Occupazioni: una testimonianza da Studi Orientali

di Sara Pilia

La ex-facoltà di Studi Orientali (ora Dipartimento del Polo Umanistico della Sapienza) è in stato di occupazione dal 24 novembre, in segno di protesta contro il ddl Gelmini. Queste giornate sono caratterizzate da un’attività frenetica: parte degli studenti mobilitati partecipano come delegazione ai cortei e al sit-in sotto Montecitorio, gli altri si riuniscono in assemblea per decidere che forma dare a tutto questo.

Le assemblee sono partecipate, se non da tutti, da buona parte degli iscritti alla facoltà: chi per coscienza civica, chi per curiosità, chi per preoccupazione sull’andamento della didattica, tutti si avvicinano ad informarsi. Gli studenti più attivi informano, sensibilizzano, cercano di spiegare che in realtà la protesta serve, sia come percorso di crescita democratica del singolo, sia per influire sulle decisioni parlamentari.

Si organizzano attività alternative: gruppi di studio per non bloccare l’apprendimento delle lingue, in cui gli studenti del 3° anno e della magistrale danno una mano a chi ha più difficoltà; didattica alternativa, seminari, incontri…Tutti pensano, tutti propongono.

Si raccolgono i nomi di chi resterà a presidiare la facoltà durante la notte: le regole sono chiare, nessun esterno deve entrare dopo la chiusura delle porte, c’è tempo x iscriversi fino al pomeriggio. La nostra occupazione non è una festa, è una lotta, non vogliamo gente che viene per creare problemi. Rimanere a dormire significa rendere un servizio a tutti gli studenti. Alle 8 arriva il cambio: gli studenti che hanno dormito a casa tornano per presidiare la facoltà, gli altri vanno a riposare.

Arrivano i docenti, i ricercatori, i dottorandi: chi porta qualche dolcetto, chi porta proposte, per esempio un seminario sul cosa significhi fare ricerca oggi in campo umanistico, tema fortemente legato alle proteste di questi giorni, chi propone di discutere gli eventi degli ultimi giorni in cinese, tanto per fare esercizio (!), chi porta solidarietà per una lotta che è di tutti.

La nostra facoltà era giovane, aveva solo nove anni quando l’hanno ammazzata. Forse era troppo anomala per lasciarla vivere, troppo pericolosa. Altri motivi non ci sono, perché il merito lo aveva, eccome.

Staccatasi dalla Facoltà di Lettere e Filosofia nel marzo del 2001, aveva un corpo docente giovane e appassionato, volenteroso di creare dei giovani capaci di uscire dal piccolo mondo italiano ed europeo per confrontarsi con una realtà internazionale che includesse le grandi culture dell’Est.

Un sito internet efficientissimo gestito da un docente-webmaster a costo zero (almeno per l’università), corsi affollatissimi anche in situazioni scomode causa mancanza di posti a sedere e senza bisogno di raccogliere firme di presenza, un numero di iscritti che è aumentato grandemente in questi nove anni, dai 409 immatricolati nell’A.A 2001/2002 ai 2818 del 2009/2010, cioè un aumento del 690% (dati del Consiglio di Facoltà, riferiti ai soli iscritti della triennale), mentre gli iscritti di V.O. decrescevano da 1.568 a 113.

Il bilancio è sempre rimasto in attivo (nel 2009 oltre il milione di euro), grazie soprattutto alle attività di collaborazione della facoltà con enti pubblici (per es. il Ministero degli Affari Esteri). Questi soldi sono stati spesi a favore degli studenti, con la ristrutturazione dei locali, con l’aumento di borse di studio per esperienze in università estere, con l’organizzazione di conferenze…

Non si può non chiamare merito. Ma tutto questo non è servito. Non è servito perché al Governo non importa la meritocrazia. Al Governo importa distruggere qualunque struttura che garantisca un reale accesso di qualità all’istruzione pubblica.

Ma noi non ci stiamo. E non accettiamo di sentirci dire che vogliamo proteggere i baroni. I nostri docenti non lo sono, i nostri ricercatori sono precari che passano grandissima parte del loro tempo nelle nostre aule ad insegnare gratis. Lo fanno perché tengono a noi, tengono alla cultura, tengono ai principi della nostra Costituzione.

E noi tutti teniamo al progetto che stavamo costruendo, che continueremo a costruire qualunque cosa succeda. Solo, se il ddl verrà approvato, molti di noi non avranno la possibilità di partecipare, lo dovranno seguire da lontano.

Ve lo dice una che, all’inizio del 3° anno, nonostante sia fuorisede e pendolare, è perfettamente in pari con gli esami. Ve lo dice una che, se il ddl sarà approvato, dovrà fare le valigie e lasciare questo progetto, a cui tiene così tanto, a qualcun altro, qualcun altro che se lo potrà permettere.

Ecco perché protestiamo.

SARA PILIA

studentessa ex-Facoltà di Studi Orientali

27 Novembre 2010

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