Non ci arrendiamo e continuiamo a lottare. Per Stefania Noce

di Manuela Grano

C’erano tante donne e tanti uomini giovedì scorso in piazza a Roma, come in altre città d’Italia, per ricordare Stefania Noce e tutte le altre donne a cui un uomo ha deciso di negare il più elementare dei diritti, quello alla vita. Migliaia di fiaccole si sono accese per far luce su un tema troppo a lungo ignorato: la violenza maschile sulle donne.
In Italia, un Paese cosiddetto democratico “avanzato”,  le donne vivono una guerra in tempo di pace. I numeri della violenza di genere non lasciano spazio a fraintendimenti: la violenza maschile è la prima causa di morte nel nostro Paese per le donne tra i 16 e i 44 anni; sono sei milioni 743 mila, secondo l’ISTAT, le donne che hanno subito una violenza fisica e sessuale; 97 sono le donne uccise nel 2011, 13 in questo primo scorcio di 2012, e nella maggior parte dei casi l’assassino aveva le chiavi di casa.
Stefania è quindi una delle tante, troppe, donne che ha pagato con il prezzo più alto la sua libertà di decidere della propria vita.
Di fronte alla frequenza impressionante con cui tali episodi di violenza si ripetono non è più consentito chiudere gli occhi, non è più consentita la banalizzazione del fenomeno, né tantomeno una sua riduzione a “casi isolati”  o “raptus di follia”, come spesso avviene sui media meistream. Occorre porsi seriamente il problema della violenza maschile sulle donne, mettendo in discussione radicalmente questo modello di relazioni, sociali, politiche ed economiche, incentrato sulla prevaricazione dell’uomo sulla donna. Non è per niente finita la battaglia per la nostra libertà, sono ancora attuali le idee che hanno mosso la straordinaria esperienza storica dei movimenti femminili e femministi nel nostro Paese. E in questo momento in cui gli attacchi al corpo e all’autodeterminazione delle donne si manifestano con una particolare recrudescenza e anche il più elementare dei diritti ci viene negato, dobbiamo essere ancora più consapevoli che nessun diritto è conquistato per sempre, che la storia della liberazione delle donne dall’oppressione patriarcale non è finita qui.
E’ compito (in primo luogo) delle donne (e poi) degli uomini attive/i nei movimenti e nelle forze politiche e sociali di sinistra, svelare i nessi tra lo svantaggio politico sociale delle donne nella società e la violenza di genere; trasformare l’indignazione e la rabbia in un impegno diretto, in una mobilitazione permanente, perché è in gioco la cittadinanza in un Paese e in un futuro migliore per le donne e anche per gli uomini.
Abbiamo, perciò, di fronte un cammino impegnativo fatto di battaglie politiche per contrastare, senza ambiguità, questo sistema capitalistico, che ha bisogno, per la sua stessa sopravvivenza, di collocare le donne nei gradini inferiori delle gerarchie interne alla forza lavoro. E, ancora, un cammino fatto di battaglie culturali, per scardinare questi rapporti, consolidati, di potere tra i sessi entro cui la violenza maschile viene esercitata, e per decostruire immaginari e pratiche che puntualmente ci ripropongono una concezione della donna come soggetto violabile, ovvero come oggetto di dominio.
Noi giovani comuniste non abbiamo nessuna intenzione di arrenderci e di lasciar cadere nel vuoto l’appello di Stefania a continuare la lotta affinché nessuna donna sia mai più “proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno Stato, né, tantomeno, di una religione.

MANUELA GRANO
Responsabile diritti Giovani Comuniste/i

2 febbraio 2012

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