di Simone Oggionni e Flavio Arzarello Dal rapporto annuale dell’Istat presentato nei giorni scorsi emerge un quadro drammatico per il nostro Paese, ed in particolare per la condizione di tantissimi giovani: sono 2 milioni, più della metà nel Mezzogiorno, le ragazze ed i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che sono esclusi contemporaneamente sia dal mondo del lavoro sia da quello della formazione. Nella fascia di età immediatamente successiva, tra i 30 e i 34 anni, il 28,9% vive ancora a casa con i propri genitori, un dato più che triplicato dal 1983. Non si tratta, nella stragrande maggioranza dei casi, di una libera scelta, ma di una dura necessità imposta dalla mancanza di un reddito stabile.
Siamo in fondo ad un precipizio nel quale ci hanno condotto vent’anni di politiche liberiste, di privatizzazioni, di compressione dei diritti e dei salari. Dall’abolizione della scala mobile alla trasformazione del sistema pensionistico, dagli attacchi all’articolo 18 al Pacchetto Treu e alla legge 30, sino all’ultima straordinaria offensiva contro il contratto collettivo nazionale di lavoro.
A questa vera e propria lotta di classe del capitale contro il lavoratori si è accompagnata un’offensiva sul terreno culturale che ha modificato nel profondo il senso comune del nostro Paese, distruggendo l’idea, banalmente progressista, che l’avanzamento delle condizioni di vita di ciascuno potesse realizzarsi attraverso lotte collettive. Il tutto anche per tramite di ampi settori della sinistra politica e sociale italiana che, invece che attrezzarsi ad una reazione all’altezza dell’offensiva, hanno accompagnato questa deriva, assumendo strategicamente (nelle proposte politiche, negli atteggiamenti pubblici e persino in quelli privati) il punto di vista dell’avversario.
In questo contesto desolante di mercato senza regole, di precarietà diventata norma, di una solitudine e di una frammentazione sociale che viene imposta a tutti e in primo luogo ai più giovani e ai più deboli, si colloca la Finanziaria: una manovra che chiede sacrifici ancora una volta ai lavoratori, mentre propone per i ricchi e i furbi l’ennesimo condono (edilizio).
Nella scuola le conseguenze saranno irreparabili. Il blocco del turn over e il nuovo tetto di spesa significheranno 26mila insegnanti licenziati, che si aggiungeranno ai 20mila che perderanno il lavoro il 1° settembre prossimo a causa dei tagli contenuti nella legge 133 del ministro Gelmini.
Questi pochi numeri sono il segno tangibile di un progetto di società. Un Paese meno istruito e più ignorante è più facilmente abbindolabile dalle palle a reti unificate del padrone o dall’Uomo della Provvidenza di turno.
E, come si diceva prima, accanto al dramma sociale (la Grecia è vicinissima, misure identiche a quelle del governo del Pasok in Grecia sono la logica conseguenza, in tempi brevissimi, della Finanziaria di Berlusconi) c’è l’emergenza democratica, l’imbarbarimento culturale e civile.
Il Parlamento è totalmente svuotato dei suoi poteri (il 93% delle leggi sono di provenienza governativa), la magistratura è quotidianamente sotto attacco, pezzi di classe dirigente sono in costante odore di corruzione, le pulsioni xenofobe e omofobe vengono istituzionalizzate e propagandate ossessivamente, la ricerca e la formazione svilite e dileggiate da modelli culturali violenti e asserviti ai poteri economici.
Il compito di chi non si rassegna è produrre uno scarto tra la contemplazione disillusa della realtà e l’organizzazione politica del conflitto di classe.
Ancor di più nella nostra generazione, privata del diritto al futuro e costretta, come si diceva, ad una solitudine esistenziale prima ancora che politica e civile probabilmente inedita per la stessa storia del capitalismo.
Allora proviamoci: individuiamo i terreni di lotta comuni ed unificanti delle tante solitudini del Paese, e incarichiamoci – insieme a tanti altri, alle forze migliori della società – di incanalarle in una prospettiva di cambiamento radicale, con proposte di mobilitazione e agitazione immediate (la manifestazione dei sindacati di base del 5 giugno, lo sciopero generale della Cgil, con una piattaforma nostra che chieda investimenti massicci nella formazione, la cancellazione della legge 30, un salario dignitoso, sanzioni durissime contro il lavoro nero) e con la costruzione di un nuovo immaginario rivoluzionario, che torni a parlare ai giovani e ai lavoratori di un processo non più rinviabile di democratizzazione dal basso di tutti gli ambiti della società: democrazia operaia in fabbrica, democrazia studentesca nelle scuole e nelle Università, autogestione, autogoverno, socialismo.
Proprio nell’intreccio stretto di questi due livelli (rivendicazioni immediate e battaglie di prospettiva) decliniamo l’identità comunista del terzo millennio. Una rinnovata cultura politica della trasformazione al servizio delle lotte e del conflitto sociale.
Le nostre organizzazioni, nella Federazione della sinistra, devono essere uno strumento per invertire la rotta e costruire un futuro diverso e migliore.
SIMONE OGGIONNI (portavoce nazionale Giovani Comuniste/i)
FLAVIO ARZARELLO (coordinatore nazionale Fgci)
4 Giugno 2010