A proposito dei commenti agli articoli di Iannitti e Perillo sul Pride: quando l’omofobia c’è e fa male

di Simone Oggionni In questi giorni ho letto, a commento degli articoli di Matteo Iannitti e di Antonio Perillo sul Pride di Napoli e in generale sulle tematiche legate ai diritti GLBTQ, una serie di interventi (li potete trovare sul sito nazionale dei Gc, su facebook e su qualche forum) che fanno davvero male. Fanno male alla nostra organizzazione, alla lenta e faticosa costruzione di senso comune prodotta in questi anni e che, per inciso, mi smentiscono: commentando proprio su facebook l’articolo di Perillo, criticavo la nostra vocazione “tafazziana” (vi ricordate il personaggio di Mai dire Gol che si dava sempre le martellate sui maroni?) per cui non siamo capaci di fare nulla senza prima auto-flagellarci dichiarando al mondo quanto siamo brutti, sporchi e cattivi.
Eppure i commenti che sono stati prodotti dimostrano evidentemente che aveva ragione Perillo e torto io. Chi non è omofobo, o quantomeno cerca di controllare le sue pulsioni omofobe (siamo nati tutti in questa società machista e patriarcale e purtroppo non è un reato averne assorbito con il latte sin da piccoli e interiorizzato anche i germi più nocivi), non aprirebbe mai polemiche di questo tipo chiamando il movimento GLBTQ “movimento LGBTQRSTUVZ e pagliacciate” connesse.
Chi non è omofobo (e quindi vive con ossessione tutto ciò che gira intorno al sesso, compresa l’attenzione politica nei confronti delle sue contraddizioni) non stravolgerebbe la realtà imputando alla nostra organizzazione (posso anche dire la “mia” organizzazione?) scarsa attenzione per le questioni del lavoro, come se andare al Pride e solidarizzare con le centinaia di ragazze e ragazzi che nel nostro Paese ogni anno vengono aggrediti per il loro orientamento sessuale significasse non occuparsi di Pomigliano, di metalmeccanici, di pane e di lavoro.
Certo, sfondano una porta aperta i compagni che ci chiamano a constatare che laddove si fa un lavoro serio di radicamento territoriale e sociale, a partire dai luoghi di lavoro e dalle scuole/Università, il partito è più forte e ha un peso maggiore nella società e, dunque, anche un maggiore consenso elettorale.
E’ questo il motivo per cui negli anni passati, quando l’attenzione per le questioni legate ai diritti civili si era trasformata in mistica interclassista e retorica vuota e incomprensibile (perché accompagnata ad un disinvestimento pressoché totale rispetto alle questioni del lavoro), noi insistevamo per ricollocare al centro dell’iniziativa politica dei comunisti il lavoro e il conflitto tra capitale e lavoro.
Ma da qui alla vera e propria canea che si sta sollevando, e che – lo ripeto – muove dal presupposto per cui lotta per i diritti sociali e lotta per i diritti civili siano tra loro incompatibili, ce ne passa.
Un tempo per differenziarci da quelli che si definivano “innovatori” si alzavano le bandiere dell’orgoglio della nostra Storia, della coerenza delle lotte operaie, della nostra appartenenza ad un campo internazionale di comunisti e rivoluzionari. Oggi invece si tira fuori il peggio di noi stessi, a partire dalle nostre fobie, dalle nostre paure e dai nostri odi (repressi psicanaliticamente ma politicamente urlati con scarso senso del pudore ai quattro venti). Fobie, paure e odi – basta leggere Richard Isay – nei confronti di ciò che di femminile (e cioè di meraviglioso) esiste negli altri uomini e in noi stessi.
E’ anche questo il segno delle nostre difficoltà, del nostro arrancare alla ricerca infinita di una identità compatibile con quello che diciamo di volere e con quello che in realtà siamo.
Non mi resta che sperare che queste dimostrazioni di omofobia siano isolate e insignificanti sul piano generale e lavorare affinché queste posizioni vengano isolate e consegnate velocemente alla nostra pagina degli orrori.

SIMONE OGGIONNI
Portavoce nazionale Giovani Comuniste/i

9 Luglio 2010

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