di Andrea Salutari Ci sono momenti in cui la rabbia dentro il cuore è difficile da placare. Questo è uno di quelli. Viviamo una stagione tragica per i lavoratori che, con la crisi, ha ricevuto un ulteriore colpo di grazia. Credo di essere uno dei tanti giovani che ben rappresentano il dramma di un’intera generazione. Ho spalle grosse e forti, ma mi è difficile riuscire a tenere la schiena dritta.
Da una parte vivo la mancanza di diritti che i nostri genitori avevano conquistato negli anni delle lotte. E’ dura trovare il coraggio di vivere senza un salario sicuro, la precarietà ci trasforma in schiavi che non possono permettersi nulla.
E’ dura lavorare sentendosi una macchina, una merce col proprio numero di riconoscimento.
Ma è nulla confronto alla disperazione e alla paura di non essere rinnovati e di perdere il lavoro. Contratti di settimana in settimana, che con la crisi attuale spesso significa nessun rinnovo, nessun lavoro, nessun indenizzo, nessuna cassa integrazione. Soltanto un aiuto costante dai propri cari, il trasformarsi in un tutto-fare per ogni occasione, permette l’attuale sopravvivenza, ma fino a quando?
Dall’altra parte la ferita più profonda però proviene da dentro. Quel sentirsi solo, emarginato da una società che ti usa come schiavo, quando e dove vuole perché tragico è il bivio: prendere o lasciare, e lasciare significherebbe la fame.
Per questo sono grato al Circolo PRC di Nichelino, un circolo formato prevalentemente da operai che tanto mi hanno insegnato. Compagni che la lotta l’hanno pagata sulla proprio pelle, compresi i licenziamenti dalla stessa Fiat. La forza nostra è la coesione nell’agire e nell’unità politica e morale nei momenti di sofferenza.
La lotta portata dagli operai di Pomigliano, quel 36% che a testa alta ha votato NO, è la conferma che la speranza di cambiamento è viva, che con la lotta può trasformarsi in vittoria, ossia maggiori diritti e maggiori salari.
In questi giorni il compagno (vorrei chiamarlo ancora così) Capozzi, impiegato di sesto livello alla Fiat Mirafiori, è stato licenziato perché ha usato l’ e-mail aziendale per diffondere, a quaranta colleghi, un volantino in cui i lavoratori polacchi di Tichy esprimevano solidarietà ai colleghi di Pomigliano in vista del referendum. Licenziamento che sta colpendo altri due operai dello stabilimento Fiat di Melfi.
L’obiettivo è evidente. Dividere i lavoratori e colpirne uno per educarne cento. Intimidire qualsiasi forma di lotta, che oggi può essere un volantino web o l’adesione ad uno sciopero. Con Capozzi, militante del PD di Nichelino, in passato ho anche avuto scontri, ed alcune sue accuse tutt’ora feriscono il mio orgoglio di compagno. Anche per questo alcuni compagni, con tono provocatorio, non se la sono sentita di dare una solidarietà piena, proprio perchè questa situazione degenerante è alimentata dalla posizione del PD sempre più lontana dai lavoratori, sempre più vicina alla confindustria.
Con calma e sangue freddo bisogna affermare che le contraddizioni sono evidenti, ma non si deve fare il gioco dei veri nemici. Politicamente non condivido e non rispetto il suo schieramento politico che sicuramente è complice di questa situazione.
Ma voglio riconoscere il coraggio di aver mandato quella email. A me basta questo per dare il mio sostegno al 200%
La vera battaglia è far nostro il motto “uniti siamo tutto, divisi siam canaglia”. La nostra filosofia deve essere questa, la nostra lotta deve essere la più unitaria possibile. La FIAT reagisce cosi dopo il referendum di Pomigliano. Ricordiamo e non scordiamo, che Capozzi è solo una pedina. Domani a chi toccherà?A quale azienda? A quali lavoratori?
Per questo esprimo piena solidarietà mia e di tutta l’organizzazione provinciale dei Giovani Comunisti Torino 2.0.
Ma rilancio: perché non proviamo una vera azione unitaria di classe con e per i lavoratori.
Nei mesi scorsi, al consiglio regionale del Piemonte, abbiamo proposto una legge contro la delocalizzazione delle aziende all’estero. Il Pd l’ha bocciata definendola “bizzarra”. Se è vero che “uniti siamo tutti, divisi siam canaglia” iniziamo una lotta contro la precarietà, contro la legge 30,contro le delocalizzazioni.
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Ripartiamo da qui, ripartiamo con il ristabilire quei diritti dei lavoratori conquistati negli anni di lotta pura. Il nostro augurio quindi è: oggi compatti ad esprimere solidarietà, domani uniti nella lotta.
“Prima di tutto manganellarono i noglobal e io non dissi niente, perché erano solo casinisti
Poi manganellarono i valsusini e io non dissi niente, perché erano lontano da casa mia
Poi manganellarono gli aquilani e io non dissi niente, perché non ero terremotato
Infine manganellarono gli operai e io non dissi niente, perché ero disoccupato.
Un giorno manganellarono me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”
ANDREA SALUTARI
Coordinatore provinciale Giovani Comunisti Torino 2.0
15 Luglio 2010