegnato, rompendo lo schema gerarchico
che impedisce agli studenti di partecipare, come soggetto collettivo,
alla determinazione degli indirizzi didattici” non si stia poi cercando
di lasciare socchiusa una finestrella sul retro per l’autoriforma cacciata
dalla porta.
Senza soffermarci
ulteriormente su quanto possano essere nocivi spifferi del genere, passiamo
al problema vero: come possiamo portare avanti questo programma nella
pratica, tanto più in un contesto difficile come quello attuale?
Qui confessiamo
di avere qualche problema a comprendere la proposta del primo documento:
dovremmo “incentivare il
percorso politico dell’Onda, indirizzandola verso una ricomposizione
delle subalternità”. Se ricomposizione delle subalternità significa
genericamente combattere le disuguaglianze è dura non essere d’accordo,
ma ci pare un concetto un po’ vago. Cosa significa invece incentivare
il percorso politico dell’Onda? Vuol dire che l’Onda è stata in tutto
e per tutto ciò di cui c’era bisogno e che i Gc devono dare gambe a
quell’esperienza prendendola così com’è? Ma questo non spiega perché
l’Onda non ha vinto (e che non abbia vinto è un dato incontrovertibile)
e ci metterebbe al servizio di una causa persa. Ancora, cosa vuol dire
incentivare il percorso politico dell’Onda più di un anno dopo che
l’Onda si è arenata? Esiste ancora un percorso politico dell’Onda?
Se sì, cos’è? Crediamo che l’Onda sia stata qualcosa di troppo importante
per essere semplicemente evocata come spirito protettivo: se vogliamo
essere davvero utili a chi fece vivere quella lotta e alle lotte future
dobbiamo comprendere lucidamente i punti di forza ma anche i limiti
di quell’esperienza. Il primo fu, guarda caso, la mancanza di una piattaforma
di lotta.
Ecco come un
problema teorico cade nella prassi politica: potevano i Giovani comunisti
far sì che l’Onda facesse proprio un programma di classe, efficace,
radicale, chiaro? Dovevano porsi concretamente il problema di fare in
modo che ciò avvenisse? E se sì, come potevano farlo? In queste domande
risiede tutta la differenza fra un programma usato come semplice dichiarazioni
di intenti e uno che sia un obiettivo e strumento reale di una lotta
quotidiana. Non vediamo nel primo documento la risposta a queste domande.
Ci si dice che
i Gc devono sforzarsi “nella pratica dell’internità ai collettivi
studenteschi e ai movimenti dei lavoratori della formazione”. Certo,
ci mancherebbe solo che i Gc non stiano nei processi di lotta! Ma come
ci stanno? Per fare cosa? Con quali proposte? La proposta finale, risolutiva
del primo documento è questa: “Il nostro scopo non deve essere quello
di replicare in ogni realtà la stessa struttura, bensì quello di mettere
in relazione tra loro – attraverso la definizione di una rete dei
soggetti in formazione – tutte le realtà di movimento (collettivi,
strutture territoriali dei sindacati studenteschi, circoli di partito)
nelle quali le nostre compagne e i nostri compagni operano.”
Senza soffermarci
troppo sul fatto che, se non vogliamo teorizzare
la completa identificazione tra movimento e partito, un nostro circolo
è ancora cosa diversa da una struttura di movimento, ci pare che come
proposta la “rete dei soggetti in formazione” non sia la soluzione
ai problemi del movimento studentesco italiano, né a quelli del radicamento
studentesco del nostro partito. Lo dimostrano, ancor prima dei nostri
argomenti politici, anni e anni di lotte studentesche in cui abbiamo
visto riproporsi, una dopo l’altra, reti su reti: ogni volta si propone
una rete che crolla non appena le lotte si esauriscono.
I Giovani Comunisti
non possono essere coordinatori dietro le quinte, e magari in splendido
anonimato, delle reti di movimento. Fosse solo un problema di coordinamento,
non era forse l’assemblea della Sapienza del 15-16 novembre 2008 uno
splendido esempio di messa in rete delle lotte e della maggioranza dei
collettivi studenteschi attivi in quell’autunno? Eppure non ha fatto
fare neanche mezzo passo avanti al movimento, anzi, l’ha sepolto sotto
la pietra dell’autoriforma, dell’irrappresentabilità, dell’antidemocraticità.
Nell’Onda i Gc c’erano, si sono messi al servizio del movimento, sono
stati interni ai collettivi, hanno fatto rete. Tutto questo da solo
non è servito, né a noi né al movimento. Ripetere gli stessi errori
porterà agli stessi risultati.
La contrapposizione
allora sta tutta qui: vogliamo dei Gc che forniscono un appoggio esclusivamente
organizzativo e politicamente si accodano alle strutture di movimento,
facendo evaporare la propria piattaforma, o piuttosto dei Gc che stanno
nei collettivi e nelle lotte per far sì che le proprie posizioni permettano
un avanzamento delle lotte stesse? Noi siamo convinti che la linea da
seguire sia quest’ultima. Spiegare pazientemente, come diceva Lenin,
deve essere la nostra parola d’ordine, spiegare le nostre posizioni
con chiarezza e senza remore, senza aver paura di affrontare qualsiasi
discussione, anche la più difficile. In questo senso ogni discussione
sarà al tempo stesso un avanzamento del dibattito e, non dimentichiamolo,
un’occasione di formazione politica per noi stessi:
Qual’è
lo strumento che manca al movimento studentesco italiano per superare
i suoi limiti cronici e al tempo stesso lo strumento migliore attraverso
il quale i Giovani comunisti possono intervenire nelle lotte? Noi crediamo
che questo strumento sia una struttura studentesca nazionale che porti
avanti i punti della nostra piattaforma studentesca, che sia antifascista
e democratica al proprio interno. Una tale struttura potrebbe dare un
contributo fondamentale per coordinare le mobilitazioni a livello nazionale
e al tempo stesso per portare avanti, all’interno delle mobilitazioni,
le proposte più avanzate. Chi ricorda il (basso) livello di democrazia
dell’Onda capisce subito che anche le proposte migliori hanno bisogno
di una forza strutturata alle spalle.
Ma per fare questo,
ci si potrebbe chiedere, non bastano i Giovani comunisti? Il fatto è
semplice ed evidente a chiunque cerchi di costruire un radicamento nella
propria scuola o università: ci sono larghi strati di studenti che
hanno a cuore la difesa dei propri diritti e che sono disposti ad attivarsi
per la lotta in difesa della scuola pubblica ma che ancora non ritengono
utile né corretto entrare nei Gc. Per questo è necessario creare una
struttura nazionale di lotta studentesca che risponda a questa loro
esigenza: un’organizzazione nazionale in difesa della scuola pubblica,
per l’appunto.
Il compito dei
Giovani comunisti in una struttura del genere sarebbe quella di fare
le proposte corrette, spiegare pazientemente come la lotta per il diritto
allo studio si debba legare a una lotta per l’abbattimento del capitalismo
e per la costruzione di un’alternativa socialista. In questo modo potremo,
oltre a concorrere nella costruzione di uno strumento fondamentale per
le lotte studentesche, guadagnare alle nostre posizioni e avvicinare
alla nostra organizzazione tutti quegli studenti di cui saremo in grado
di guadagnare la fiducia nella lotta quotidiana fianco a fianco.
I compagni che
avanzano questa proposta da anni portano avanti l’esperienza del Csp
(Comitato in difesa della scuola pubblica) e del Csu (Coordinamento
studentesco universitario). Il Csp-Csu è l’inizio di una struttura
studentesca nazionale, che raccoglie collettivi studenteschi e universitari
sull’intero territorio nazionale, promossa da Giovani comunisti ma che
raccoglie militanti di altre strutture e, soprattutto, studenti che
non hanno altre forme di militanza politica.
La portiamo ad
esempio, e non certo per una questione di feticismo, ma semplicemente
come inizio di un lavoro che crediamo i Gc dovrebbero fare congiuntamente
nelle scuole.
Basti pensare
che il Csp nasce nel 1998 da una proposta di Bertinotti, che lo propose
per ricostruire un radicamento nelle scuole dopo l’infausta esperienza
del primo governo Prodi. Abbiamo da sempre il vizio di credere che alle
parole debbano seguire i fatti e quindi ci mettemmo a totale disposizione
di quell’esperienza, accorgendoci purtroppo molto presto che per chi
l’aveva proposta erano, appunto, solo parole, e quindi ritrovandoci
da soli a portare avanti questo lavoro.
Oggi come allora
mettiamo a disposizione dell’organizzazione le nostre forze e l’esperienza
maturata in questi anni. Non siamo formalisti: non vogliamo certo proporre
che i Giovani comunisti debbano in ogni scuola o università abbandonare
qualsiasi intervento portato avanti sinora per costruire da zero un
Csp o un Csu. Crediamo anzi che laddove siamo presenti nei collettivi,
o anche in strutture come l’Uds, se valutiamo che il lavoro può dare
i suoi frutti (ma solo se può farlo!) dobbiamo rimanervi; ma, come
dicevamo prima, solo a condizione di aprire e portare avanti con tutta
la tenacia che abbiamo una battaglia perché tali strutture assumano
un programma e dei metodi corretti. Se ci riusciamo, porre il problema
della necessità di coordinarsi in una struttura studentesca nazionale
sarà un passaggio naturale.
Ogni proposta
e ogni linea politica ha il proprio esame nella realtà della lotta
di classe e nei risultati che porta, siano essi positivi o negativi.
Quello che chiediamo ai compagni in questa conferenza è di guardare
lucidamente a quali risultati ha portato la linea tenuta sin qui, e
alla luce di questo di considerare, in primo luogo leggendo i documenti,
con serietà quali proposte possono risollevare la nostra organizzazione,
non su un pezzo di carta ma nel concreto del lavoro quotidiano. Una
volta scelta la linea, sarà compito di ogni compagno giudicare nel
tempo con attenzione e severità i suoi risultati, il suo successo o
il suo fallimento. Ma, se è vero che a molti errori c’è rimedio, è
certo che il problema di quale sarà la linea ufficiale dei Giovani
comunisti dal 22 febbraio non è indifferente.