di Carlo Lania
Manifestazione straordinaria occupa le strade della capitale. Dietro gli striscioni di tutti gli istituti una marea di giovani e giovanissimi: «Non abbiamo paura» Centomila studenti medi e universitari sfilano in piazza nella giornata dello sciopero europeo. Scontri con le forze dell’ordine: 8 persone arrestate, 8 denunciate e 144 identificate. Decine di feriti tra agenti e manifestanti Quattro cortei hanno attraversato la capitale. Bombe carta contro gli agenti, che rispondono con cariche indiscriminate
Basta poco per rovinare una bella giornata. Basta che qualche decina di ragazzi, invece di incassare il successo politico di una manifestazione con quasi centomila persone decida di rovinare tutto indossando le solite felpe scure e i soliti caschi neri per poi coprirsi il viso con un fazzoletto.
Succedeva ieri verso le due del pomeriggio in pieno centro di Roma all’altezza di Ponte Sisto, tra Trastevere e via Giulia. In un attimo la prima fila del gigantesco corteo partito in mattinata dalla Piramide e dall’Università, con studenti medi e universitari, viene scalzata e sostituita da quattro, cinque file di manifestanti con i caschi neri. Impossibile non notare il cambiamento. Quello che accade da quel momento e per le successive due ore non è neanche la cronaca di una guerriglia urbana – come qualcuno si affretterà a definirla – ma solo il resoconto triste di una serie di scontri tra un gruppo minoritario di studenti con polizia e carabinieri.
Sassi, bombe carta e bastoni da una parte. Lacrimogeni e manganelli dall’altra. Con scene che non vorresti mai vedere nel paese in cui vivi. Come quando gli agenti si accaniscono contro i manifestanti fermati e stesi a terra. Botte, manganellate sulla testa, ragazzi trascinati via per le braccia e per le gambe. Succede spesso, e con un accanimento che non ti spieghi. Come accade a pochi passi da Ponte Sisto, poco dopo la prima carica della polizia. Quattro agenti sono sopra un ragazzo con la giacca a vento azzurra, steso a terra. E’ tra i primi fermati della giornata e gli agenti lo stanno picchiando. Poco distante c’è un veterano di manifestazioni, Daniele Pifano, leader dell’Autonomia operaia negli anni 70-80. Pifano si avvicina e parla con gli agenti cercando nel frattempo di portarsi via il ragazzo, salvandolo così dalle botte. Per un attimo ci riesce anche. «Daniè portatelo via, portalo all’ospedale», gli dice un poliziotto. Il ragazzo si rialza, ha gli occhi pieni di paura, la parte destra del viso insanguinata. Per un attimo forse pensa anche di essersela cavata. Ma, appunto, è solo un attimo. Altri quattro agenti piombano di su lui, spintonano violentemente Pifano, si riprendono la loro preda e la caricano su un blindato.
E dire che fino a quel momento la gestione della piazza da parte delle forze dell’ordine era stata discreta. Pochi blindati a seguire i quattro cortei in giro per la capitale, facce attente ma tutto sommato rilassate degli agenti. Quando il corteo arriva a Piazza Venezia, completamente circondata dalle forze dell’ordine, due blindati si spostano per far defluire i manifestanti verso il Lungotevere. Dove il grande corteo arriva senza problemi. Poi le cose cominciano a mettersi male. Forse le notizie che giungono dalle altre città e che parlano di scontri tra polizia e studenti (a Torino un poliziotto ferito dopo essere stato circondato da una decina di manifestanti) scaldano gli animi di tutti. A ponte Sisto tra polizia e corteo c’è anche un avvio di trattativa. I ragazzi vorrebbero arrivare in piazza del Popolo e la polizia sarebbe anche disposta ad accettare. Qualcosa, però, non funziona. Un funzionario di polizia dà le disposizioni agli agenti in tenuta antisommossa: «Se sfilano indietreggiamo, ma se ci caricano rispondiamo». E così sarà, con cariche in mezzo al traffico, le forze dell’ordine che a un certo punto sembrano aver perso il controllo delle strade, i manifestanti che si attestano su ponte Garibaldi, la polizia che li carica e loro che scappano sul Lungotevere. Fino ad arrivare nei pressi di Porta Portese dove, su un marciapiede rialzato di Ripa Grande 116 di loro vengono circondati da due reparti di polizia e bloccati. Verranno tutti identificati e rilasciati. Alla fine il bilancio della giornata conta 8 manifestanti arrestati, 8 denunciati, 144 identificati, 16 agenti (10 poliziotti, 5 carabinieri e un funzionario) e una decina di manifestanti feriti.
Eppure non era scontato che finisse così. Anzi la cronaca della giornata avrebbe potuto essere molto diversa vista la ricchezza di contenuti portati in piazza da una generazione che chiede solo di poter avere un futuro. Proprio «futuro» è infatti la parola che ricorre più spesso sugli striscioni, nei cartelli, negli slogan ritmati lungo tutto il corteo. E declinata in vari modi. «Tagliano la scuola, cancellano il futuro», «Monti, Profumo, ridateci il nostri futuro» gridano migliaia di ragazzi e ragazze mentre al megafono uno di loro spiega: «Oggi stanno esautorando la scuola, domani impediranno a migliaia di studenti di entrare nel mondo del lavoro».
Sanno che è così. Sia perché lo hanno capito da soli, sia perché hanno visto i loro coetanei, in Grecia e in Spagna, lottare per sopravvivere. E’ una generazione claustrofobica quella che sfila sotto il Colosseo e lungo via dei Fori imperiali. Claustrofobica perché davanti a sé invece di vedere la vita che sogna trova solo un muro, alzato dalla politica verso la quale non hanno più fiducia («Contro tutto e tutti, politici, banchieri e farabutti», si legge non a caso su un cartello) e poi dalle misure anticrisi dell’Unione europea alle quali rifiutano di arrendersi. «Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso», urla lo striscione di una scuola. Parole che, sarà un caso, ne ricordano altre, più famose, pronunciate da Paolo Borsellino.
CARLO LANIA :: il manifesto
15 novembre 2012