Intervento di Simone Oggionni all’VIII Congresso nazionale di Rifondazione Comunista
Percepisco il rischio dell’ordinarietà, e cioè che questo congresso, questo dibattito, ci scivoli addosso senza capirne l’importanza.
Ma sbaglieremmo, perché questo non è un congresso ordinario. Questo è un congresso che cade nel ventennale della nostra nascita – e quindi impone necessariamente di fare i conti con la nostra storia, con ciò che abbiamo fatto e con ciò che siamo diventati – ed è un congresso segnato dal carattere eccezionale della fase politica che stiamo attraversando.
Sulla fase politica non voglio aggiungere molto a quello che è già stato detto. Soltanto tre punti, rapidissimi.
Prima questione: tutte le nostre energie vanno dedicate all’opposizione politica e sociale al governo Monti. Un governo la cui cifra più pura sta nell’attacco violentissimo che sta progettando al lavoro (che è il cuore della questione italiana) e ai lavoratori, con quella proposta Ichino che, nel nostro Paese, con questo capitalismo straccione e rapace, si trasformerà nella libertà totale di licenziare e nella libertà concessa ai padroni di imporre, senza alcun vincolo, il proprio arbitrio, la propria violenza, la propria prevaricazione.
Seconda questione: questo governo porta in sé un pericolo ancora maggiore, di portata costituente, e cioè la normalizzazione nell’opinione pubblica dell’idea secondo la quale la Tecnica salva il mondo (quasi che il governo sia espressione diretta di una presunta Ragione scientifica, e non lo strumento di dominio dei poteri forti internazionali e nazionali che hanno causato la crisi). C’è in questo – e hanno fatto bene i compagni a ricordarlo – il rischio dell’omicidio della politica, dell’espropriazione della democrazia e della sovranità popolare (di cui il presidente Napolitano è più che un complice e più che un responsabile), coerente con quel vento di populismo, di presidenzialismo e di anti-politica che ha soffiato – voglio dirlo con il massimo della nettezza ai compagni di Sel, e al compagno Nichi Vendola in particolare – anche a sinistra, anche tra noi.
In terzo luogo, proprio perché le ragioni dell’opposizione sono così forti e nette, dobbiamo capire quale tipo di opposizione fare. E qui sta la politica, la capacità di cogliere e mettere in pratica le sfumature, i dettagli, la nostra intelligenza.
Io non penso che si possa fare opposizione con ambiguità, con reticenze, con mezze misure. Non penso si possa applaudire, e lo voglio dire al compagno Diliberto, all’autorevolezza di Monti e degli altri ministri oppure dichiarare di non avere tabù sulla riforma delle pensioni. E questo è bene dirlo con estrema, cristallina chiarezza!
Però compagni non si può nemmeno dare l’impressione di avere in qualche modo sempre bisogno di esagerare e di eccedere, perché questo tradisce pulsioni, tentazioni minoritarie, settarie. E allora, come ha detto ieri il Segretario, “massimo di chiarezza e minimo di settarismo”, perché l’opposizione può essere intransigente e allo stesso tempo intelligente. E cioè si può conciliare il rigore di una posizione intransigente con un atteggiamento egemonico che parli alla gente in carne ed ossa, alle masse lavoratrici, agli studenti, ai disoccupati.
E cioè un’opposizione che sappia parlare a tutta la sinistra, ai comitati, ai movimenti, alle organizzazioni di massa nel nostro Paese, che incalzi l’Idv e Sel e li metta di fronte alle proprie responsabilità e agli errori clamorosi di valutazione e di linea politica!
E che provi a utilizzare l’opposizione al governo Monti per fare l’unica cosa utile e sensata che dobbiamo fare: unire. Unire i comunisti, unire i lavoratori, unire le lotte, unire i conflitti, unire la nostra generazione, unire la sinistra, unire l’opposizione politica e sociale al governo dei padroni e delle banche.
Unire quindi non a partire dalle chiacchiere ma a partire dai fatti, dalle azioni, dalle lotte.
Come la straordinaria lotta che quotidianamente i nostri compagni, e in particolare i giovani, conducono contro le organizzazioni squadristiche, neofasciste e di estrema destra e contro le mafie e la criminalità organizzata spesso nell’isolamento più cupo, senza la protezione di null’altro al di fuori dei propri corpi e delle proprie idee. E anche per questo voglio ringraziare chi sta in trincea ogni giorno, nelle periferie delle grandi città e soprattutto nel nostro Mezzogiorno, e ricordare compagni come Dax, Valerio Verbano ma anche Pio La Torre e Peppino Impastato.
E voglio ricordare, permettetemelo, che questa nostra lotta contro il neofascismo e la mafia è spesso una lotta contro gli apparati repressivi dello Stato, che sono – con il loro disordine pubblico e le loro galere -l’altra faccia della medaglia: e quindi voglio dire che continueremo la nostra lotta anche in memoria di Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi e, a dieci anni da Genova, lasciatemi abbracciare idealmente Haidi e Giuliano e ricordare il nostro compagno Carlo Giuliani, nel nome del quale proviamo ogni giorno ad essere donne e uomini migliori.
Infine, voglio dire un’ultima cosa: non andiamo da nessuna parte se non prestiamo cura al più grande patrimonio a disposizione della sinistra italiana. E questo grande patrimonio si chiama Rifondazione comunista. Il nostro partito. E quando penso al nostro partito non penso ai gruppi dirigenti, la cui unità è certo importante e va valorizzata, ma non è la cosa più importante.
Non penso alle grandi strategie, alle grandi alchimie politiche, penso a quelle decine di migliaia di donne e uomini che ogni giorno impegnano con la militanza (una parola alta e nobile) la propria vita quotidiana, al prezzo di grandi sacrifici, sottraendo tempo ed energia ai propri affetti, al proprio tempo libero, alla propria famiglia. E sapete perché lo fanno, perché lo facciamo? Perché siamo mossi da una passione smisurata e da un amore vero nei confronti di valori come la giustizia, la libertà, l’eguaglianza, valori che hanno segnato la nostra storia e siamo convinti che segneranno ancora il nostro futuro.
E nessuno potrà mai convincerci del contrario, e di fronte a quelli che per vent’anni ci hanno insegnato che il comunismo è un cumulo di macerie e di orrori (al punto che non pochi anche tra noi se ne sono alla fine convinti) noi dobbiamo tirare fuori tutto l’orgoglio della nostra storia, della nostra identità. Perché il rifiuto di processare la nostra storia, l’orgoglio nei confronti della nostra storia è un pensiero carico di speranza e di impegno per il futuro.
Orgoglio, passione, amore. La politica è fatta di sentimenti e uno dei nostri compiti, forse il più grande, è riconnettere la nostra politica, la nostra iniziativa, con la vita quotidiana, con le sue sofferenze, i suoi dolori, ma anche le sue grandi gioie.
Connettiamoci, allora, e guardiamo al futuro. Senza averne paura.
È da tempo che diciamo che il partito ha bisogno di correre veloce e di mettere al centro della propria riflessione e della propria iniziativa i giovani. E oggi voglio dire, devo farlo da questo palco, lo dico in primo luogo al Segretario, che questa richiesta rimane spesso inascoltata. Ho letto in questi giorni il documento politico finale di una delle federazioni più grandi e importanti d’Italia, un documento importante, articolato, lungo, 33mila battute, 15 cartelle. Sapete quante volte compariva la parola “giovani” in questo documento? Una. Una volta sola.
Questo è il segno di un partito adulto sofferente, che tradisce una difficoltà e anche una paura.
Dobbiamo evitare un rischio, che per noi sarebbe letale. Il rischio è quello di perdere la capacità di comunicare con il nostro popolo, di perdere la capacità di parlare il linguaggio degli ultimi, degli sfruttati e anche quello del nuovo proletariato urbano giovanile, delle borgate, delle periferie. Che sia chiuso nei suoi tecnicismi, nelle sue tattiche di corridoio, nelle alchimie stantie dei gruppi dirigenti, nelle grandi strategie delle liste elettorali. Che rimanga imprigionato nelle sue liturgie, in pratiche sempre più vecchie, sempre più illeggibili, sempre più autoreferenziali. E quindi mute, afone rispetto ad un mondo – penso innanzitutto a quello della nostra generazione – che reclama un nuovo protagonismo, una nuova volontà di lottare e di prendere in mano il proprio futuro e che quindi reclama anche – facendo questo – una nuova grammatica.
Una nuova grammatica delle relazioni politiche che dica che il partito è importante ma non è sufficiente, e che – per dirla con Fausto Bertinotti – bisogna agire dentro il recinto ma anche fuori, immaginando e progettando un vero processo costituente della sinistra e dei movimenti sociali.
Una nuova grammatica delle relazioni umane, perché dopo vent’anni di regime berlusconiano va ricostruito anche tra noi un modo diverso di vivere il nostro impegno politico e il rapporto tra l’impegno e la vita privata, con maggiore coerenza, intransigenza personale e quindi anche capacità autocritica tra ciò che si proclama e ciò che effettivamente si fa.
Una nuova grammatica dei valori etici e dei valori estetici. Perché essere comunisti è il diritto a respirare aria pura, relazioni profonde, crescere un senso del bello che questa società involgarita e imbarbarita ci ha sottratto.
E allora in conclusione, sapendo che interpreto il sentimento di tutte le giovani compagne e dei giovani compagni del nostro partito, voglio rivolgere un pensiero a Lucio Magri, ripensando alle sue parole, che per me sono un rovello quotidiano.
“La memoria è presidio di libertà e di verità”. E penso di poter dire che la sua vita è stata un esempio straordinario di libertà.
Mentre la memoria delle sue lotte, della sua intelligenza, dei suoi scritti è, oggi, un presidio straordinario di verità.
Ed entrambi questi caratteri, la libertà e la verità della sua vita, della sua azione, del suo pensiero, ci parlano, ci devono parlare del nostro futuro.
Anche per te, nella tua memoria, l’uomo volerà. Grazie Lucio e grazie a tutti voi.
SIMONE OGGIONNI
portavoce nazionale GC
3 dicembre 2011