Sinistra batti un colpo: mobilitazione straordinaria e sciopero generale

di Simone Oggionni

L’errore che non dobbiamo commettere è pensare che siamo in presenza di un fatto ordinario. Non soltanto perché, nell’arco di un mese, questa è la seconda manovra varata dal governo. 45,5 miliardi di euro che si aggiungono agli oltre 47 miliardi di poche settimane fa: un totale esorbitante di oltre 90 miliardi di euro, circa il 7% del Pil nazionale. Ciò che rende l’intervento di questi giorni del tutto eccezionale sono due aspetti, tra loro complementari.

Il primo è che la manovra recepisce in maniera plastica i dettami europei perseverando nell’applicazione delle stesse ricette che hanno prodotto la crisi.

Redistribuisce la ricchezza al contrario (non paghi del fatto che negli ultimi due decenni il 10% del prodotto interno lordo è transitato dal lavoro al capitale e alle rendite) e compie l’ennesima macelleria sociale utilizzando anche il paravento propagandistico dei “tagli alla politica”. Le riduzioni dei budget ai ministeri infatti corrispondono al licenziamento, entro il marzo 2012, del 10% dei dipendenti delle amministrazioni centrali e al congelamento delle tredicesime e delle liquidazioni dei dipendenti pubblici. I tagli agli Enti Locali per circa 6 miliardi di euro si tradurranno realtà per realtà nella diminuzione o soppressione dei servizi locali o nell’innalzamento delle imposte.

Il “contributo di solidarietà” per i redditi medio-alti è una vera e propria elemosina (è calcolato sulla quota eccedente le soglie dei 90 e 150mila euro, non sull’intero reddito) e viene ampiamente compensato dall’innalzamento dell’età pensionabile (per le donne a 65 anni a partire dal 2016) e dai costi sulla collettività delle privatizzazioni dei servizi pubblici locali.

La manovra riconferma le ricette fallimentari, quindi, e non dà alcuna risposta alla “crisi di sviluppo” del sistema produttivo italiano. Non affronta minimamente la piaga dell’evasione fiscale, non mette mano ai patrimoni (non è prevista ovviamente alcuna forma di tassa patrimoniale, nemmeno una tantum), non tocca le rendite finanziarie, non investe un centesimo in sviluppo, innovazione, ricerca, istruzione. Come scrive Luciano Gallino, la manovra è recessiva anche sul terreno squisitamente economico.

Ma il secondo aspetto che rende l’intervento del governo un fatto eccezionale è che esso produce, per via legislativa, una modificazione sostanziale dei rapporti tra le classi nel nostro Paese. Non solo perché mira ad inserire nella Costituzione l’obbligo del pareggio di bilancio, cioè uno dei dettami neoliberisti non per nulla contenuti nel Trattato di Maastricht, ma anche perché, sostituendosi alle parti sociali (anzi: servendosi dell’accordo del 28 giugno e del «contributo del 4 agosto» presentato dai sindacati insieme a Confindustria e banche), istituzionalizza il ricatto di Pomigliano e Mirafiori, garantendo alle imprese la libertà di licenziare e dunque la soppressione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, e introducendo la possibilità di scavalcare il contratto nazionale con la deroga di quelli aziendali. Un favore alla Fiat, che aveva chiesto espressamente al governo una legge che le permettesse di vincere la contesa giudiziaria con la Fiom sugli accordi illegittimi, e di riflesso a tutto il padronato italiano.

Il suggello simbolico di questa manovra è la cancellazione delle festività laiche ed antifasciste (a partire dal 25 aprile e dal 1° maggio): tutto in un colpo solo, quello che da decenni industriali e fascisti volevano e non erano mai riusciti ad ottenere.

Che fare, allora?

Nei mesi scorsi abbiamo vissuto il risveglio di movimenti e soggettività (dalle donne ai lavoratori e agli studenti) che hanno posto all’ordine del giorno, con una concretezza ed un entusiasmo che in questi ultimi anni alla sinistra sono onestamente mancati, il tema del cambiamento radicale del nostro Paese. Quella che abbiamo di fronte nelle prossime settimane è la prova del nove, perché ad essere sotto attacco sono – insieme – la democrazia formale e la democrazia materiale. La Costituzione, i suoi principi fondamentali e la sua natura, e il ruolo del lavoro e i suoi diritti nella contesa con il capitale. Tutto questo dentro una crisi che continua a mordere e impoverire i lavoratori, i giovani, i disoccupati, i pensionati, i soggetti più deboli.

O reagiamo tutti insieme e sulla base di una piattaforma rivendicativa comune ed avanzata, oppure non abbiamo futuro.

Servono parole d’ordine chiare e semplici (la patrimoniale, l’introduzione di una nuova forma di scala mobile per i salari, una forte tassazione delle rendite finanziarie, il controllo pubblico delle banche) e un’idea di sviluppo semplicemente opposta a quella che ci viene proposta, fondata sugli obiettivi della piena occupazione, del recupero del potere d’acquisto dei lavoratori, dell’abolizione della precarietà.

Per vincere questa partita deve battere un colpo la sinistra dei partiti e dei movimenti (tutta insieme, appunto) e deve battere un colpo in maniera inequivoca anche la sinistra sociale e sindacale, promuovendo il massimo della mobilitazione possibile a partire dalla convocazione di un nuovo sciopero generale. Sarebbe un segnale incoraggiante che il “la” venisse dalla nostra generazione, quella più colpita. Non c’è più tempo da perdere.

SIMONE OGGIONNI

14 Agosto 2011

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