Coordinamento nazionale GC 27 Marzo 2011 – Ordine del giorno sulla guerra in Libia
I Giovani Comunisti hanno mobilitato sin dalla prima notte dei bombardamenti le proprie strutture territoriali, promuovendo conseguentemente iniziative (assemblee, sit-in, presidi, manifestazioni) ovunque è stato possibile. In continuità con le iniziative già organizzate, nei prossimi giorni moltiplicheremo i nostri sforzi per promuovere e partecipare a nuove iniziative di mobilitazione (a partire dagli appuntamenti del 29 marzo e del 2 aprile) che corrispondano al grande bisogno di opposizione alla guerra.
In coerenza con un’analisi prodotta già nei primi giorni della rivolta libica (nei quali già intravedevamo il rischio concretissimo di un intervento militare), abbiamo denunciato con tutta la forza di cui siamo stati capaci l’aggressione alla Libia.
Il coordinamento nazionale ribadisce i punti essenziali dell’analisi svolta nei giorni scorsi:
- siamo contrari alla guerra perché viviamo con sofferenza ogni intervento militare e ogni violenza che è sempre, in ogni caso, una sconfitta per le donne e gli uomini che pensano che ai conflitti si possa dare una soluzione politica e diplomatica;
- siamo contrari alla guerra perché intravediamo nell’aggressione precisi interessi economici e geo-politici neo-coloniali (la Libia è strategicamente importante perché è posizionata al centro dell’area più decisiva del mondo, il Mediterraneo; e la Libia detiene enorme riserve di gas e petrolio, risorse energetiche di buonissima qualità e più vicine e quindi economicamente trasportabili in Europa. Il vero obiettivo di Usa e Unione Europea è mettere le mani sul rubinetto energetico libico, da cui dipendono in gran parte l’Europa e la Cina, e ridisegnare gli equilibri in un’area – dal nord Africa all’Iran – dove la presa delle potenze occidentali si è costantemente indebolita negli ultimi anni, a seguito delle fallimentari esperienze militari dell’ultimo decennio);
- siamo contrari ad una guerra avviata da una scriteriata risoluzione delle Nazioni Unite, illegittima nella misura in cui non rispetta gli articoli 40 e 41 del suo Statuto, che prevedono la possibilità di interventi militari solo nel caso falliscano tutte le azioni diplomatiche e di mediazione (e che evidentemente non sono state esperite dalla comunità internazionale);
- le motivazioni con cui la guerra è stata dichiarata (motivazioni “umanitarie”, in coerenza con la triste teoria di interventi “democratici” avviati dodici anni fa con l’aggressione alla Jugoslavia) sono fondate sulla menzogna e sulla estremizzazione e caricaturizzazione di una realtà oggettivamente conflittuale e repressiva (si è parlato addirittura di fosse comuni, 10.000 vittime in 24 ore, bombardamenti a tappeto sui civili, genocidio);
- non ci sfugge, al contrario, che le reali motivazioni sulle quali si fonda l’intervento, come dimostrano le diverse collocazioni di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e l’astensione, con motivazioni molto diverse tra loro, di Germania, Cina e Russia, si inscrivono in un contesto di conflitto tra grandi potenze e anche tra grandi potenze imperialistiche per il controllo economico e geostrategico dell’area e per la ridefinizione dei rapporti di forze a livello globale e nella stessa Unione Europea;
- la nostra contrarietà alla guerra non modifica il nostro giudizio sul regime di Gheddafi: un regime che da molti anni ha abbandonato il processo di socializzazione delle risorse energetiche che lo aveva contraddistinto dopo la liberazione anti-monarchica, che ha cambiato il proprio orientamento internazionale (con una progressiva subordinazione alle ragioni delle multinazionali europee e agli interessi delle potenze occidentali, a partire dall’Italia) e anche – in termini altrettanto regressivi – il proprio rapporto con la popolazione;
- dentro questo quadro si colloca il nostro giudizio sui sommovimenti libici, in cui senz’altro hanno vissuto istanze di libertà, democrazia e rinnovamento generazionale simili a quelle che hanno segnato le rivolte in Egitto e Tunisia (ma anche in Algeria, nello Yemen, nel Bahrein e in Giordania), ma che vanno analizzati in maniera più articolata. Lo scontro tribale, il conflitto inter-regionale, la particolare condizione sociale ed economica del Paese (la Libia ha un reddito pro capite sei volte superiore a quello egiziano), lo scontro interno al blocco di potere di Gheddafi, il ruolo degli Stati Uniti d’America, dell’Inghilterra e della Francia nel finanziamento e nell’armamento delle rivolte sono peculiarità della situazione libica che vanno adeguatamente considerate;
- il possibile cambio di regime in Libia e quindi la caduta di Gheddafi per mano dell’Occidente in armi avrebbe l’effetto di rafforzare le posizioni della parte degli insorti interessata a sostituire il regime nella gestione delle risorse energetiche del Paese in un quadro magari formalmente più democratico, ma sotto protettorato occidentale e senza alcun cambiamento delle condizioni sociali delle masse libiche. Contestualmente sarebbero quindi indebolite le istanze dei settori più genuini della rivolta. Questo precedente avrebbe poi un effetto negativo di riflesso sul vento di rivolta che interessa il mondo arabo, a partire da quei Paesi (come l’Egitto e la Tunisia) in cui le popolazioni si sono autodeterminate e liberate, con le proprie forze, da regimi oppressivi e reazionari.
A fronte di tutto ciò la nostra linea e il nostro impegno sono chiari: lavorare in ogni singolo territorio e a livello nazionale per la costruzione di un forte e unito movimento di massa contro la guerra, che va sostenuto e accompagnato, a maggior ragione in un contesto oggettivamente difficoltoso come questo.
Dentro questo impegno sta il nostro giudizio sulle posizioni in merito alla situazione libica dei gruppi dirigenti del Partito democratico e delle altre forze moderate interne al centro-sinistra. Un giudizio radicalmente negativo, ma che muove dalla presa d’atto che tutte le socialdemocrazie europee (a partire da quel che resta di quella italiana) hanno improntato la propria politica estera al concetto (tragico e irricevibile) dell’esportazione della democrazia.
Le parole d’ordine con le quali i Giovani Comunisti partecipano e parteciperanno nelle prossime settimane alle mobilitazioni sono:
- no alla guerra senza se e senza ma;
- chiusura delle basi NATO e statunitensi situate sul territorio italiano e uscita dell’Italia dalla NATO;
- riconoscimento del principio di non ingerenza, del diritto dei popoli (anche del popolo libico) alla propria autonomia, alla propria indipendenza e alla propria sovranità;
- stop ai bombardamenti e avvio di un processo internazionale di pace che, attraverso il coinvolgimento delle diplomazie dei Paesi più avanzati, esprima una delegazione e imbocchi risolutamente la via del negoziato tra le parti in conflitto;
- il prosieguo e il rafforzamento di uno sforzo di solidarietà internazionalista in connessione con le realtà generazionali comuniste, socialiste e democratiche per la ripresa di una forte lotta antiimperialista e per la pace.
Simone Oggionni
Daniele Maffione
Francesco D’Agresta
Antonio Perillo
Anna Belligero
Michela Tripodi
27 Marzo 2011