Lezioni dall’Islanda: “Il vostro debito non lo paghiamo”

di Matteo Iannitti

Si sa, ultimamente, chi si mette in testa di interpretare e capire il mondo non lo fa più col calcolo scientifico della letteratura marxiana o con il rigore e il cinismo leninista. E chi decide di cambiarlo lo fa col cuore prima che con la testa. Per l’insofferenza di fronte le proprie e le altrui condizioni, per la rabbia verso chi si arricchisce e specula sulla pelle di molti altri, per una voglia di giustizia che ti fa stringere i pugni davanti ad ogni malefatta. Per quel desiderio di felicità collettiva senza la quale non riesci a tirare avanti senza sentirti in colpa.

Così quando tutto torna al calcolo economico, ai dati di borsa, a occupazione e inflazione, a rating e spread, ci si ritrova smarriti. È un altro vocabolario, spesso indecifrabile, volutamente criptico. Tutto si riassume in nuove tasse, nuovi tagli, meno diritti e la colpa è di quelle parole di cui non conoscevamo l’esistenza e di cui ignoriamo il significato. E ci fidiamo. Se è così complicato – diciamo in cuor nostro – sarà vero per forza. E quindi ci tocca pagare.

Eppure, prima di arrenderci, basterebbe che gettassimo lo sguardo su un’isola fredda e lontana, sconosciuta, dove si parla una lingua strana e dove qualche volta, erroneamente, prima di trovare la Lapponia sulla cartina, abbiamo pensato vivesse Babbo Natale. L’Islanda.

Lì lo Stato era in crisi, come in Grecia, come in Portogallo. Le banche gravemente indebitate erano state nazionalizzate ed il debito era diventato affare pubblico. Certo una situazione diversa da quella italiana per le cause che hanno portato all’indebitamento ma, allo stato attuale, parallela. C’è un debito e pagarlo, come chiedono tutte le istituzione sovranazionali, significa devastare socialmente il Paese, relegare alla povertà, alla mancanza di diritti, all’assenza di welfare tutti i cittadini. Il fine? Risanare i conti per dar fiducia ai mercati, portarli a reinvestire sui conti del Paese, insomma, far tranquillizzare – direbbe la BCE – gli speculatori, fare il loro gioco diciamo noi. Così nel medio termine tutto si normalizza e lo Stato può ricominciare ad indebitarsi, per poi ricadere nel tranello tra qualche anno.

La Grecia ed il Portogallo hanno ascoltato i geni dell’economia mondiale ed hanno incominciato a pagare. Le proteste ci sono state ma i rivoltosi hanno perso. Le conseguenze non si sono fatte attendere, quei paesi sono in ginocchio ma gli economisti applaudono contenti. In Islanda la rivoluzione ha vinto.

Nel giro di pochi mesi è stato cacciato il Governo ed è stata riscritta la Costituzione. Ma cosa ancor più rivoluzionaria, attraverso un referendum è stato deciso di non pagare quel debito. Hanno sfidato i ricatti, hanno sfidato le minacce, ma è successo. Certo oggi l’Islanda non è uno Stato ricco, è sicuramente in difficoltà ma ha riacquistato una dignità che noi tutti abbiamo svenduto negli ultimi anni. La costituzione l’hanno scritta i cittadini, le riunioni sono andate in streaming su internet, tutto è stato fatto in maniera orizzontale e partecipata. Ricorda quasi quell’ormai lontano giugno italiano durante il quale un migliaio di pazzi senza alcuna speranza hanno convinto un Paese intero a ripubblicizzare l’acqua.

Eccoci di nuovo nel nostro mondo, quello dei sogni e delle passioni, delle cose facili dai nomi romantici. Ma quale spread? Ma quale rating? In Islanda parlano di democrazia diretta, di Stato al servizio dei cittadini, parlano la nostra lingua.

E allora perché non lo facciamo anche noi? Lì, in quel Paese freddissimo, li avevano presi per pazzi, li avevano ricattati, li avevano accusati di ridurre lo Stato in ginocchio. Eppure l’hanno fatto. Forse la nostra è soltanto paura, è il terrore di cambiare. Ma oggi andiamo incontro a morte sicura, la nostra economia non ci assicurerà più il tenore di vita che avevamo, ci saranno licenziamenti, non ci saranno pensioni, per i giovani non ci saranno contratti, per le donne neanche. Per i bambini toglieranno le scuole, per i malati non ci sarà posto in ospedale. Solo i ricchi si salveranno. Ma per quanto? Se non ci sarà nessuno ad alimentare la loro ricchezza anche i ricchi faranno la fine dei poveracci. Non abbiamo da perdere che le nostre catene, avrebbe detto Marx.

Eppure ancora nessuno lo dice. È semplice, lo capirebbe qualunque bambino. Soldi non ce n’è. Il debito non possiamo pagarlo. Decidiamo di non pagarlo.

Qualcuno risponderà che questo significa cambiare tutto, rovesciare il sistema. Bene, noi siamo disposti a farlo. Cambieranno le nostre vite? Certamente, ma cambierebbero lo stesso.

È il coraggio della rivoluzione che ci manca. E così il più estremista è costretto a dire da dove bisogna prendere i soldi per pagare, piuttosto che, in maniera più facile, dire che non bisogna farlo.

Patrimoniale, soldi dalla Chiesa, riduzione degli stipendi dei parlamentari sono cose sacrosante ma perdono qualsiasi senso di giustizia sociale se sono funzionali a risanare il nostro debito e alimentare nuovamente i capitali dei banchieri, degli speculatori, degli sciacalli.

Dobbiamo trovare il coraggio di guardare a quel paese lontano dove regna la democrazia, dove la gente ha una dignità, dove le donne e gli uomini hanno rifiutato il ricatto. Dove si è rifiutata la compatibilità al Sistema. Dove di fronte al bivio tra economia e persona umana si è scelto di andare verso le persone, le famiglie, i ragazzi. Hanno scelto la rivoluzione.

Noi siamo ancora qui a chiedere la patrimoniale. Ma in realtà c’è solo bisogno di rivoluzione. Come in Islanda.

Noi il loro debito non dobbiamo pagarlo.

 

MATTEO IANNITTI

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