di Giuseppe Grosso
Da Bruxelles a Cipro, 23 Paesi, 25 milioni di lavoratori, rispondono alla chiamata contro le politiche di austerità. E sulle sponde del Mediterraneo la protesta si infiamma È un’onda gigante quella che attraversa la penisola iberica. Alla «huelga general» hanno aderito oltre il 75%. Madrid blindata dalle forze dell’ordine. Cariche e scontri in diverse città
Niente picchetti davanti alla stazione della metro. Anzi, all’interno – sono le 9 di mattina – più gente del solito accalcata sulla banchina. Non sorprende, visto che due terzi delle corse della metropolitana (solitamente efficientissima), sono state soppresse per lo sciopero generale che ieri ha paralizzato Madrid e la Spagna.
Scendiamo a Banco de España, dove la lunghissima calle Alcalá incrocia, in pieno centro, la Gran vía, una delle principali arterie commerciali della città. Giusto in tempo per vedere un gruppetto di manifestanti scendere a passo lento dal marciapiede e invadere la strada. Il traffico è fermo. I poliziotti dispiegati in numero altissimo, guardano e lasciano fare. Intanto sempre più persone vanno sommandosi: in 300, tengono bloccato il traffico per circa un’ora finché la polizia carica per spingere i manifestanti ai lati del viale e ripristinare il traffico.
Risalendo la Gran vía in direzione contraria alla stazione ferroviaria di Atocha – da dove alle 18.30 è partito il corteo più importante diretto a Plaza de Colón – si arriva alla Puerta del sol, la piazza che ha accolto le proteste degli indignados, cuore della capitale, normalmente territorio di mariachi e mimi. Non oggi però, perché la piazza è nelle mani della policia nacional. Anche la calle Preciado, strada di turisti e shopping che inizia a Sol è costellata da una ventina di furgoni blindati. Lo scenario, tra le luci blu e il cielo cupo è inquietante. All’imboccatura di Preciado parliamo con un poliziotto. Appoggia lo sciopero? «Certo. E come me molti dei mie colleghi. Io sono qui per difendere il diritto di tutti i madrileni a protestare pacificamente contro questo governo». Di fianco a lui – curioso quadretto – c’è una giovane ragazza che regge un cartello che dice: «Sono qui perché non voglio pagare lo stipendio del poliziotto che mi picchia». Si chiama Laura, è una studentessa ed è ucraina. «In sei anni che sto qui ho visto solo peggioramenti». E non ti viene voglia di lasciare tutto e tornare in Ucraina? «Finché resto a Madrid, penso che valga la pena lottare», risponde decisa.
Intanto, in tutta la Spagna – disseminata di cortei – il numero degli arresti ammonta in serata a 117. I feriti sono una settantina. Circa 10 in seguito degli scontri che verso le 14 sono avvenuti nella Plaza de Cibeles, quando un gruppo di scioperanti che si dirigeva verso l’ospedale della Princesa, è stato caricato dai poliziotti che cercavano di sbarrargli la strada. A quanto pare, i manifestanti avevano intenzione di raggiungere l’ospedale per appoggiare la protesta del personale che da due giorni è lì rinchiuso per dire no alla sua possibile privatizzazione. L’immagine più cruda arriva da Tarragona e fa presto il giro della rete, è la foto di un bambino ferito alla tempia dalla polizia.
Mentre per le strade si protesta vengono resi noti i numeri. I sindacati hanno stimato la partecipazione intorno al 75%, anche se i dati sul consumo di energia – che pare siano un indice affidabile – rivelerebbero un’astensione dal lavoro inferiore allo sciopero generale dello scorso marzo. In tutto questo, il Pp pensa alle vacanze: «Questo sciopero pregiudica il turismo internazionale e rovina l’immagine della Spagna». Mentre i socialisti del Psoe difendono lo sciopero generale sollevando cartelli per il 14N nell’aula del Congresso dei deputati alzando cartelli e diffondendo uno spot di sostegno alle manifestazioni.
Scendiamo lungo la calle Alcalà, verso Cibeles. Abbiamo camminato parecchio e ci concediamo due minuti su una panchina di fronte alla bella facciata del Circulo de bellas artes. Proprio di fianco a noi, sono sedute due signore di mezza età. Una indossa l’inconfondibile maglietta verde che contraddistingue i professori ribelli della scuola pubblica. Si chiama Marisa Ramirez e sta aspettando che passi il corteo per unirsi. «Io sono qui contro i tagli all’istruzione e contro i tagli al futuro dei nostri figli», ci dice. L’altra signora osserva, poi non riesce a trattenersi e interviene: io sono 35 anni che faccio l’infermiera in un ospedale pubblico e guadagno poco più di mille euro. Stanno smantellando la sanità; ormai qui è meglio non ammalarsi». E poi ci mostra le mani per farci vedere i segni dei 35 anni di lavoro.
Siamo a Cibeles. Vicino a un semaforo c’è un signore che regge un cartone con scritto: «Ripugnancia costitucional». Si chiama Manuel Heredia, è un pensionato di 76 anni e dice di essere anarchico. Qualcuno, passando, lo insulta, qualcun altro gli stringe la mano. «Io non ho mai votato. Tutti i partiti mi fanno schifo. Questa è una lotta persa in partenza, ma sono qui per solidarietà con chi protesta e per miei figli». Lavorano? «Una sì e l’altro no. E siccome non trova lavoro gli è venuto in mente di tentare il concorso per entrare in polizia. Ma ci pensa? Io – un anarchico – con un figlio poliziotto! È troppo».
Verso le 19, il corteo procede lento verso Colón. Ci sono molte persone (centinaia di migliaia secondo le prime stime) e si cammina a fatica. «Esistono alternative a questo sistema e verranno dalla pressione della gente», aveva detto Ignacio Toxo, segretario di Comisones Obreras, il primo sindacato spagnolo. E sembrerebbe avere ragione, vista la partecipazione. Sono le 20 passate: il 25S (il movimento che bloccò la città a settembre) sta per dare inizio all’ennesimo tentativo di assedio al Parlamento. Si sono portati le tende. Hanno intenzione di dormire lì.
GIUSEPPE GROSSO :: il manifesto
15 novembre 2012