La decisione del Consiglio di Stato di ammettere l’insegnamento della religione cattolica come materia da computare nei crediti scolastici è un nuovo capitolo di una saga che non avrà fine se non con una riforma a tutto tondo delle interrelazioni tra Chiesa Cattolica, religioni e scuola della Repubblica Italiana.
Un capitolo questo che indubbiamente assegna al ruolo dei cattolici nella scuola pubblica una nuova funzione: la materia diventa quindi un viatico per crediti che, in una mentalità industrialista per tutti gli ordini e gradi del nostro apparato istruttivo, saranno appetibilissimi per ogni studente, per ogni studentessa. Vince quindi, per ora, il presupposto che pone la religione al pari dell’insegnamento della matematica, del latino, del greco, dell’italiano, della filosofia e della storia, eccetera, eccetera.
In realtà il fenomeno religioso andrebbe insegnato nei luoghi di culto, da persone atte a farlo e disposte a farlo verso non tanto chi vi si avvicina per ottenere dei crediti (espressione economicista che violenta lo spirito di apprendimento che dovrebbe avere qualunque scuola pubblica) e aumentare quindi il proprio punteggio in vista degli esami.
Anche questa è una operazione di mercato e così passa nelle menti dei giovani che saranno certamente disposti a studiare la storia delle religioni, i culti, con uno specialissimo riferimento a quello cattolico, a sentire qualche sorta di predica dottrinale sul valore della famiglia, sulla morale, sulla sessualità e su tutta la risma di sacramenti che sono sparsi nella vita di un credente ma pure di qualche miscredente.
Che questa, in fondo, sia una vittoria della severità cattolica per l’autorevolezza del messaggio di Santa Romana Chiesa nelle scuole italiane è tutto da dimostrare. Si potranno conteggiare gli aumenti di iscrizione alla presenza all’ora di religione, ma quanto questo si traduca in un vero apprendimento sarà difficile poterlo verificare.
Ma già, come si dice… se non li puoi combattere, allora fatteli amici. E che c’è di meglio per uno studente se non offrirgli i punti di credito in cambio della sua attenzione verso la dottrina cattolica?
Mi sembra anche molto offensivo questo modo di intendere l’insegnamento di una religione. Ammesso che una religione si possa insegnare e non apprendere, invece, attraverso percorsi fortemente diversi da quelli di un apprendimento da un libro che narra fatti logici (o quasi) e cronologici e li inserisce nell’aurea misteriosa del divino, attribuendo al tutto una verità mistica, un dogmatismo incessantemente presente in ogni parola, virgola o punto interrogativo.
Nell’interrogazione, nel dubbio, lì nasce la vera fede, e nasce proprio da un principio di agnosticismo disposto a mutarsi in fede quando le corde del nostro “io”, dell’anima – per dirla con Ratzinger – passano dalla non conoscenza alla percezione dell’impercettibile sul piano materiale, dimostrativo. Si ha fede non grazie a dei crediti scolastici. Si impara la storia del Cristianesimo al massimo, con un’ora di religione. Ma questo potrebbe farlo tranquillamente qualunque insegnante di Storia e filosofia. E potrebbe farlo molto bene.
Ma certamente al Vaticano non andrebbe mai bene, perché direbbe che gli insegnanti potrebbero non essere di fede, forse potrebbero essere di qualche altra fede religiosa, o peggio politica e quindi dare una interpretazione storica basata su giudizi che influenzerebbero negativamente il giovane cristiano seduto al suo banco e tutto attento ad apprendere le ragioni di una grande epopea dell’umanità, di grandiosi misteri, di visioni sconosciute, di tremende prospettive.
La religione andrebbe insegnata nelle scuole della Repubblica solamente come fenomeno storico e sociologico. Ma la Chiesa Cattolica sollecita da sempre non tanto l’insegnamento di una religione, quanto l’evangelizzazione similare a quella che viene fatta durante il sermone messale.
E poi, vedete, io ho sempre frequentato l’ora di religione a scuola. Soprattutto al liceo classico. E non si può certo dire che ne sia venuto fuori un virtuoso cattolico di provata fede. E, lo posso cominciare a dire, “ai miei tempi” non esistevano crediti scolastici. Il che rafforza ancora di più la tesi secondo cui è molto difficile ispirare un sentimento religioso tra i banchi della scuola pubblica.
Chi ha la vocazione sa dove può recarsi: i seminari esistono per questo. Chi non ha la vocazione, ma ama la storia ed è incuriosito dalle religioni, potrà studiarle a scuola nell’ora di storia, nel corso del programma ministeriale.
Per il resto siamo nelle mani degli uomini e, per chi crede, in quelle di dio. Amen.
MARCO SFERINI
11 Maggio 2010