di Wu Ming
Piazza Alimonda, Genova, h. 17:30 circa del 20 luglio 2001. I tutori dell’ordine hanno appena massacrato di botte il fotografo Eligio Paoni, colpevole di aver fotografato da vicino – e troppo presto – il corpo di Carlo Giuliani, e hanno metodicamente distrutto la sua Leica. Nel cerchio rosso, un agente lo trascina sul corpo e gli preme la faccia su quella insanguinata di Carlo (ancora vivo). Non è difficile immaginare cosa gli stia dicendo. Cosa non si doveva sapere delle condizioni del ragazzo in quel momento? Forse la risposta riguarda un sasso, un sasso bianco come il latte che si muove da un punto all’altro del selciato, scompare e ricompare, e a un certo punto è imbrattato di sangue.
Partiamo da una verità di base: tutto quello che la maggioranza degli italiani sa della morte di Carlo Giuliani è falso.
Pochi giorni fa, in Piazza Alimonda, i soliti ignoti hanno danneggiato la targa in memoria di Carlo, imbrattandola con un getto di inchiostro nero. Le parole più belle per commentare quest’episodio, in apparenza piccolo, le ha scritte Carlo Gubitosa:
«Cari Elena, Giuliano, Haidi, pensavamo che fosse una targa, destinata a rimanere lì sfidando il tempo per fare memoria. Invece abbiamo scoperto che è un termometro dell’intolleranza, una cartina di tornasole della vigliaccheria, una centralina di rilevamento della bestialità. Ancora una volta in piazza Alimonda emerge il meglio e il peggio della società, e la vitalità di un marmo inerte solo in apparenza si anima per diventare megafono di denuncia dell’anticultura repressiva più brutale. Non rattristatevi per questo episodio, servirà da monito per i tanti, i troppi che vogliono chiudere quella parentesi aperta undici anni fa per lasciarsi alle spalle quello che dovremmo tenere sempre davanti a futura memoria.»
Dopo aver letto queste frasi, però, ci è tornata in mente l’eco di mille, diecimila, centomila conversazioni e dichiarazioni piene zeppe di “sì, ma”:
– Sì, è triste che sia morto un ragazzo, ma in fondo stava per lanciare un estintore…
– Capisco che il padre e la madre facciano tutto ‘sto casino, è naturale, ma il loro figliolo non era un santo, era un teppista col passamontagna.
– Che palle con ‘sto Giuliani, al povero carabiniere che si è dovuto difendere non ci pensa nessuno?
Dicevamo: tutto quello che la maggioranza degli italiani sa della morte di Carlo è falso. Lo riscontriamo da anni, e lo abbiamo visto con maggiore intensità nei giorni scorsi, dopo le ultime sentenze della Cassazione sui giorni del G8. La “camionetta isolata e bloccata”, un estintore (vuoto) trasformato in arma letale… L’ignoranza su quell’episodio è trasversale, non conosce appartenenze di partito o coalizione. E’ passata – anche nelle aule di tribunale – una “verità di regime”, confezionata già nella prima ora dopo l’uccisione di Carlo e mantenuta grazie a un’accorta vigilanza mediatica.
Ma vigilanza contro cosa?
Vigilanza contro qualunque tentativo di – letteralmente – allargare l’inquadratura e, al tempo stesso, inserire l’episodio nella sua temporalità, nella concatenazione di eventi di quell’orribile pomeriggio.
La generazione più giovane ha avuto in eredità Genova come “peccato originale”. Ogni volta che si scende per le strade, gli spettri di Genova trascinano le loro catene: in primis “i Black Block” (espressione che esiste solo in Italia, nel resto del mondo si parla correttamente del Black Bloc, ma quella contro l’anglicorum è da anni una battaglia persa), e poi Carlo col “suo” estintore. Sempre l’estintore. Atmosfere e atmosfere di fiato sprecato su quel cazzo di estintore.
Dal 2001 a oggi, approfondite controinchieste hanno attinto all’immenso tesoro di immagini – fisse e in movimento – emerse nel corso degli anni, smontando e rimontando l’intera sequenza di Piazza Alimonda. La sequenza estesa, non solo i pochi secondi visti mille volte eppure mai compresi. La verità ufficiale ne esce sgretolata, ma… c’è un ma.
Fuori degli ambiti di movimento, fuori dal milieu dei “genovologi” e dei noi-che-c’eravamo, chi cazzo le conosce le controinchieste? Chi ha letto l’inchiesta L’orrore in Piazza Alimonda, su quel che è accaduto a Carlo – ancora vivo – subito dopo la retromarcia del defender?
Nessuno, e infatti si sentono ogni volta le stesse due o tre idiozie, si riattiva il frame del “violento che se l’è cercata”, del “carabiniere che si è difeso”, “se era un così bravo ragazzo che ci faceva col passamontagna e l’estintore?” etc.
Nel 2006 il Comitato “Piazza Carlo Giuliani” ha prodotto un documentario intitolato La trappola. Da allora lo ha più volte arricchito man mano che si acquisivano nuovi elementi. La trappola è oggi il compendio più fruibile delle verità emerse da un enorme, pluriennale lavoro di indagine. Riassume, per dirla con un compagno che conosciamo, “lo stato dell’arte nella ricostruzione della morte di Carlo”. Nelle parole di chi lo ha prodotto, il documentario «ricostruisce l’uccisione di Carlo e le violenze efferate compiute sul suo corpo, partendo da tutto ciò che deve essere considerato causa e premessa dell’omicidio».
Abbiamo deciso di recuperarlo. Vi consigliamo di guardarlo (magari non da soli né a notte fonda) e, in seguito, di pensare a come questa storia viene ancora narrata nel discorso dominante, e quali luoghi comuni si siano affermati.
Vi chiediamo giusto un paio di cose:
– commentate qui sotto solo dopo aver visto La trappola e/o letto “L’orrore in Piazza Alimonda” e/o altre controinchieste linkate.
– negli eventuali commenti, cerchiamo di andare oltre affermazioni tautologiche come “Sbirri assassini!”. Ci piacerebbe riflettere insieme su come si impongono le verità ufficiali, su quali meccanismi e automatismi si basa la loro costruzione, sugli effetti prodotti dal restringimento dell’inquadratura etc.
Ci interessa smontare le “narrazioni tossiche”.
Uhm… Ci accorgiamo di non averlo scritto da nessuna parte, diamo per scontato che tutti lo sappiano, ma forse va ricordato agli smemorati.
Oggi è il 20 luglio. “Buon” anniversario.
WU MING
20 luglio 2012