Pubblichiamo questo articolo dei compagni e delle compagne di Cardito che sintetizza molto bene l’attuale stato dell’articolo 18 e la minaccia che incombe sui diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. L’immagine riportata è anche scaricabile nella colonna di sinistra e l’invito è, ovviamente a riprodurla ovunque e comunque sia possibile! (la redazione)
Dopo l’aggressione al mondo del lavoro da parte del governo Berlusconi, l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è tornato nuovamente al centro degli attacchi del governo Monti. Con la manomissione dell’articolo 18 ogni lavoratore si troverebbe in una condizione di precarietà e di ricatto permanente, essendo licenziabile in qualsiasi momento. Verrebbero così minate alla radice le agibilità e libertà sindacali fondamentali per la tenuta della democrazia nel nostro Paese. Per questo motivo l’articolo 18 non va solo tutelato ma va esteso a tutto il mondo del lavoro.
L’articolo 18 è prima di tutto una norma di civiltà che obbliga a reintegrare nel posto di lavoro chi viene licenziato ingiustamente: costituisce una garanzia per ogni singolo lavoratore ed è il fondamento per l’esercizio dei diritti sul luogo di lavoro. Se fosse eliminato, ogni lavoratore sarebbe in una condizione di ricatto permanente: l’azienda per cui lavora potrebbe licenziarlo in qualsiasi momento e senza motivo, o perché si è battuto per il rinnovo del contratto, o perché chiede condizioni di lavoro più dignitose, o perché ha chiesto il rispetto delle norme, o perché ha scioperato, o perché ha una famiglia a carico, o perché non è simpatico al datore di lavoro, o ancora per le proprie idee politiche. Si tratta di una discriminazione che non ha giustificazioni: manomettere l’articolo 18 significa infatti voler ridurre il lavoro a pura merce, senza libertà democratiche e senza dignità umana, rendendo tutti i lavoratori precari e ricattabili.
Sull’articolo 18 si dicono molte inesattezze, è giusto quindi che venga sfatato il mito ideologico:
1) E’ falso che un’impresa in crisi non possa licenziare, come sanno i tanti lavoratori che lo hanno vissuto sulla propria pelle.
2) E’ falso che in Italia i licenziamenti sono un problema secondario; gli indici OCSE sulla rigidità in uscita collocano il nostro Paese al di sotto della media europea.
3) E’ falso che i problemi di produttività sono legati all’articolo 18; dipendono invece dai bassissimi investimenti in ricerca e sviluppo (rappresentano meno dell’1% del PIL), dalle privatizzazioni e dall’assenza di una politica industriale; viceversa sfruttamento e precarietà sono in aumento mentre i salari restano tra i più bassi d’Europa e il numero delle ore lavorative tra i più alti.
4) E’ falso che l’articolo 18 interessi solo ad una minoranza poiché i lavoratori tutelati da questa norma sono quasi 8 milioni e rappresentano ben il 65% del totale della forza lavoro presente nel nostro Paese.
L’articolo 18 va invece esteso a tutti i lavoratori, così come vanno estesi gli ammortizzatori sociali e va istituito un reddito sociale per combattere disoccupazione e precarietà. Va cancellata ogni forma di lavoro precario che abbatte i diritti e ruba il futuro delle giovani generazioni. L’articolo 18 costituisce il primo fondamento per l’esercizio della democrazia sul posto di lavoro ed è per questo motivo che va esteso a tutti i lavoratori: sia perché la FIOM torni in FIAT, contro il ”modello Marchionne” che vuole cancellare la democrazia dai luoghi di lavoro; sia perché si arrivi infine ad un’opposizione politica e sociale costituente, attraverso le mobilitazioni a difesa del lavoro e contro le politiche di austerità del governo Monti.
”Il lavoro non viene più eseguito con la coscienza orgogliosa di essere utile, ma con il sentimento umiliante e angosciante di possedere un privilegio concesso da un favore passeggero della sorte, un privilegio dal quale si escludono parecchi esseri umani per il fatto stesso di goderne, in breve, di un posto.” (Simone Weil)
dal profilo Facebook omonimo, 22 marzo 2012