di Emilio Carnevali
Grillo ha ragione nel dire che la linea del rifiuto di ogni compromesso ispira da sempre la politica dei 5 Stelle. Ma il comportamento degli elettori non è solo la risultante della condivisione integrale di un programma. Ecco perché rischia di esplodere la bolla che ha portato al successo il movimento.
In un capitolo centrale della sua Teoria generale Keynes si sofferma ad indagare i fattori che ostacolano il predominio dell’ «investimento bastato su genuine aspettative a lungo termine» nei moderni mercati di borsa. «Chi cerca di realizzarlo», scrive il grande economista inglese, «deve certamente condurre giornate più laboriose e incorrere in rischi maggiori di chi si ingegna di individuare meglio della folla come la folla stessa si comporterà». Ed è a questo punto che viene evocato l’ormai celebre esempio del concorso di bellezza per spiegare le dinamiche delle ondate speculative. L’investimento professionale è infatti paragonato a «quei concorsi dei giornali, nei quali i concorrenti devono scegliere i sei volti più graziosi fra un centinaio di fotografie, e nei quali vince il premio il concorrente che si è più avvicinato, con la sua scelta, alla media fra tutte le risposte».
In pratica non è importante che un individuo scelga quali, fra tutte le ragazze, considera personalmente le più belle, ma quali egli ritenga possano essere considerate le più belle da tutti gli altri individui. E dal momento che tutti sono chiamati al medesimo ragionamento, nessuno esprimerà una preferenza personale ben ponderata, bensì una mera previsione del comportamento collettivo, sapendo che la scelta altrui non è autentica ma anch’essa basata su una “intuizione del conformismo”. È quel terzo grado – ma si potrebbe parlare anche di un quarto, quinto, ecc. grado – in cui, come ancora scrive Keynes, «la nostra intelligenza è rivolta ad indovinare come l’opinione media immagina che sia fatta l’opinione media medesima».
Questo tipo di ragionamenti influenzano certamente anche le dinamiche politico-elettorali. E non è nemmeno necessario, per soffermarsi su tali riflessioni, ricorrere a interpretazioni ultrarealistiche (e in realtà ultrariduttive) della democrazia concepita come un semplice “mercato politico”, ovvero come asettica competizione fra gruppi per la conquista del consenso ai fini dell’occupazione del potere.
Prendiamo, ad esempio, un recente post di Beppe Grillo intitolato “Perché hai votato per il M5S?”. In quell’intervento il leader del Movimento 5 Stelle poneva una serie di domande retoriche finalizzate a dimostrare come il rifiuto netto di qualsiasi accordo di governo con il centrosinistra sia un comportamento del tutto coerente e consequenziale con i principi politico-programmatici del movimento stesso. Ed in effetti Grillo ha ragione quando ricorda a tutti di aver sempre sostenuto che il Pdl e il “Pdmenoelle” sono perfettamente uguali, che Berlusconi e Bersani e Monti e tutti quanti sono parimenti complici di ogni nefandezza, che devono andare “tutti a casa”, ecc.
E quindi ha ancora ragione Grillo quando scrive: «Se hai votato per il M5S anche soltanto per uno di questi punti [citati in precedenza, ndr], allora hai sbagliato voto. Mi dispiace. La prossima volta vota per un partito».
Confesso che in questo caso il leader dei 5 Stelle mi ha ispirato una certa simpatia. Non capita tutti i giorni di vedere un leader di partito che se la prende con il proprio elettorato e gli dice che forse ha sbagliato a votarlo. Davvero un’uscita anticonformista e spiazzante. Rispetto ai qualunquismi da “chiacchiera dal barbiere” (conditi da insulti) ai quali ci ha recentemente abituato, qui davvero si è visto uno scatto, un’invenzione degna di nota, il colpo di un fantasista di razza.
Il problema è che l’integrale condivisione di un programma, o di un “approccio”, non è condizione necessaria (e nemmeno sufficiente) per giustificare il voto concesso ad una forza politica. Non lo era all’epoca dei “partiti Chiesa”, figuriamoci ora in tempi di estrema volatilità elettorale, di appartenenze fluide, di identità composte da una miriade di fattori diversi e difficilmente ricomponibili in un’unica matrice (di classe, di genere, di livello di istruzione, di fede religiosa, di preferenze sessuali, ecc.). L’impressione che ho tratto parlando con molti elettori del movimento 5 Stelle (ovviamente non tutti, e ovviamente mi riferisco in particolare a quelli provenienti “da sinistra”) è che una quota consistente di essi abbia agito con un calcolato approccio “speculativo”, nel senso keynesiano del termine.
Prevedendo quello che sarebbe stato il comportamento generale dell’elettorato (tale da garantire una scontata vittoria del centrosinistra e una rovinosa e definitiva sconfitta di Berlusconi) si voleva mandare in parlamento un agguerrita pattuglia di “cani da guardia” in grado di esercitare una funzione di pungolo e di controllo nei confronti del governo. Questo era anche il proposito di Beppe Grillo e del movimento, evidentemente non attrezzati – tanto dal punto di vista dell’elaborazione programmatica, che della qualità del personale politico – a svolgere effettivi compiti di governo, ad essere una vera “classe dirigente”. Le imbarazzanti performance degli inadeguatissimi capigruppo alla Camera e al Senato sono sotto gli occhi di tutti e spero sgombrino il campo da ogni sospetto di malizia o pregiudizio rispetto a queste ultime affermazioni.
L’“errore” in cui sarebbe incorsa una parte dell’elettorato di Grillo, quello cioè di non ritenere il M5S determinante per la formazione di un governo (tanto più che, in alcuni casi, non si riteneva nemmeno auspicabile tale prospettiva), è per certi versi lo stesso al quale il leader si sta furiosamente aggrappando ancora oggi. Ecco perché preme ad ogni costo per un governo Pd-Pdl, l’unica prospettiva che gli lascerebbe il comodo ruolo di “contestatore esterno”. L’unica posizione in cui potrebbe liberarsi di quella responsabilità così fastidiosamente crollatagli addosso da numeri non previsti e da comportamenti elettorali fondati su previsioni sbagliate.
Dobbiamo ricordare, tornando a Keynes, che nel breve periodo gli atteggiamenti speculativi possono garantire grandi rendite ai giocatori d’azzardo. Ma se quelle puntate non sono agganciate a titoli con fondamentali economici solidi la bolla prima o poi esploderà.
Con la paralisi in cui è precipitato il nostro sistema politico all’indomani delle elezioni una prima bolla è già scoppiata. E le drammatiche condizioni sociali in cui versa il paese consiglierebbero di stare alla larga da altre tentazioni “da casinò”. Per i tre milioni di disoccupati italiani la roulette che tanto appassiona gli irresponsabili rischia di diventare una “roulette russa”.
EMILIO CARNEVALI
da Micro Mega – aprile 2013