Al servizio di un progetto politico d’unità chiaramente antiliberista
La crisi mondiale ed europea non risparmia ovviamente l’Italia, la cui situazione economica peggiora sempre più rapidamente soprattutto a causa delle politiche del governo Monti. Parliamo di politiche neoliberiste praticate rapidamente e precisamente e che stanno portando il Paese in una condizione economica recessiva, costante e inarrestabile, senza provocare danni agli speculatori. Peggiora dunque, altrettanto rapidamente e pericolosamente, la situazione sociale di sempre più larghi strati della società.
Vediamo affermarsi sempre più la precarietà come cifra sociale ed esistenziale del nostro tempo. Una precarietà che distrugge il diritto al futuro per un’intera generazione e che i provvedimenti e le riforme del governo Monti estendono anche là dove prima non arrivava (ai lavoratori a contratto indeterminato, ai pensionati…) nella logica perversa del “garantire meno, garantire tutti” che di fatto è semplicemente la violenta reazione dell’ideologia neoliberista contro anni di conquiste di diritti del movimenti operaio, travestita con la retorica paternalistica dei sacrifici necessari.
L’italia è un Paese dove la disoccupazione giovanile supera il 30%, che ha il primato europeo dei neet, i giovani che non studiano né lavorano, un paese che dopo aver demolito per anni la scuola e l’università pubbliche si ritrova agli ultimi posti (dati ocse) per spesa media per studente, e che decide, invece di investire in formazione e ricerca, di mortificare la democrazia scolastica (ex Aprea), aumentare le tasse universitarie, bloccare il turn over.
In tutto questo, però, c’è anche chi non si rassegna, e nell’ultimo mese infatti abbiamo assistito e partecipato a diverse mobilitazioni che manifestavano esattamente questa voglia di lottare. Il 5 e il 12 ottobre gli studenti hanno portato in piazza rabbia e dissenso verso il Governo e i suoi provvedimenti di distruzione del sapere pubblico e della democrazia nei luoghi della formazione; il 20 è stata la volta della Cgil, con la manifestazione per le fabbriche in crisi; ed infine il 27 ottobre, che è riuscito a portare in piazza tante soggettività politiche e sociali che si oppongono da sinistra al Governo Monti, e che soprattutto si propongono di costruire un’alternativa anche all’ideologia neoliberista che ispira questo Governo.
Momenti di conflitto straordinario, sia per la radicalità dei contenuti espressi che per la sempre più scarsa agibilità che il conflitto ha in questo Paese. La repressione è infatti la pratica preferita anche di questo Governo di fronte all’opposizione e al conflitto sociale, e la timidezza delle grandi organizzazioni di massa d’ispirazione progressista di sicuro non aiuta nel percorso verso la giusta direzione. E’ necessario infatti che vada a casa questo Governo, e che si distrugga l’ideologia che ne è alla base, per cui non esiste più la democrazia e a governarci è l’andamento degli spread.
In questo contesto, si vede bene come una sinistra che aspiri ad una trasformazione reale della società e non ad una banale amministrazione dell’esistente, non possa lasciarsi fuorviare da suggestioni personalistiche o visioni salvifiche della vittoria di questo o quel leader, in primarie che fissano paletti tanto rigidi da mettere al riparo le ricette di Monti anche nella prossima legislatura. Infatti l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione, e la successiva approvazione del Fiscal Compact, hanno già definito il quadro delle politiche economiche dei prossimi vent’anni: politiche recessive destinate a smantellare lo stato sociale, privatizzare ogni patrimonio pubblico e presumibilmente a vendere buona parte delle riserve auree del paese. Politiche che il centro sinistra non ha intenzione di mettere in discussione, a maggior ragione dopo averle sostenute e votate in questa legislatura.
Il problema che deve porsi una sinistra degna di questo nome è quello della riconessione (distrutta dai vent’anni di questa seconda repubblica) tra la politica e la società, la possibilità di inserire la materialità dei vissuti in una prospettiva più grande e collettiva di cambiamento. Interrogarsi su chi siano i soggetti in grado di agire la trasformazione, creare reti, luoghi d’incontro, possibilità di unità sui contenuti, queste devono essere le nostre priorità. Riprendere, insieme, un discorso politico su una generazione che sarà la prima, come già tante volte ripetuto, ad immaginare e probabilmente vivere, una condizione peggiore rispetto a quella delle generazioni precedenti, una generazione attualmente senza futuro.
Bisogna attraversare le lotte a partire da questa chiara prospettiva alternativa e operare per la loro unificazione sociale, politica e culturale. Proporre quindi un orizzonte politico di uscita dalla crisi, che è oggi economica, sociale e culturale, nella consapevolezza che questo significa riportare il paese nella democrazia, cioè rimettere al centro del dibattito politico la possibilità di scegliere, superando lo stato di eccezione con cui oggi il governo giustifica le sue scelte presentate come obbligate.
Per questo il cordinamento nazionale delle/i Giovani Comuniste/i propone all’organizzazione di lavorare principalmente per:
-
la campagna referendaria, il principale impegno organizzativo anche del PRC nei prossimi mesi. Un impegno importante perché i due quesiti, sull’articolo 8 e sull’articolo 18, hanno riunito tutte le forze che si sono opposte da sinistra alle politiche del governo Monti, sul piano sia politico che sociale, e che ha quindi grande valore, assieme a quello per cancellare la riforma delle pensioni.
-
Proseguire la raccolta di firme della campagna per il reddito minimo garantito, di grande interesse generazionale e ulteriore luogo di unità a sinistra;
-
la partecipazione all’importante appuntamento europeo di Firenze, dal 9 all’11 novembre;
-
la costruzione di una larga adesione e partecipazione allo sciopero generale europeo del 14 novembre;
-
la costruzione di iniziative sia preparatorie alla giornata che nella giornata stessa del 25 novembre, volte a diffondere il più possibile il materiale che produrremo per dare il nostro contributo nella sconfitta della piaga della violenza contro le donne.
ANNA BELLIGERO
MARCO GIORDANO
CLAUDIA NIGRO
MATTEO IANNITTI
respinto, con se 6 voti a favore
———————————————–
Rompere con le ambiguità, per l’indipendenza di classe
La crisi del capitalismo non dà segnali di diminuzione a livello internazionale. La ripresa negli Usa è altalenante e il debito pubblico si avvicina alla soglia massima prevista per legge, che era già stata innalzata due anni fa. In Europa le nuove misure della Bce vincolano i prestiti agli Stati all’approvazione di rigide politiche di austerità e in ogni caso non risolvono il problema dei paesi a rischio default, per prima la Grecia la cui situazione economica è ormai disperata. Tutti i governi che restano nelle compatibilità del capitalismo, indipendentemente dal colore dei partiti che li compongono, portano avanti le stesse misure: abbassamenti salariali, licenziamenti nel settore pubblico, attacchi alle pensioni, tagli a scuola, sanità e ai servizi pubblici, privatizzazioni. Queste misure, lungi dal migliorare la situazione economica, hanno a loro volta un effetto recessivo e la crisi di sovrapproduzione si approfondisce.
L’Italia è pienamente inserita in questo quadro: chiuderà il 2012 con una diminuzione del Pil superiore al 2% e le stime per il 2013 indicano già un’ulteriore recessione. Il governo Monti ha portato avanti attacchi di ogni genere (riforma del lavoro, riforma delle pensioni, tagli alla spesa pubblica) ma questo non ha scalfito minimamente la profondità della crisi economica italiana, anzi.
Il debito pubblico italiano è salito nel secondo trimestre 2012 al 126,1% del Pil. In valori assoluti è aumentato dall’inizio del governo Monti, e in percentuale sono aumentati i titoli a breve scadenza. La produzione industriale è nuovamente in discesa. Questo significa che il prossimo governo, che con ogni probabilità sarà costruito attorno al Pd, non solo continuerà sulla strada tracciata da Monti, ma dovrà intensificare la violenza degli attacchi alla classe lavoratrice.
A livello europeo stiamo assistendo a imponenti mobilitazioni che si oppongono alle politiche della borghesia. Il prossimo 14 novembre ci saranno scioperi generali simultanei in diversi paesi, fra cui Grecia, Spagna, Portogallo e Italia. La convocazione di questi scioperi non è frutto di direzioni sindacali particolarmente combattive, ma di un processo di radicalizzazione che produce pressione sui vertici sindacali e che, in tempi diversi, è destinato ad accentuarsi portando a effetti ancora superiori.
La situazione, pur complessa, ha un elemento di estrema semplicità: la discriminante di classe. A livello sindacale si esauriscono i margini per la concertazione e per non essere sconfitti resta solo il conflitto nel posto di lavoro. A livello elettorale o ci si lega (e ci si subordina) a forze interne alla gestione capitalista della crisi o ci si pone nella linea dell’indipendenza di classe. A livello politico o si inseguono utopie riformiste (audit sul debito, riforma della Bce) o si pone al centro il problema dell’abbattimento del capitalismo e si elaborano rivendicazioni transitorie che vadano in questa direzione, a partire dalla nazionalizzazione sotto controllo operaio delle banche e delle principali aziende e dal non pagamento in toto del debito pubblico con rottura dei trattati economici europei.
Le vie di mezzo non sono ammesse. Lo dimostra l’esito della rincorsa al Pd, che ancora si ripete in Lombardia e Lazio, distruttivo per il partito. Lo dimostra l’esito della rincorsa a Sel e Idv in Sicilia. Lo dimostra la morte della FdS sancita nei fatti dal Consiglio Nazionale di ieri, unico sbocco possibile quando in nome dell’ “unità a sinistra” (per fini elettorali) si subordinano le posizioni politiche e gli interessi della nostra classe di riferimento.
Se una nuova unità a sinistra nascerà, potrà essere solo l’unità di un settore importante di lavoratori e giovani, frutto di un processo di mobilitazione di massa che dovrà trovare, o ricostruire, un proprio riferimento politico. È ciò che abbiamo visto col Front de Gouche in Francia e soprattutto con Syriza in Grecia. Quelle forze, pur non mancando di ambiguità che dovranno essere sciolte per arrivare a posizioni coerentemente rivoluzionarie, hanno avuto il merito di rompere ogni genere di legame con chi porta avanti le politiche della classe dominante nei rispettivi paesi. Solo così facendo i Gc e il Prc potranno giocare un ruolo nella fase che abbiamo davanti a noi, e che viene anticipata dal crollo generalizzato della fiducia nei confronti dell’attuale sistema economico, delle istituzioni politiche che lo rappresentano e dei partiti che ne fanno parte.
Lo spazio, temporaneo, che si è creato in queste condizioni per una forza come il M5S può essere tolto solo con una critica rivoluzionaria alle istituzioni esistenti, in cui trova spazio un’analisi della corruzione. Non è sufficiente una posizione esclusivamente “morale”, ed è scorretto inseguire il terreno dell’anti-politica tout court.
Sono recentemente emersi gli scandali che coinvolgono anche l’Idv. Questo non ci sorprende ed è un ultimo monito a chi pensa che la soluzione per la crisi elettorale del partito sia inseguire una lista unica con questa formazione, cosa che comporterebbe lo scioglimento elettorale del Prc in una formazione borghese con caratteri populisti.
Al di là di quale forma possa prendere la questione dell’unità a sinistra, il punto è semplice: l’unica strada percorribile è quella dell’indipendenza di classe, a partire dall’intervento nel movimento operaio, nel movimento studentesco, nel sindacato (con l’opposizione alla maggiorazna camussiana) e dalla conseguente presentazione indipendente alle prossime elezioni.
Rompere quindi con le ambiguità, l’istituzionalismo (con ben pochi istituzionali), e la ricorsa a formazioni che stanno dall’altra parte della barricata di classe, che in questi anni hanno portato il partito, compresi i Gc, al limite della sopravvivenza. Solo così potremo trovarci pronti al vento della lotta di classe, che fa sentire i primi segnali anche in Italia.
ALESSANDRO MARCONI
GABRIELE D’ANGELI
LUIGI PISCITELLI
respinto, con due 2 voti a favore
novembre 2012