di Alessandro Pascale
Discutendo con una dirigente dell’ANPI propensa a votare il PD mi sono domandato: i partigiani, quelli veri, quelli che nel ’43 salirono sulle montagne per combattere il nazifascismo, cosa farebbero oggi? Voterebbero? E per chi voterebbero?
La Resistenza è stata un movimento variegato e assai composito (nonostante sia sempre bene ricordare il peso maggioritario della componente comunista raccolta nelle Brigate Garibaldi), ma con direttive precise: lotta all’invasore tedesco per la difesa della patria, lotta al regime liberticida fascista, lotta al padronato.
Oggi non abbiamo carri armati tedeschi nelle strade, né squadracce che propinano indisturbate l’olio di ricino agli oppositori politici. Però è vero che l’Italia è un paese a sovranità limitata, sia per il potere acquisito dai mercati internazionali, sia per l’attuale conformazione dell’Unione Europea e della BCE cui ha scelto di aderire (ed è una curiosa analogia storica che a trarre più vantaggio da questa situazione sia ancora la Germania…).
Che il fascismo sia poi scomparso è un’affermazione da fare con cautela. Il fascismo trova oggi linfa in Italia come in Europa nella diffusa presenza di organizzazioni esplicitamente neofasciste; ma anche nella propagazione dei suoi cardini ideologici (corporativismo, qualunquismo, anticlassismo, populismo) e delle sue alleanze sociali effettive (l’intreccio tra borghesia, padronato e Vaticano). Sarebbe utile inoltre ricordare la concezione culturale del fascismo proposta da Pasolini, confacente a spiegare le affermazioni del berlusconismo e del “pensiero unico” liberista.
Il terzo aspetto, la lotta di classe contro il padronato (detto meglio: il conflitto Lavoro-Capitale) è anch’esso spesso assente dal dibattito pubblico italiano, considerato un’anacronismo culturale prima ancora che sociale.
Del PD, che nella percezione popolare di massa rappresenta la sinistra italiana, si può dire senza timore di smentita che l’interclassismo rappresenti un carattere costituente, tanto da far cercare con cura ad ogni appuntamento elettorale qualche “buon” esponente del mondo di Confindustria da candidare (ieri Calearo, oggi Giampaolo Galli).
Cosa farebbero allora i partigiani oggi di fronte a questo scenario desolante? Dobbiamo pensare che si darebbero alla lotta armata, come a volte si sente sostenere da certi settori più “antagonisti”?
Non penso.
Credo piuttosto che userebbero quel poco di libertà (conquistata con il loro stesso sangue) rimastagli per far attuare l’eterna incompiuta Costituzione Repubblicana, adattando ai nuovi tempi i tre princìpi cardine della loro lotta: ripristino di una piena sovranità popolare, ripudio di ogni forma di fascismo, posizione netta al fianco dei lavoratori.
Con chi si impegnerebbero i partigiani? Non certo con chi revisiona la storia e Mussolini a suo libero piacimento, ma neanche con i rappresentanti del grande Capitale finanziario-bancario. Nemmeno con chi si pone “oltre” la destra, la sinistra e il centro, assumendo posizioni ambigue sul tema dell’antirazzismo, e rimuovendo a tal punto la questione di classe da proporre l’abolizione dei sindacati…
Oggi la guerra non si combatte con i fucili, ma con la preparazione e lo studio analitico della situazione internazionale. Oggi il partigiano lotterebbe contro i meccanismi malsani del mercato, contro l’austerity, contro le banche e contro la conformazione politico-economica attuale dell’Europa.
Io credo quindi che i partigiani si sarebbero riconosciuti e schierati con le liste Ingroia. Non sarebbero certo stati entusiasti di candidature come quella di Luigi Li Gotti, ma avrebbero ricordato loro stessi per primi che la Resistenza è stata fatta in misura massiccia da ex-fascisti pentiti, e che qualche compromesso è necessario farlo per raggiungere gli obiettivi postisi. Questa è stata una grandezza della Resistenza: porre paletti su alcuni punti imprescindibili e far fronte comune con chiunque li accettasse, sapendo quanto fosse poi ardua e impari la lotta scelta. Oggi come allora occorre quindi fare Resistenza, schierarsi sulle idee, sui valori, sui ragionamenti. La nostra mente è il nostro fucile, il nostro voto è il nostro sparo. Urge combattere sapendo che la guerra sarà lunga e impervia, ma che la prima battaglia si vincerà votando e facendo votare Rivoluzione Civile il 24-25 febbraio.
ALESSANDRO PASCALE
7 febbraio 2013