Matteo Renzi non è la meglio gioventù

di Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena

Matteo il Renzi, giovane e poi giovane e infine giovane. Vignetta folgorante di Ellekappa su Repubblica: «Renzi smetta di insultare tutti e si concentri sul programma». Risposta: «È quello il programma». Appunto, sostituire le vecchie volpi – ormai decrepite – e al loro posto insediare un’altra volpe: lui. Giovane, ricordiamolo, casomai ve lo foste scordati. Un po’ meno giovani sono le sue idee, le poche che trapelano. Ma quello è un altro discorso.Andiamo con ordine: «Se vinco io le primarie, tutti a casa». Contro le nomenklature e gli “inciuci” di corrente interne (io do un posto in segreteria a te, tu dai la presidenza di commissione a me), il sindaco di Firenze incarna un po’ il Beppe Grillo del Pd.

Vuole voltare pagina e chiudere l’era geologica dei D’Alema e dei Veltroni. Queste primarie di coalizione sono il suo banco di prova, il momento per prendersi il partito – sconfiggendo la linea del segretario – e tutto il centrosinistra. Secondo i sondaggi si profila un testa a testa con Bersani, con Nichi Vendola a fare l’outsider. «Manderei a casa Veltroni, come tutti quelli che hanno fatto più di quindici anni di Parlamento. Credo si possa lasciare spazio ad altre persone». Difficile dargli torto. Qualcuno può forse sostenere il contrario, a parte quelli che da 15 anni e passa pascolano a Montecitorio? Probabilmente no.

Resterà negli annali – capitolo: cose da non fare mai – il suo incontro privato ad Arcore a casa di Silvio Berlusconi. Dovevano parlare di Firenze, loro. Un po’ come andare a comprare una chiave a brugola nella casa al mare del proprietario della ferramenta. «E per Firenze l’avrei fatto cento volte», ripete lui – che infatti tiene così tanto a Firenze che sta correndo per le primarie del Pd.

Il Cavaliere, attratto da cotanta coerenza, gli avrebbe detto col sorriso a 96 denti: «Tu mi somigli». Voleva essere un complimento. Il carisma, il piglio e il leaderismo sono quelli made in Silvio. Così come la confusione programmatica: quali sono le idee di Matteo Renzi? A parte il ricambio generazionale, la riduzione del numero dei parlamentari e la non candidatura di chi è condannato. Come sarà composto il centrosinistra? Alleanza con l’Udc, con Sel, con entrambi o con nessuno? Mistero. Allora andrà da solo il Pd, rispolverando l’autosufficienza veltroniana? «Figuriamoci», la risposta di Renzi. Al momento siamo nella fase “picconate” e sano populismo. Per il resto c’è tempo. Gira per l’Italia in camper con la sua squadra composta principalmente da sindaci e amministratori locali e sostenuta da alcuni guru e finanziatori tra cui l’imprenditore Giorgio Gori, ex Mediaset. Il suo consigliere economico è Pietro Ichino, il giuslavorista “democratico”, favorevole alla manomissione dell’articolo 18 e conciliante con la riforma Fornero e sulle pensioni. Gli indici e le statistiche vanno da una parte – chiedere a Luciano Gallino cosa ha prodotto negli ultimi trenta anni la deregolamentazione del mondo del lavoro – e Ichino va dall’altra. La categoria è la solita: sono-di-sinistra-ma-dico-cose-di-destra-mi-sento-molto-coraggioso.«Io sto dalla parte di Marchionne, dalla parte di chi sta investendo sul futuro delle aziende – disse – quando tutte le aziende chiudono. È un momento in cui bisogna cercare di tenere aperte le fabbriche». Ottima scelta, effettivamente: si è visto che fine ha fatto il piano Fabbrica Italia. Chiuso in un cassetto. Oggi dice: «Il punto è che il referendum è passato però Marchionne non ha fatto l’investimento che aveva promesso». Insomma, pace, cosa vi devo dire ragazzi. Sergio è fatto così, c’ha buggerato, ci sono cascato, amen.Fece grande battaglia, a Firenze, contro il noto nemico del buon governo cittadino: il sindacato. Colpevole, orrore, di opporsi all’apertura dei negozi il Primo Maggio. E comunque i sindacati «sono pieni di soldi e non tutelano i giovani», spiegò ancora. Non è la precarietà (legalizzata in Italia nel 1996 grazie al centrosinistra, legge Treu) che non tutela i giovani, no: sono i sindacati.

Ora, rivela sempre Repubblica, Renzi starebbe pensando al piattino forte da servire sulle nostre, vostre, tavole: vincere le primarie e poi fare un passo indietro a beneficio di un nome nuovo: Mario Monti. Cambiando l’ordine degli addendi, insomma, il risultato non cambia. Scordatevi le Moleskine, il destino della nazione sta tutto nell’Agenda Monti. Che sta dando i suoi buoni frutti, com’è noto: «Pil a picco», «crollano i consumi» (titoli dei giornali di oggi), Cgil pronta allo sciopero generale e operai inferociti che si rivoltano contro gli esponenti del Pd. Il bengodi, insomma.

Altro nodo da sciogliere, infine, è quello relativo alle dimissioni da sindaco di Firenze. Se Renzi possedesse un pizzico di coerenza (non ce l’ha, non scomodatevi) lascerebbe la poltrona da primo cittadino e si dedicherebbe alla politica nazionale – così come aveva intimato in passato a suoi colleghi di partito. Invece no, il Renzi è intenzionato a governare la città dal suo camper. In giro per l’Italia. Tanto lui è giovane. Il giorno prima a Milano (per dire), la notte in viaggio, la mattina a Firenze per controllare che sia tutto a posto, il pomeriggio a Verona: quante energie, roba da non credere. Dicono che in camper abbia pure gli attrezzi per fare un po’ di esercizio fisico, e ci mancherebbe, anche l’occhio di chi ascolta vuole la sua parte.La cosa tanto divertente quanto triste è che lo slogan renziano contro i D’Alema e i Veltroni riscuote ovunque larghi consensi: alle feste dell’Unità è tripudio fisso. Chiaro segnale delle colpe trentennali di una classe dirigente “di sinistra” incapace di alcunché, a parte l’auto-preservazione. Ma ciò non toglie che la politica a colpi di slogan rischia di ritorcersi contro chi pur di vedere sparire i soliti noti si affida ai soliti ignoti.

MATTEO PUCCIARELLI
GIACOMO RUSSO SPENA

da Micromega

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