Intervista a SIMONE OGGIONNI, Coordinatore nazionale dei Giovani Comunisti/e
”Unità radicamento conflitto” sono queste le parole d’ordine della quarta Conferenza Nazionale dei Giovani Comunisti del PRC conclusasi domenica a Pomezia. Un momento fondamentale di confronto e di messa a punto delle linee politiche nazionali ma specialmente una conferenza difficile, la prima dopo gli anni delle batoste che la sinistra ha subito sul piano elettorale, chiamata prima di tutto a decidere le modalità tramite cui ripristinare una struttura fortemente indebolita da una scissione che ha coinvolto una parte importante del gruppo dirigente centrale e numerose/i compagne/i diffuse nei territori.
La IV conferenza Nazionale dei Giovani Comunisti ha visto confrontarsi due documenti quello della componente trotzkista Falce e martello chiamato “lottare occupare e resistere” che ha ottenuto il 24% e quello definito documento unitario che incorporava il resto delle anime del PRC dal titolo “ generazione di sogni” che ha raccolto il 76% raggiungendo il più alto risultato mai raggiunto da un documento nelle conferenze dei Giovani Comunisti.
I 270 giovani delegati provenienti da tutta Italia hanno dopo tre giorni di dibattiti e confronto reciproco sulle questioni che rappresentano i punti di svolta per lo sviluppo sociale ed economico hanno eletto il nuovo coordinamento nazionale, di 50 membri che, riunitosi subito dopo la fine dei lavori congressuali, ha eletto portavoce nazionali dell’organizzazione Anna Belligero (della federazione di Bari) e Simone Oggionni (della federazione di Bologna).
Simone Oggionni la conferenza nazionale appena finita è stata chiamata a decidere della vostra linea politica, delle modalità tramite cui ripristinare una struttura fortemente indebolita da una scissione che ha coinvolto una parte importante del gruppo dirigente centrale e numerose/i compagne/i diffuse nei territori della vostra organizzazione giovanile. A quale risultato questi giorni di confronto reciproco vi hanno portato?
Questi giorni di conferenza nazionale sono stati vissuti con grandissima partecipazione ed entusiasmo dai quasi trecento delegati, soprattutto dai più giovani, molti dei quali alla prima esperienza di questo tipo. Mi ha fatto immenso piacere leggere su facebook il commento di una compagna di Cosenza che ragionava intorno al fatto che ha respirato in questi giorni la voglia di politica con la “p” maiuscola: e cioè la passione, l’entusiasmo, la voglia di stare insieme e crescere insieme uniti, la voglia di discutere, di elaborare collettivamente la strategia migliore per cambiare questa società che non ci piace, la voglia di tornare a casa e fare davvero conflitto sociale, come ci siamo detti nei nostri interventi. Unità, radicamento, conflitto: questa è esattamente la nostra linea politica, la sintesi di una conferenza complessa e irripetibile. Basti dire che il consenso raccolto dal documento di maggioranza è il più alto mai raggiunto nella storia dei congressi della nostra organizzazione.
Il problema che c’è oggi in Italia è Berlusconi e il suo governo. Qual è la soluzione per risolvere la stranezza di una nazione in cui il presidente del Consiglio è un uomo che ha iniziato a fare l’imprenditore grazie ai prestiti della principale banca utilizzata dalla Mafia al Nord per riciclare denaro sporco; che ha iniziato a trasmettere dalle sue tv private, contro il parere della Corte Costituzionale, grazie all’intervento di Bettino Craxi; e che ha intrapreso la propria carriera politica dietro mandato della loggia P2 alla quale era iscritto e sdoganando, contro il pericolo «comunista», il Msi allora escluso dall’arco costituzionale e che soprattutto oggi utilizza il governo del paese allo scopo di evitare sistematicamente i processi a suo carico?
Non esiste una soluzione unica, altrimenti avremmo risolto l’anomalia italiana e non saremmo qui a commentare un regime quasi ventennale. Io penso che le direttrici da seguire, schematicamente, siano tre. Sul terreno sociale, fare crescere un movimento di classe che contesti la natura padronale delle politiche del governo delle destre, a maggior ragione in un contesto di crisi economica inedita come è quella che attraversiamo. Quindi lavorare ai fianchi del consenso popolare del governo, introducendo elementi di contraddizione tra il voto a destra di strati significativi di soggetti popolari e la loro condizione materiale. In secondo luogo vi è un terreno istituzionale: è evidente che o tiene la Costituzione, e quindi si introducono elementi legislativi che rafforzano l’architettura democratica (legge sul conflitto d’interesse, legge elettorale proporzionale, per citarne solo due), oppure il regime si trasforma anche tecnicamente in dittatura. Infine, serve un lavoro culturale di ampio respiro: bisogna investirci tempo, energie, anche economiche, mettere le migliori intelligenze critiche al servizio del Paese e di un riscatto etico che contrasti il berlusconismo e cioè, anche, la deriva all’individualismo, alla banalizzazione, alla mercificazione.
Parliamo della crisi, il governo italiano, e nella fattispecie il Premier, sostiene che il peggio è passato; la realtà che ci circonda è ben diversa, stiamo vivendo è una crisi grave e sconcertante, fabbriche occupate, operai esasperati che salgono sui tetti. Qual è il costo per i giovani italiani di questa crisi?
È un costo insostenibile, perché la crisi non è intervenuta in un ciclo economico virtuoso, ma comunque all’epilogo di una fase trentennale di sconfitte e dunque di arretramento (materiale, economico, culturale) della classe operaia. In Italia ci sono ormai quasi cinque milioni di giovani atipici, con una disoccupazione sotto i 30 anni che sfiora ormai il 30% (molto di più al Sud, ovviamente). Oltre a questi dati, basti pensare che 400mila precari e 900mila lavoratori dell’industria – in buona parte giovani – rischiano in questi mesi il licenziamento. In queste condizioni non è pensabile alcun futuro. Spesso, quando diciamo così sembra di avere a che fare con uno slogan. Ma pensiamo nel concreto: come si può accendere un mutuo per una casa in queste condizioni? Come si può pagare l’affitto di un bilocale? Come si può andare a scuola se si è molto giovani con i genitori disoccupati o cassintegrati o come si può pagare l’asilo o la scuola elementare ai figli se si è giovani ma già padri e madri?
Quali sono i suggerimenti dei Giovani Comunisti per uscire dalla crisi?
Innanzitutto bisogna avere il coraggio e la capacità di dire e di fare capire che tutto questo è ingiusto e deve essere capovolto. Noi avanziamo, come Giovani Comunisti, alcune proposte molto semplici. Abroghiamo la legge 30, simbolo e causa della precarietà generalizzata, e ricollochiamo il tempo indeterminato come formula contrattuale canonica, attraverso il referendum popolare che verrà messo in campo nei prossimi mesi. Reintroduciamo la scala mobile, aggiornandola al contesto produttivo che abbiamo oggi, e cioè introduciamo un meccanismo nuovo di adeguamento automatico delle retribuzioni da lavoro dipendente all’inflazione reale. Chiediamo l’introduzione di un salario sociale mensile di 1000 euro per i disoccupati di lunga durata (oltre i 12 mesi) e per i giovani in attesa della prima occupazione (con effetti benefici, come dimostra il reddito di inserimento francese, sia in termini di redistribuzione della ricchezza sia in termini di generale innalzamento dei livelli salariali). Le risorse in carico allo Stato, ovviamente, come ha più volte messo in evidenza la Cgil, vanno recuperate dal prelievo fiscale, oltre che dalla tassazione delle rendite e delle speculazioni finanziarie e dall’introduzione di una tassazione patrimoniale. Inoltre, che lo Stato si faccia carico delle aziende in crisi, non soltanto estendendo a tutte le dimensioni aziendali e a tutti i tipi di contratto gli ammortizzatori sociali ma anche rilevando direttamente la proprietà delle fabbriche che non riescono o non vogliono dare risposta ai bisogni economici delle lavoratrici e dei lavoratori.
Che in questo Paese sia in atto una svolta autoritaria non c’è alcun dubbio. Perché queste posizioni riescono ad avanzare senza trovare opposizione?
Penso purtroppo che valga, in controluce, il ragionamento fatto prima. Il Paese ha subìto una lenta ma inesorabile rivoluzione passiva da parte delle classi dominanti su cui si è innestata l’anomalia berlusconiana, come parossismo populista e fascistoide della rivoluzione passiva. Questa è, in estrema sintesi (ciò comprende – è evidente – la regressione culturale, la lotta di classe vinta dal padronato contro i lavoratori, la disarticolazione e frantumazione sociale), la causa oggettiva. La causa soggettiva è la debolezza cronica della sinistra e una sequenza di errori madornali che ha portato allo stato attuale. Errori e orrori della sinistra moderata e anche di quella cosiddetta radicale: basti pensare, su tutti, alla partecipazione al governo Prodi e al progetto della Sinistra l’Arcobaleno.
Dopo i tagli in finanziaria di Tremonti, la vergognosa legge su scuola e università della Gelmini, arrivano ora anche i regolamenti governativi per il “riassetto” degli istituti superiori che prevedono una riduzione drastica degli indirizzi e dei corsi di studio, chiusura di scuole, sedi e classi, meno ore di studio e di laboratorio, taglio di quasi ventimila docenti e la mancata assunzione di quelli già precari e soprattutto gli studenti saranno obbligati ad operare una scelta drastica del loro futuro scolastico già a 13 anni; cosa dicono i GC contro questa scelta chiaramente classista e privatistica della scuola che questo governo sta cercando di mettere in atto?
Diciamo innanzitutto che condividiamo il giudizio drasticamente negativo che hai formulato e che bene sintetizza il profilo privatizzatore del governo in tema di istruzione. Bisogna a nostro avviso capire poche cose. Primo: che il diritto all’istruzione è il bersaglio di un attacco violentissimo da almeno quindici anni, che ha visto protagonisti trasversalmente centro-destra (dalla Moratti alla Gelmini) e centro-sinistra (Berlinguer, Zecchino, De Mauro, Fioroni). Secondo: che per contrastare efficacemente questi provvedimenti serve elaborare una piattaforma di rivendicazioni che sappia connettere – costruendo campagne unificanti – la lotta degli studenti medi, quella degli universitari, dei ricercatori e dei lavoratori della scuola. Nell’unità tra studenti e lavoratori della formazione sta il cuore dell’efficacia della nostra risposta. Terzo: serve organizzarsi, organizzare il movimento e organizzarsi dentro il movimento. Il nostro scopo non deve essere quello di replicare in ogni realtà la stessa struttura (come se tutto il territorio nazionale, tutte le scuole e tutte le facoltà fossero identiche, e aspettassero dall’esterno la costruzione di un soggetto politico auto-riferito), ma quello di mettere in relazione tra loro – attraverso la definizione di una rete dei soggetti in formazione – tutte le realtà di movimento (collettivi, strutture territoriali dei sindacati studenteschi, circoli di partito) nelle quali le nostre compagne e i nostri compagni operano.
Le elezioni regionali sono ormai imminenti. In base a cosa ha senso sostenere di essere d’accordo o contrari in blocco a tutte le alleanze, dalla Calabria alla Lombardia, dall’Umbria al Piemonte?
Non si può pensare di essere in blocco contrari o favorevoli a tutte le alleanze. Sarebbe un atteggiamento pregiudiziale, pre-politico. La politica è un’altra cosa, e cioè l’analisi dei contenuti, dei contesti, dei rapporti di forza, lo spazio per le rotture ma anche per le mediazioni. Per questo, una volta affermato categoricamente il nostro giudizio sul Pd: un partito che è strategicamente alternativo a noi, ed espressione in molte realtà locali e a livello nazionale degli interessi confindustriali e padronali, dobbiamo tenere in considerazione due elementi. Il primo è che esiste nel nostro Paese una gigantesca questione democratica (sistematici tentativi di stravolgere la Costituzione in senso presidenzialista, legge elettorale maggioritaria, conflitto di interessi, accentramento di potere politico ed economico nella figura del presidente del Consiglio) che va arginata, provando a verificare la disponibilità delle altre forze democratiche per una modifica dell’attuale sistema bipolare e per la salvaguardia della Costituzione. E in secondo luogo bisogna considerare che il rapporto con le diverse articolazioni territoriali delle diverse forze del centro-sinistra è appannaggio delle singole realtà territoriali, alle quali spetta in ultima istanza il giudizio sulla possibilità o meno di un accordo politico ed elettorale. Ma al centro ci devono stare, come sempre, i programmi e i contenuti, e non una decisione aprioristica di tipo ideologico, sia essa settaria (no a prescindere a tutti i tipi di accordo) o subalterna (sì a prescindere a qualsiasi coalizione, fosse anche allargata all’Udc).
Che spazi ci sono oggi all’interno della Federazione della Sinistra ma soprattutto nel nostro Paese per la ricostruzione del Partito Comunista?
Ampi spazi: ce ne è un grande bisogno. Certo è che il nostro progetto non deve essere indistintamente quello di costruire un partito comunista, perché in Italia di partiti che si chiamano comunisti ce ne sono più di dieci. Dobbiamo costruire un grande partito comunista con basi di massa, radicato, socialmente ed elettoralmente forte. Questo deve essere il nostro obiettivo, perché il nome non basta e, francamente, di un partito comunista al 2% nessun lavoratore in Italia sente il bisogno.
Cosa vuol dire oggi per un ragazzo che ha poco più che vent’anni essere comunista? Secondo te perché i ragazzi che in questi giorni sono stati alla conferenza sentono ancora forte l’onere e l’onore di voler cambiare il mondo nonostante il degrado che ogni giorno li circonda?
Sono comunisti proprio perché sentono su di loro il senso di responsabilità di dovere cambiare il mondo. Io ho sempre detto che la molla che ha determinato la mia formazione politica è stato il senso di responsabilità nei confronti della società in cui si vive. E così per migliaia e migliaia di ragazzi. Essere comunisti vuol dire sapere che dipende da noi, non da altri, se il mondo che consegneremo ai nostri figli sarà un mondo degno di essere vissuto oppure una prigione ancora più orribile di quella in cui sta crescendo la nostra generazione.
La proposta cardine della conferenza della Federazione Giovanile dei Comunisti Italiani era l’unità con i Giovani Comunisti del partito della rifondazione comunista. Alla fine della vostra conferenza qual è la vostra proposta? Che progetto avete per rilanciare i GC?
Il rilancio della nostra organizzazione sarà un percorso quotidiano, fondato innanzitutto sulla cura dell’organizzazione in tutte le sue articolazioni territoriali. I nostri compagni hanno bisogno di ripartire sentendo la vicinanza di una struttura nazionale che negli ultimi anni o non c’è stata o ha lavorato direttamente contro di loro. Quindi, prima ancora che di campagne esterne (che pure, è evidente, ci sono: ma questo lo do per scontato, dato che su questo tutti convergiamo e tutti quotidianamente lavoriamo), abbiamo bisogno di curare noi stessi e di ripartire con nuovo entusiasmo, nuova buona volontà. Detto questo, il rilancio della nostra organizzazione va coniugato con la necessità di avviare un percorso unitario. Il partito ha scelto la strada della Federazione della Sinistra: una strada che noi consideriamo giusta e avanzata. A livello giovanile avanziamo la proposta di dar vita all’aggregazione di tutte le forze della sinistra di alternativa che si muovono sul terreno generazionale. Un’aggregazione aperta alle organizzazioni giovanili comuniste, in primo luogo, ovviamente, alle compagne e ai compagni della Fgci, ma anche a tutte quelle realtà di movimento e associative, alle realtà auto-organizzate del sindacalismo di base, alle realtà studentesche, alle molteplici realtà aggregative che condividono l’idea della trasformazione, disposte ad avviare un percorso unitario. Perché, banalmente, uniti siamo più forti. E questa è la fase in cui dobbiamo esserlo.
KETTY BERTUCCELLI
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