15 ottobre: un fallimento su cui discutere seriamente. No a nuove leggi di polizia

di Giorgio Cremaschi

E’ inutile nasconderlo o minimizzarlo: il 15 ottobre c’è stata in Italia la più grande manifestazione tra quelle realizzate in tutto il mondo ed è finita in un disastro.
Noi che siamo tra coloro che l’hanno promossa e organizzata, abbiamo il dovere di scusarci con tutte e tutti coloro che sono venuti lì per manifestare e basta. Non siamo stati in grado di garantire ad essi l’esercizio di questo loro diritto. Una minoranza, non è importante quanto vasta, ma comunque nettamente tale, si è impadronita della manifestazione e l’ha trasformata sul piano militare, sul piano mediatico e su quello politico in un’altra cosa.

Questo è per me il punto centrale, poi naturalmente ci sono le singole responsabilità, gli atti di devastazione inaccettabili, così come anche gli scontri in piazza San Giovanni, ove le cariche della polizia hanno finito per coinvolgere tutte e tutti coloro che volevano manifestare. Se vogliamo fare una riflessione politica, dobbiamo sottolineare che questo è stato il senso della giornata: un esproprio di democrazia, coperto dagli scontri, quando doveva essere esattamente il contrario.

Per questo sono contrario a minimizzare, così come respingo le reazioni ipocrite del palazzo. L’Italia è un paese con una democrazia malata, dove nelle istituzioni, nel parlamento, stanno persone incriminate per reati gravissimi, che considerano la magistratura una forza eversiva. L’illegalità in questo paese comincia dall’alto e, senza per questo giustificare nulla, è evidente che questo apre la via alla rottura e alla sfiducia anche violente. Per questo la risposta non può essere la negazione della realtà. I giovani che sfasciavano tutto, e che hanno aggredito prima di tutto il corteo e la manifestazione, vanno affrontati prima di tutto come un problema politico. Sono assolutamente contrario alla proposta di Di Pietro e Maroni di nuove leggi di polizia, questo sì sarebbe il modo per precipitare in rotture da fine anni Settanta. E’ evidente che chi ha provocato gli incidenti aveva una totale sfiducia nella funzione e nella efficacia delle grande manifestazione. E’ di questo che bisogna discutere, naturalmente con tutto il rigore necessario. Bisogna che i movimenti sappiano validare con una discussione democratica le scelte che compiono. Bisogna che ci siano le assemblee, le sedi aperte e trasparenti ove si decidono quali sono i criteri e le forme organizzate delle manifestazioni e ove si chiarisce che chi non li rispetta è estraneo ad essa. Questa è la questione di fondo, rispetto alla quale non ci sono scorciatoie. O sappiamo affrontare questa crisi dei nostri movimenti e delle nostre lotte con un confronto aperto e con una pratica democratica vera, oppure rischiamo di veder travolte la nostra forza e le nostre ragioni. E’ molto facile, di fronte a questa crisi economica, alla disperazione che produce, alla chiusura e alla crisi della nostra democrazia, che cresca lo spazio per azioni di carattere disperato. Se vogliamo impedirlo dobbiamo maturare in fretta e, senza ipocrisie, assumerci la responsabilità dei fallimenti. E il 15 ottobre in Italia lo è stato.

GIORGIO CREMASCHI

19 ottobre 2011

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