di Simone Oggionni. Relazione introduttiva al coordinamento nazionale Giovani Comunisti – 18 aprile 2010
Mi concederete il tempo di una relazione introduttiva articolata, data la mole di lavoro che abbiamo davanti a noi, il novero di temi che dobbiamo dibattere e dato il fatto che questo è il primo coordinamento nazionale che svolgiamo a distanza di due mesi dalla conclusione della nostra quarta conferenza nazionale. Prima di arrivare a noi, ai Giovani comunisti, alla proposta politica e alle proposte operative, lasciatemi dare una valutazione sul voto amministrativo.
La destra ha dilagato. E in particolare ha vinto l’asse costituito da Berlusconi e Bossi, e cioè il coacervo di forze più pericoloso sul piano democratico e più insofferente nei confronti dell’impianto costituzionale e dei suoi valori guida. Ha vinto con una netta affermazione sul piano elettorale quando in molti – noi tra questi – ipotizzavano scenari del tutto differenti, pronti a scommettere persino sulla rottura della maggioranza e sulla fine anticipata della legislatura. Nello specifico, la destra e la Lega Nord sfondano anche nelle regioni dell’Italia centro-settentrionale, tradizionalmente impermeabili: è questo il segno della corrosione lenta e inesorabile di un’intera fase storica, fondata sull’egemonia dei valori con i quali era stata combattuta e vinta la guerra di Liberazione dal nazifascismo, ormai sempre più alle nostre spalle.
Oggi siamo in piena «emergenza democratica». E la cifra di questa emergenza è quello che sta accadendo a Emergency, la più grande organizzazione non governativa italiana, che viene additata a mezza voce dallo stesso governo italiano di avere rapporti con le milizie del (cosiddetto) terrorismo internazionale, mentre tre suoi operatori sono ostaggio delle carceri del governo afgano di Karzai.
Ma questa caduta di senso dell’alfabeto democratico va di pari passo con una emergenza sociale di dimensioni inedite. Lo dimostra l’attacco scriteriato e concentrico (governo e padroni) ad alcuni dei maggiori baluardi del compromesso sociale della seconda metà del Novecento italiano, come il contratto collettivo nazionale di lavoro, che fino a pochi anni fa erano considerati semplicemente intoccabili. Tutto questo nel pieno di una crisi economica drammatica che è entrata nella seconda fase: i cassintegrati diventano disoccupati, gli ammortizzatori sociali non sono più sufficienti per attutire i colpi delle crisi aziendali e si pone, in maniera sempre più immediata, il tema di una ridiscussione complessiva degli assetti, della proprietà e delle prospettive strategiche dell’apparato produttivo italiano. Il governo, ovviamente, non fa nulla, rimuove il dramma, non ascolta le decine di migliaia di lavoratori che ogni mese, in una liturgia laica della disperazione, ingrossano le file degli sportelli di lavoro interinale.
L’opposizione parlamentare, in particolare quella del Pd, è alle corde: perde il governo di regioni del calibro del Piemonte, del Lazio, della Campania e della Calabria mentre prosegue – in alcune realtà con proporzioni ragguardevoli – la crescita di consensi di movimenti di protesta dai forti tratti antipolitici e populistici come le liste Grillo. Si conferma poi il dato di Sinistra Ecologia Libertà, in larga parte determinato dal successo di Nichi Vendola in Puglia, e la Federazione della Sinistra si attesta sul 2,7% complessivo.
È un risultato negativo che non ammette, purtroppo, letture auto-consolatorie. Tuttavia è un risultato disomogeneo, perché andiamo male in alcune regioni, come Lombardia e Campania, e meglio nelle Marche, dove siamo in coalizione con SEL, e in regioni come Liguria, Toscana, Umbria o Calabria, dove ci presentiamo in coalizione con il centrosinistra.
Questo dato a mio avviso non ci dice automaticamente che allora bisogna fare gli accordi ovunque (sarebbe una semplificazione e una banalizzazione che non ci possiamo permettere, anche perché sposterebbe a destra la linea politica del partito), ma ci dice che il nostro elettorato ci premia ancora dove percepisce una nostra utilità e dove percepisce che noi lavoriamo per costruire una massa critica e per uscire dall’isolamento.
Questo è il senso dell’offensiva unitaria a 360° che il partito ha messo in campo – a mio avviso con grande intelligenza – con l’ultimo comitato politico nazionale.
Offensiva nei confronti delle forze di centro-sinistra, per valorizzare il percorso avviato nei mesi scorsi, con l’obiettivo di costruire una grande coalizione democratica capace di tornare a battere le destre alle prossime elezioni politiche. Nessun accordo programmatico, nessun nuovo centrosinistra ma un’intesa per difendere la Costituzione, approvare una legge sul conflitto d’interessi e modificare la legge elettorale in senso proporzionale per rompere la gabbia del bipolarismo che, sul piano istituzionale, è una delle fonti della nostra sconfitta.
Ma l’offensiva unitaria è rivolta anche a tutte le forze a sinistra del Partito democratico, e in primo luogo a Sinistra Ecologia Libertà, perché si dia vita con coraggio e tempestività ad un polo autonomo dal Pd in grado di tornare a contare e a pesare per i lavoratori e le classi subalterne. A partire dal riconoscimento della diversità dei progetti politici a cui noi e SeL lavoriamo (persino delle identità e delle culture politiche di appartenenza), ma consapevoli della comune necessità di non disperdere ulteriormente i consensi e di dare al conflitto sociale una sponda politica credibile.
Per essere in grado di fare questo serve un partito forte, che ascolti i propri iscritti (sarebbe un bene che tornasse a farlo anche tra un congresso e un altro) e ancor di più sappia ascoltare la società, dalla quale spesso veniamo percepiti come corpo estraneo, incapaci di intercettarne i bisogni e interpretarne i linguaggi.
Ma abbiamo bisogno anche di proseguire nel progetto della Federazione della Sinistra. Il mio parere è questo: noi non possiamo rimanere in mezzo al guado, ricacciando i soggetti che hanno dato vita al processo federativo nella solitudine dei propri recinti, sempre più marginali e sempre più autoreferenziali. Dobbiamo scegliere e assumerci collettivamente le nostre responsabilità. Anche noi, come Giovani Comunisti, dobbiamo lavorare pancia a terra per superare i motivi di divisione che ancora oggi in diverse realtà impediscono alla Federazione di decollare. Allora io dico questo: lavoriamo per costruire immediatamente, ovunque, le assemblee e i coordinamenti provinciali e regionali della Federazione della Sinistra e convochiamo subito dopo l’estate un congresso costitutivo che chiuda questa lunga fase di transizione e che dia finalmente al nostro popolo un messaggio di unità.
Però attenzione: tutto questo ragionamento, se si ferma a questo livello (discussione sulle alleanze, sulla collocazione istituzionale, sugli assetti, sui contenitori, sulle formule, le alchimie), è totalmente inefficace e totalmente inutile. Serve che questa sia solo la superficie di un ragionamento profondo che prenda di petto e affronti quelle che a mio parare sono le cause fondamentali della nostra sconfitta: l’assenza di un’analisi di classe articolata della società italiana; l’assenza di un programma semplice e percepibile immediatamente da tutti, in particolar modo dai lavoratori; l’assenza di un ancoraggio ideale, di un immaginario, l’idea di un orizzonte al quale guardare per uscire dalle secche delle nostre difficoltà.
Per questo è urgente discutere seriamente, qui ed ora, del carattere regressivo e rivoluzionario (non contingente) dello sfondamento delle destre nelle classi popolari (l’idea che suggerisco è che il meccanismo dell’alternanza sia saltato proprio nella modificazione profonda e difficilmente reversibile del senso comune delle classi subalterne); è preliminare discutere sui modi con cui reinsediare il partito nella società (costruiamo centri sociali, case dei diritti sociali, facciamo in modo che i circoli non siano più quello che spesso sono oggi: luoghi di discussione e di commento, spesso polemico, sulla linea politica nazionale) e nelle organizzazioni di massa (la Cgil, l’Anpi, l’Arci, la rete dell’associazionismo diffuso e democratico).
In secondo luogo discutiamo del programma: definiamo chiaramente cosa vogliamo, per che cosa ci battiamo, quale programma abbiamo, che cosa ci distingue dagli altri partiti sul terreno concreto della proposta politica (salario sociale di 1000 euro al mese, stop ai licenziamenti, abrogazione della legge 30, acqua pubblica, no alla riforma Gelmini), anche attraverso i referendum.
E poi serve un immaginario, e in questo dobbiamo recuperare i chilometri perduti in questi anni (nel partito dal congresso di Venezia in poi e nel Paese reale dal governo Prodi, eventi dai quali – io li lego, Venezia e il governo Prodi – abbiamo iniziato a perdere “capacità di raccontare” il nostro orizzonte di alternativa e le nostre prospettive).
Arrivo finalmente ai Giovani Comunisti. Io la dico così: non dobbiamo nasconderci i problemi interni. La Conferenza nazionale è stata il luogo di una discussione profonda e articolata che ha finalmente risvegliato, ridato passione al corpo dell’organizzazione, ma al contempo ha messo in evidenza i limiti assolutamente intollerabili dell’irrigidimento correntizio (badate: non dico intollerabili perché voglia burocraticamente mettere la mordacchia alla discussione ma perché in una fase di profonda difficoltà come questa non possiamo più permetterci divisioni fratricide). Devo anche ammettere, per totale onestà, che questo irrigidimento correntizio si è prodotto (e questo è un dato paradossale a ben guardare) più per i demeriti del primo documento che per quelli del secondo. Arrivo a dire, con molta amarezza ma penso anche con oggettività, che abbiamo dato prova di una scarsa autonomia dal partito, sebbene noi la si sia sbandierata ai quattro venti come segno della nostra diversità. Questi due limiti (il correntismo esasperato e la scarsa autonomia dal partito) sono limiti ed errori che dobbiamo impegnarci tutti insieme a superare al più presto.
Qual è la strada che va percorsa? Io, a costo di essere ripetitivo (ma guardate che le parole d’ordine sono importanti perché, come diceva Engels, sono “bandiere piantate nella testa della gente”, e in primo luogo dei nostri compagni) dico tre cose: unità, radicamento, conflitto.
Unità, innanzitutto interna: serve il massimo della solidarietà al nostro interno, facciamo al centro nei gruppi dirigenti quello che avviene già tra i compagni nei territori, dimostriamoci all’altezza dei nostri compagni. Parlo di un’unità che non nasconda le differenze ma che ci consenta di presentarsi all’esterno compatti, con un’unica voce, un unico gruppo dirigente.
Unità anche all’esterno: da questo punto di vista (il processo unitario: tema che interessa molto i nostri compagni e appassiona molto anche il dibattito che ruota intorno alla nostra organizzazione) io voglio essere lapidario: abbiamo un preciso mandato congressuale che abbiamo il dovere di rispettare. Nelle prossime settimane proseguiremo gli incontri con le realtà che riteniamo si possano coinvolgere nel progetto e io penso che al prossimo coordinamento nazionale saremo in grado di presentare una proposta precisa con tempi, modi e contenuti precisi.
Radicamento: dobbiamo curare al meglio la nostra organizzazione. Avanzo alcune proposte molto concrete sulle quali però vi chiedo di esprimervi puntualmente:
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- dobbiamo costruire una mappatura precisa di tutti i coordinamenti provinciali eletti, mettendo in piedi una mailing list dei coordinatori provinciali, così da avviare di volta in volta la discussione e il dibattito tra noi anche tra un coordinamento nazionale e l’altro, coinvolgendo il gruppo dirigente diffuso dell’organizzazione. È finita l’epoca in cui esisteva un gruppo ristretto di illuminati che decideva sempre per conto e per nome di migliaia di compagni;
- dobbiamo avviare una seria campagna per il tesseramento, con manifesti, video, diffusione via internet (facebook, sito): su questo è mia intenzione sollecitare il lavoro del gruppo di compagni grafici dei quali abbiamo raccolto la disponibilità nelle settimane scorse. Inutile dire che il nostro obiettivo deve essere quello di superare alla grande il 100% degli iscritti 2009;
- dobbiamo fare funzionare al meglio i mezzi di comunicazione che abbiamo. Il giudizio che do del nuovo sito internet è un giudizio molto positivo. Dobbiamo poi fare partire al più presto un palinsesto nazionale della radio nazionale (Red Generation Radio) dei Giovani Comunisti;
- dobbiamo lavorare da subito per il campeggio, decidendo insieme dove farlo, con chi e con quali risorse economiche. Dal mio punto di vista l’esperienza dell’anno scorso di Alternativa Rebelde va senza dubbio replicata;
- dobbiamo poi lavorare per mettere in campo una Festa nazionale dei Giovani Comunisti, da fare alla fine dell’estate in una città del Nord, come strumento di aggregazione ma anche di autofinanziamento;
- dobbiamo prendere di petto il tema della gravissima mancanza di liquidi del nostro partito. Lo avete visto già con questo coordinamento, la condizione economica del partito non è più quella di un tempo: quindi bisogna pensare seriamente e celermente a forme di finanziamento e di autofinanziamento alternativo (come, per esempio, la produzione da parte del nazionale di materiali di propaganda e gadgets da vendere all’esterno);
- e ancora: la gestione collegiale delle responsabilità, coinvolgendo i compagni del coordinamento nazionale nel lavoro esecutivo dei Gc (traduco questo obiettivo in deleghe assegnate al di fuori dell’esecutivo e nella costituzione di gruppi di lavoro ad hoc).
Infine vi è il nodo del conflitto. Su questo vi sollecito nei vostri interventi ad enucleare al meglio i campi di intervento. Io ritengo che le priorità siano quattro: il lavoro, la formazione, l’antirazzismo-antifascismo e il tema dei diritti civili. Propongo su ciascuna di queste priorità di lanciare una campagna nazionale che ci caratterizzi.
In particolare, una campagna sul salario sociale, la precarietà, l’abrogazione della legge 30, il blocco dei licenziamenti; una sul diritto allo studio e la critica radicale della riforma Gelmini (e in particolare mobilitando le nostre strutture contro il ddl 1905 sulla organizzazione dell’Università, che aumenta il ruolo dei Rettori ed esautora completamente gli studenti da qualunque potere di contrattazione e controllo); una terza sull’antifascismo militante e sulla solidarietà con i migranti, contro la xenofobia e il razzismo dilaganti; una quarta sui Pride e i diritti civili. Propongo che su questi temi venga dato mandato ai due portavoce di individuare una proposta da condividere e quindi rendere operativa coinvolgendo il coordinamento nazionale.
In particolare, propongo che prima dell’estate si faccia a Roma un attivo degli studenti medi per elaborare con largo anticipo la nostra piattaforma di rivendicazioni e un attivo degli studenti universitari allo stesso scopo.
Infine, e in maniera disorganica, segnalo alcuni temi e alcuni appuntamenti.
L’antifascismo. Nella primavera del 2011 si terrà il congresso dell’Anpi e noi non possiamo più disinteressarcene. Come già in altre occasione, invito quindi i compagni e le compagne a tesserarsi e a sentire l’Anpi sempre più come la nostra casa e la casa di tutti gli antifascisti italiani. Il 7 maggio è stata convocata, da parte dei fascisti del Blocco Studentesco, una manifestazione che sin da subito abbiamo detto di voler contrastare. Ora stiamo lavorando per capire se ci sono le forze per impedirne lo svolgimento oppure se saremo costretti ad una contromanifestazione. In questa seconda ipotesi maggiore è il numero delle forze e dei soggetti che aderiscono, maggiore è la possibilità che si dia al Blocco una lezione che scongiuri da parte loro l’idea di poter replicare iniziative del genere a Roma e in tutta Italia.
La politica universitaria. In questi ultimi giorni molto si è dibattuto sul CNSU. Vorrei essere molto chiaro su questo punto, per evitare equivoci e fraintendimenti. Nelle settimane scorse abbiamo, personalmente e di comune accordo con Anna Belligero, convocato una riunione dei nostri compagni più attivi nelle Università (una riunione non del coordinamento nazionale, che sarebbe stato impossibile convocare in piena campagna elettorale e ancor più riconvocare una seconda volta, come sarebbe poi stato d’obbligo, dopo le elezioni) che ha tracciato una linea. Ho quindi facilitato e avallato la collocazione all’interno delle liste Udu-liste democratiche-liste di sinistra di alcuni compagni iscritti al Prc o vicini alla Federazione della Sinistra che erano espressione di realtà locali convintamente interessate al progetto della lista. Non si tratta di alcuna internità organica dei Gc all’Udu. Come abbiamo deciso a Pomezia, la nostra linea non è quella di scegliere di collocare i Giovani Comunisti dentro una struttura sindacale (qualunque essa sia) ma di valorizzare le autonomie territoriali nell’ambito di un unico programma politico e di un’unica piattaforma universitaria. Il CNSU è un organismo che così com’è non è per nulla funzionante né funzionale alle lotte degli studenti. Noi quindi non investiamo strategicamente nelle elezioni, non presentiamo una nostra lista comunista. Tuttavia, valutata la presenza di liste di destra anche fascista (lo stesso capo del Blocco Studentesco è candidato al Centro in una lista di centrodestra) noi auspichiamo che prevalga l’unica lista di sinistra presente, che ha tra l’altro un buon programma, e all’interno della lista dei compagni vicini a noi. Questo organizzativamente si traduce nella costituzione di comitati elettorali locali, gestiti dai compagni candidati, ai quali penso che la nostra organizzazione a livello territoriale, in tutta autonomia, possa decidere se dare o meno un contributo. Senza alcun “ordine di scuderia”, come abbiamo deciso anche a Pomezia.
Concludo sui rapporti internazionali. Ho lavorato personalmente in questi due mesi per favorire il recupero di una rete di relazioni con le giovanili più significative e radicate della sinistra comunista e d’alternativa europea, recandomi in Germania al congresso dei giovani della Linke, seguendo i lavori del Synaspismos, dei giovani del Pc francese e dei comunisti spagnoli, e a maggio andrò in Grecia dal Kne. L’interesse internazionale nei nostri confronti è altissimo. Il nostro obiettivo, io credo, è quello di dare vita ad una vera e propria rete di relazioni internazionali che producano una serie di iniziative politiche unitarie (campagna per il ritiro dei militari dall’Afghanistan e salario europeo). Dopo anni di isolamento e di disinteresse, il nostro ruolo internazionale non è indifferente e può contribuire a definire ancora meglio il profilo anche nazionale dei Giovani Comunisti che stiamo ricostruendo.
SIMONE OGGIONNI
18 Aprile 2010