di Simone Oggionni
Le dimissioni di Berlusconi di queste ore sono un fatto epocale. Chiudono un’epoca tristissima della nostra storia nazionale, durante la quale il sistema di potere e di valori berlusconiano ha cambiato nel profondo il volto del Paese. Quest’Italia che oggi può svegliarsi dall’incubo è più povera di quanto non fosse nel 1994. Più ingiusta e diseguale socialmente, ma soprattutto corrotta e umiliata nella sua antropologia profonda. È un Paese che ha assorbito e radicato nelle viscere tutti i peggiori tratti del berlusconismo: l’individualismo, l’egoismo proprietario, la prepotenza e l’arroganza padronale, l’indifferenza. Soltanto i prossimi anni ci diranno quanto l’infezione sia profonda e quanto tempo ci vorrà per curarla. Ma se il nostro male fosse solo questo, saremmo tranquilli e potremmo almeno per ora festeggiare la caduta del tiranno e iniziare a progettare il futuro.
E tuttavia, per quanto paradossale e duro sia riconoscerlo, non è facile in queste ore festeggiare come vorremmo. Perché il rischio concretissimo che abbiamo davanti a noi è che al posto del regime di Berlusconi si insedi un governo tecnocratico diretta espressione di quei poteri finanziari ed economici e di quelle istituzioni in nome dei quali Berlusconi ha governato in questi anni, demolendo tante conquiste del movimento operaio dei decenni scorsi, a partire dai diritti dentro i luoghi di lavoro e dallo Stato sociale. Oggi quei poteri, che non si fidano ancora del centro-sinistra (e per questo impediscono le elezioni anticipate) ma neppure più di Berlusconi, chiedono il conto e assumono direttamente nelle proprie mani la nostra sovranità nazionale, utilizzando come strumento quel Mario Monti per dieci anni Commissario Europeo, presidente europeo della Trilateral di Rockfeller e international advisor della Goldman Sachs, la banca d’affari più potente del mondo. Insomma: il più affidabile rappresentante di quei poteri forti che il governo Berlusconi ha difeso e rappresentato e che, non dimentichiamocelo, sono la causa e l’origine di quella crisi economica che oggi Monti sarebbe chiamato ad attenuare.
Siamo quindi ad un passaggio delicatissimo. Quel giorno della liberazione tanto agognato oggi, visto da vicino, è molto diverso da come lo avevamo immaginato.
La percezione di una democrazia in crisi verticale è così forte da non consentirci soddisfazioni incaute. Come in Grecia, così in Italia. Perde la democrazia, si restringono pesantemente gli spazi della politica e del controllo pubblico e mediato sulle scelte di interesse collettivo. Va in crisi l’idea che la volontà popolare determini ed indirizzi i Parlamenti e l’azione dei governi. Questo paradigma fondativo della nostra Repubblica e della nostra Costituzione, già pesantemente messo in discussione dal populismo di destra e di sinistra e dalla parallela vandea anti-politica, subisce oggi un colpo durissimo.
Abbiamo davanti a noi scenari diversi. È possibile che la pressione e il residuo potere contrattuale di Berlusconi faccia sì che il governo Monti nasca con un impegno a termine e che quindi in primavera si torni a votare.
Ma difficilmente il quadro politico italiano dopo questi giorni di travaglio e ancora di più dopo la nascita del nuovo governo sarà uguale a come lo abbiamo fino ad oggi conosciuto.
Le prese di posizione delle forze politiche determinano, per ciascuna, un punto di non ritorno. Coloro i quali si illudono di poter chiedere al nuovo governo forme di redistribuzione e di equità sociale dimostrano una colossale ingenuità, che in politica equivale ad una colpa.
Quanto al Pd, che in queste ore sta accettando di sostenere il nuovo governo, sappia che non solo sta compromettendo la posizione di vantaggio elettorale accumulata in questi anni. Sta definitivamente abdicando ad una funzione di alternativa la cui possibilità era tutta nelle sue mani. Una parte di quel partito lo vuole, strategicamente. Un’altra parte ne è costretta, ma lo sta allo stesso modo accettando.
Questi atteggiamenti rischiano di segnare una forte ipoteca sul futuro. Sull’interesse generale del Paese, che rischia di uscire da un tunnel (quello di Berlusconi) per infilarsi in un altro (quello del regime monetario dell’Unione Europea e delle sue banche). Ma anche sull’interesse specifico della sinistra italiana, che rischia di esplodere di fronte al cambiamento di scena.
Il nostro compito è contrastare senza alcuna ambiguità il governo Monti, in qualunque forma esso prenderà vita; e aggregare immediatamente tutte le forze politiche e sociali contrarie alla grande coalizione, costruendo con loro un’opposizione di sinistra.
Caduto Berlusconi, diventa determinante capire, con grande nettezza, chi accetta di adeguarsi alle pretese della Banca Centrale Europea e chi vuole mantenersene autonomo. La nostra strada è una sola.
SIMONE OGGIONNI
13 novembre 2011