«Dietro ad ogni donna vincente,si nasconde un’altra donna»: così Cyndi Lauper, in una nota dell’album Sister of Avalon (1997), rompe lo schema secondo cui una grande donna debba stare solo dietro le quinte del palcoscenico maschile.
Cyndi Lauper, la stessa di Girl Just want to have fun , nel cui video donne diverse invadono le strade newyorkesi con i loro corpi, la loro vitalità, i loro colori, la loro libertà, in un vero e proprio “delirio femminista”.
Dietro le donne di oggi ci sono ancora strade, corpi, colori, in una mescolanza di vite che s’intrecciano, discutono, protestano, rivendicano ancora. Rivendicano gioia, libertà, autodeterminazione, lavoro e reddito, diritti e cittadinanza per tutte e tutti.
Un nuovo lessico, una nuova storia, a partire dalla propria soggettività di donne che, in questo tempo, ancora credono che la vera rivoluzione sarà coniugare uguaglianza a libertà.
Ogni giorno, infatti, si consumano attacchi violentissimi nei confronti della libertà e dell’autodeterminazione delle donne: dalle discriminazioni continue sui posti di lavoro, fino all’attacco costante a diritti “consolidati” come la 194. Consolidati almeno per la nostra generazione.
Il corpo delle donne, sempre più esposto negli ultimi anni, diventa il tramite per continuare a colpire, indisturbati credono, ognuna di noi. E uno degli strumenti più puntuali e subdoli, utilizzato dai governi e dalla società, è proprio il “mito dell’uguaglianza”. Le donne sono portatrici di una cultura rivoluzionaria perché si propongono come chiave di lettura della società, diventando pungenti e scomode, smontando ruoli e figure di una realtà monolitica plasmata su un solo modello.
Alla vigilia dell’8 marzo, un articolo di Repubblica titolava: “Rivoluzione in farmacia: medicine diverse per maschi e femmine”. Esatto, rivoluzione, una rivoluzione che cambia le vite, reale, concreta, “scientifica” addirittura. E’ la medicina di genere, la nuova frontiera della scienza al femminile per il femminile.
Il nostro corpo funziona diversamente da quello maschile, e nella sua differenza produce proprie reazioni e manifesta sintomi propri di patologie; ad esempio la possibile comparsa d’infarto in una donna si manifesta con nausea e dolori alla schiena, e non col più conosciuto dolore al braccio sinistro. E ancora l’assorbimento e l’efficacia dei farmaci, i cui dosaggi e le cui composizioni sono “a misura d’uomo”, e possono risultare da dannosi a inutili per le donne, a fronte della stessa malattia da curare. Il comune denominatore di tutto questo è la tendenza secolare a considerare totale il parziale, e cioè a sintetizzare la donna nell’uomo, a ridurre ad uno le differenze.
La medicina di genere è un’applicazione del mainstreaming di genere, un elemento centrale per le politiche della modernità, e soprattutto necessario al miglioramento reale della condizioni di vita delle donne, ma anche degli uomini.
La grande sfida è una società realmente egualitaria, costituita sul riconoscimento delle differenze e che valorizzi le esigenze dei soggetti che la compongono, perché parità e riconoscimento non sono in conflitto, ma l’unico modo per declinare l’esistente a vantaggio di tutte e tutti.
Ed è a partire da questo, dalla nostra differenza, e dal rapporto strettissimo tra disuguaglianza e negazione delle differenze che non possiamo non comprendere quanto il “mito dell’uguaglianza” sia, oggi,uno strumento in più per la società, patriarcale e maschilista, per assimilarci, per includerci escludendoci.
Negare il portato realmente rivoluzionario della nostra differenza, è, oltre che falso, nocivo. Ovviamente ancora e soltanto per noi donne.
Viviamo in un tempo di assuefazione e sconforto, un tempo in cui, soprattutto per la nostra generazione pare impensabile riappropriarsi della differenza, perché appunto, siamo cresciute nel mito della ricerca dell’uguaglianza, spesso frutto di stereotipi e non di analisi radicali e realmente rispondenti alla realtà. Vogliamo gli stessi diritti, vogliamo le stesse accessibilità, vogliamo gli stessi spazi, ma li vogliamo coi nostri tempi e dei nostri tempi, con il nostro linguaggio, con le nostre pratiche, a nostra misura: di donne. Siamo donne, femministe, comuniste, e in quanto tali ben consapevoli che «non vi è nulla di più ingiusto che far parti uguali tra diseguali». A maggior ragione quando di far parti uguali si fa solo finta.
ANNA BELLIGERO – portavoce nazionale GC
CLAUDIA NIGRO – cordinamento nazionale GC
da Liberazione del 14 Marzo 2010