di Daniele Martini
La fabbrica dei cacciabombardieri F-35 che il Fatto Quotidiano ha visitato è come un gigantesco sepolcro imbiancato, di una bellezza esteriore che copre le brutture. Nei campi del vecchio aeroporto militare di Cameri in provincia di Novara, su un’area di 550 mila metri quadrati, grande come un quartiere di città, dentro un hangar tirato a lucido hanno piazzato il meglio del meglio della tecnologia aeronautica organizzando una linea di montaggio dove operai dalle divise impeccabili lavorano intorno a scheletri di ali contrassegnate da bandierine a stelle e strisce essendo destinate agli Stati Uniti. Nei piazzali c’è fango e le betoniere vanno avanti e indietro sulla stradina che divide lo scalo da un bosco perché il grosso dello stabilimento deve ancora essere costruito. Entro il 2015, assicurano, qui ci saranno altri hangar, altre linee di montaggio e il padiglione dove i cacciabombardieri saranno resi stealth, invisibili.
Altri 13 miliardi di euro se poi l’Italia comprerà i jet dalla Lockheed – Il tutto con una spesa di 680 milioni di euro che in base a un contratto firmato nel luglio di tre anni fa, lo Stato paga ad Alenia-Aermacchi (Finmeccanica), la società capofila in Italia dell’affare internazionale degli F-35 guidato dagli Stati Uniti. Secondo programmi in gran parte scritti sulla sabbia, dicono che qui saranno costruite le ali e forse assemblati i jet destinati ad alcuni Paesi europei. O forse solo i 90 che l’Italia sembra voglia comprare dall’americana Lockheed Martin sborsando la bellezza di 13 miliardi di euro, senza contare la manutenzione che nell’arco di un ventennio costerebbe il doppio o addirittura il triplo.
Non a caso questo gigantesco impianto di Cameri l’hanno chiamato Faco, acronimo americano che sta per assemblaggio finale. Al momento, però, Faco sembra più un auspicio dell’Aeronautica militare e di Alenia, che una certezza. Per gli F-35 di sicuro c’è davvero poco. Finora di certo c’è una semplice intesa preliminare, un Memorandum of understanding firmato nel 2007, quando le condizioni economiche erano molto diverse da oggi. E fa male pensare che dietro alle meraviglie tecnologiche esibite in questo capannone si stia scrivendo una pagina confusa della storia militare degli ultimi decenni e si stia allestendo un affare forse addirittura più discutibile dei molti assai discutibili collezionati dall’Italia dal dopoguerra a oggi. Affari fatti di acquisti costosi, spesso inutili, sempre imposti sull’onda dell’urgenza e soprattutto di un’idea che sembra magica: indispensabilità. Un tempo contro la minaccia armata del blocco comunista, adesso non si capisce bene sull’altare di che cosa.
Per il ministro uscente Giampaolo Di Paola, ex ammiraglio, ex capo di Stato maggiore della Difesa, anche gli F-35 sono indispensabili perché si tratta di “velivoli da superiorità aerea” e gli stati maggiori formati alla scuola della Nato e della Guerra fredda condividono, mentre i giovani ufficiali scalpitano all’idea di piazzarsi alla cloche di quei mostri volanti. Ma superiorità dove e per che cosa? A queste domande semplici non ci sono risposte convincenti, anzi, spesso si ha l’impressione che con l’F-35 ritengano indispensabile semplicemente ciò che desiderano comprare. Quarant’anni fa furono considerati indispensabili gli Hercules C130, salvo poi scoprire che l’acquisto dalla Lockheed era avvenuto a colpi di tangenti. E anche gli F-104 furono acquistati sempre dalla Lockheed perché indispensabili nonostante fossero un mezzo bidone, tanto da essere soprannominati bare volanti o fabbriche di vedove.
Per gli F-35 Lockheed la lobby militare ora aggiunge che sono indispensabili anche perché rappresentano un’occasione per irrobustire le imprese italiane del settore: Alenia-Aermacchi e poi aziende e aziendine che gli fan corona e quindi per portare lavoro in Italia. Ma parlare di occasione industriale è un’affermazione azzardata. Costruendo il costoso stabilimento di Cameri per gli F-35 è come se l’Italia avesse comprato la frusta prima del cavallo e ora si accingesse a recitare un atto di speranza. I numeri forniti al Fatto dall’amministratore di Alenia, Giuseppe Giordo, manager di formazione americana, lo confermano: al momento nell’hangar novarese lavorano appena 150 persone e l’intero programma è in fase di prova. I contratti firmati riguardano la costruzione di 18 ali che vuol dire poco o nulla su un totale mondiale che prefigura la realizzazione di 6 mila ali per 3 mila jet. Informano che si sta discutendo con la Lockheed per acquisire un contratto per altre 111 ali tra qualche anno e dopo eventualmente per assemblare a Cameri i jet italiani e forse addirittura quelli europei. Ma sono solo discussioni, trattative aperte, appunto.
Alenia prevede di assumere 2300 persone. Ma per la Difesa servono 700 dipendenti – Alenia prevede di assumere 2300 persone e di spostarne altre 200 dallo stabilimento di Torino Caselle a Cameri, 2500 persone in tutto per gli F-35, ma a “pieno regime”, che vuol dire nel caso in cui diventino realtà tutte le speranze più rosee dell’Aeronautica e del costruttore Alenia. Il documento ufficiale consegnato in Parlamento dal ministro della Difesa e dal segretario per gli armamenti, il generale dell’Aeronautica Claudio Debertolis, più prudentemente fornisce cifre inferiori: solo 700 dipendenti nel caso si raggiunga il picco di produzione. Tra le mille incognite ci sono anche quelle riguardanti i non pochi difetti emersi in fase di costruzione dei primi esemplari F35.
In un dossier recente il Pentagono ha elencato i clamorosi vizi individuati, come il rischio di esplosione in volo in caso di fulmini. Lockheed e lobby italiana si sono subito lanciati in una campagna rassicurante sostenendo che l’inconveniente sarà rimediato, senza poter dire, però, quanto costeranno le modifiche e di quanto salirà ancora il prezzo. Di fronte alle verità via via emergenti sull’F-35, i vertici dell’Aeronautica dopo mesi di silenzi e con una virata repentina hanno inaugurato una stagione di attivismo mediatico puntando sulla tesi industrial-sviluppista ed esponendosi così alla critica di confondere i ruoli passando per piazzisti del prodotto. In questa densa nuvolaglia, l’unica cosa sicura è che l’F35 relega in un angolo i programmi aeronautici italoeuropei. La prima vittima del jet Lockheed è l’Eurofighter Typhoon descritto sul sito della stessa Alenia come “il più avanzato aereo da combattimento mai sviluppato in Europa”. La sua fine fu decretata a giugno 2010 dal ministro della Difesa Ignazio La Russa con una dichiarazione ai giornalisti alla fiera aerea di Farnborough, giusto un mese prima che fosse firmato il contratto con Alenia per la costruzione dello stabilimento di Cameri.
Già pensionato l’Eurofighter ma senza passare dal Parlamento – Nonostante quell’opinione ministeriale non sia mai stata ratificata da alcun voto alle Camere, la tranche 3B di 25 nuovi Eurofighter è stata cancellata e nel 2016 le linee di produzione perl’Italia saranno chiuse. Nello stabilimento Alenia di Torino Caselle lavorano all’Eurofighter tecnici di alta qualificazione, compreso un migliaio di ingegneri che con l’F-35 ora rischiano una progressiva marginalità.
L’azienda italiana partecipa con quasi il 20 per cento al consorzio europeo con tedeschi, francesi e in una certa misura inglesi; e con altre imprese dell’indotto progetta e costruisce l’ala sinistra, la fusoliera posteriore, i piloni delle ali, il sistema di navigazione, la propulsione. Eurofighter di ultima generazione inglesi e francesi (questi ultimi nella versione Rafale) sono stati usati sul campo, per esempio durante la crisi in Libia nell’autunno di 2 anni fa dimostrando una sicura integrazione nel dispositivo aereo della Nato. E la stessa Alenia continua a lavorare per consegnare Eurofighter ad Arabia Saudita, Oman e molti altri Paesi del Medio Oriente. Il caccia europeo è un aereo di quinta generazione come l’F-35, con una differenza sostanziale rispetto a quest’ultimo, però: non è stealth, invisibile. Ma in un momento come questo si possono lasciare per strada gli esodati, sacrificare le scuole, trascurare gli ospedali e spendere 13 miliardi di euro per un cacciabombardiere spacciato come “indispensabile” perché invisibile?
DANIELE MARTINI
febbraio 2013