Vi segnaliamo l’ottima intervista di Piero Bernocchi, che esprime un punto di vista autorevole e soprattutto condiviso dalla stragrande maggioranza del coordinamento 15 ottobre. Serve anche a noi per orientarci nel marasma di comunicati, articoli, note e commenti che stanno uscendo in questi giorni. Simone Oggionni
Intervista a Piero Bernocchi di Giacomo Russo Spena
“Gli sfasciavetrine avevano un unico obiettivo: attaccare la struttura organizzativa del coordinamento 15 ottobre facendo così saltare il progetto di questa manifestazione”. Piero Bernocchi, leader dei Cobas e veterano dei movimenti e della piazza, non usa giri di parole. Va dritto al cuore del discorso. “Non sono nè infiltrati nè pagati da qualcuno, sono gruppetti della sinistra antagonista-anticapitalista che portano avanti un estremismo infantile e dannoso, hanno fatto della pratica di piazza devastatoria – cioè dello sfasciare simboli presunti o veri delle multinazionali o delle banche o del capitale – il loro modo di esprimere radicalità”.
Bernocchi, lei era tra i promotori della manifestazione degli Indignados. Ora cosa rimane dei cocci?
Si è ripetuto il meccanismo di Genova 2001, un grande arco di convocazione composto da varie organizzazioni di movimento ha prodotto un enorme risultato portando in piazza centinaia di migliaia di persone animate dalla convinzione che solo un’ampia alleanza politica-sociale-sindacale possa portare un profondo cambiamento nel Paese. Quello che è successo putroppo mette in discussione tutto. Lo stesso coordinamento 15 ottobre rischia ora di frantumarsi per le divisioni interne.
Ma che idea si è fatto delle violenze del “blocco nero”?
Innanzitutto il termine black bloc non significa nulla, è un termine che la polizia tedesca usava per definire determinati comportamenti ma non prevede un’organizzazione militare e politica strutturata o unitaria. Come erroneamente si legge sui giornali in questi giorni: non c’è bisogno di andare ad esercitarsi in Grecia per dare fuoco a una macchina o ad un cassonetto dell’immondizia… Non è che hanno compiuto gesti particolarmente eclatanti o tecnicamente difficili o che richiedono il manuale della guerriglia, stiamo parlando di macchine bruciate, di bombe carta nel cassonetto e di vetrine in frantumi: non è necessario andare a scuola da nessuno! Per questo preferisco chiamarli “sfasciacarrozze” o “sfasciavetrine”. Comunque per analizzare i fatti di sabato bisogna capire il dibattito interno al movimento nei giorni antecendenti al 15. Un’area della sinistra radicale-antagonista ha visto nel comizio finale a San Giovanni una scelta moderata e funzionale a costruire una futura ipotesi di alleanza coi partiti del centrosinistra. Un’assurdità, i Cobas sono sempre stati distanti dal centrosinistra non per un pregiudizio ma per una serie di politiche portate avanti in questi anni. In contrapposizione al comizio finale a San Giovanni si è affermata così la volontà di assediare i “Palazzi del potere”, questa teoria ha spalancato le porte a questi gruppuscoli che fanno dell’antagonismo e della conflittualità i propri pilastri denunciando gli altri soggetti di movimento come “moderati”. Una sorta di corsa a sinistra molto politicista – molto poco sociale e conflittuale – perchè alla fine ad essere devastata è stata la manifestazione. Non i palazzi del potere. Per sventare una presunta (e inventata) manovra di nuovo centrosinistra sono state sacrificate 200/300mila persone. Una follia.
Tra l’altro la sua organizzazione a Via Labicana ha affrontato fisicamente un gruppetto di “sfasciavetrine” cercando di spingerli fuori dal corteo. Non si poteva fare un servizio d’ordine di tutta la manifestazione?
Noi abbiamo gestito il nostro spezzone con responsabilità. Per quel che ci riguarda si è ripetuto quanto già visto a Genova nel 2001: anche lì avevamo denunciato il rischio di gruppetti devastatori ed avevamo invitato tutti ad attrezzarsi per eventuali disordini. E – anche sabato va detto – c’erano molte sigle con un servizio d’ordine come la Fiom o Uniti per l’Alternativa o i Giovani Comunisti. Il guaio è che in mezzo a queste parti strutturate si sono infilate migliaia di persone rendendo pressoché impossibile una gestione totale del corteo: è mancato il raccordo tra questi pezzi organizzati perché molta gente non vuole essere – anche giustamente – inquadrata in nessuno spezzone. Ma questo genera scompiglio e una gestione più difficoltosa della piazza. Poi il resto l’hanno fatto gli agenti. La polizia non è intervenuta per 7 km ma l’ha fatto nell’unico punto in cui erano radunati i manifestanti pacifici: San Giovanni. Si è ripetuto esattamente il modello Genova. Mai le forze dell’ordine avevano caricato a San Giovanni, e l’hanno fatto con caroselli di blindati che sfrecciavano a 60 km/h tra la folla. Inoltre il gioco di cariche e controcariche ha permesso che a fianco agli “sfasciacarrozze” arrivasse altra gente indignata dal comportamento della polizia e ne aumentasse i numeri. “Per poco non c’è scappato il morto” ha detto Maroni, ma il morto l’avrebbero fatto loro. L’ultima carica è stata portata vanti con un blindato che sfrecciava tra i manifestanti, al terzo giro ha sbandato e ha preso in pieno il nostro camion, per fortuna nessuno dei nostri era schierato da quella parte altrimenti il morto lì ci scappava davvero. Il ministero degli Interni – ad una cert’ora e dopo i fatti di via Labicana – ha capito che poteva dare una bastonata definitiva alla struttura organizzata il 15 ottobre e ha pensato di infierire rendendo ancor più impossibile la gestione della piazza.
Crede che il movimento italiano degli Indignados abbia subito un colpo mortale per i fatti di sabato?
Innanzitutto un’idea banalissima e semplicissima: prima del prossimo appuntamento si deve trovare un’intesa politica totale tra gli organizzatori. Non si possono avere divergenze sul percorso da intraprendere o sulle finalità. Rimane però un problema consistente, che succede se ciò malgrado arrivano gli “sfasciacarrozze”? Per esperienze, penso che vadano dove si annidano situazioni contraddittorie, in caso di una posizione chiara e netta di tutti gli organizzatori non ci sono spazi per incunearsi. Se avessimo voluto buttarli fuori tutti insieme, si poteva fare. E’ vergognoso che questi gruppetti – a differenza dei black bloc del Nord Europa che fanno saltare le banche ma non a 10 metri dal corteo o comunque non lo usano per “coprirsi” – agiscano con una totale irresponsabilità: bruciano cassonetti e macchine lungo il percorso della manifestazione. Senza pensare alle possibili conseguenze di tali gesti, come l’esplosione di un serbatoio di una automobile. Sono azioni che hanno una forma di parassitismo e di vigliaccheria esplicita: non le compiono da soli ma coperti da un corteo, sapendo che la polizia non carica quest’ultimo. In questo modo il rischio della tragedia è sempre a portata di mano.
Ultima cosa. Di Pietro auspica una nuova legge Reale, Maroni è d’accordo con lui nell’introduzione di nuove norme contro i “violenti”. Intanto in giro per l’Italia sono scattate una serie di perquisizioni. Teme un’ondata repressiva dei movimenti?
Tutte follie che aiutano questi gruppi. Se c’è un modo per farli ingigantire, per farli diventare martiri, per mettergli dietro tanta gente che sostiene lo sfogo di piazza una volta l’anno, è questo! Noi vogliamo fare politica quotidianamente generando conflitti, per risollevare le sorti delle masse popolari sottoposte a un attacco pesantissimo: una crisi che stanno pagando per l’ennesima volta loro e non i grandi gruppi finanziari o gli Stati o le politiche governative. Di fronte a questo ci vogliono lotte serie e organizzate, non lo sfogo una volta ogni 365 giorni, per giunta in questa forma. Però con le perquisizioni a tappeto si sta facendo di tutta un’erba un fascio colpendo nel mucchio. Così gli “sfasciacarrozze” – che sabato rappresentavano un’infima minoranza – riescono solo ad aumentare il loro consenso. Li fai martiri. Altro che leggi reali.
GIACOMO RUSSO SPENA
18 ottobre 2011