di Dmitrij Palagi, Diego La Sala, Enrico Pellegrini, Daniele Quatrano, Carlotta Sorrentino
a) Crediamo che il progetto del Partito della Rifondazione Comunista, nato nel 1991, abbia esaurito la sua spinta propulsiva, fallito il suo obiettivo di rigenerare e rilanciare una soggettività comunista all’altezza delle nuove sfide e si sia perso in una indefinita organizzazione incapace di fare sintesi dei percorsi che lo avevano lanciato.
Leggiamo nel PRC e in tutti i partiti nati dalle sue scissioni (fra cui SEL, Sinistra Critica e PCL) pagine diverse di una sconfitta comune, che viene da lontano. Altrettanto fallimentare ci pare essersi rivelata la scelta del gruppo dirigente del PCI, che ha lanciato in pompa magna un processo di superamento del ‘900, che ha contribuito in modo sostanziale al disastro italiano rappresentato dall’attuale governo e dalle sconfitte del PD.
b) Siamo convinti della necessità di costruire una società diversa, liberata dallo sfruttamento, a partire dalla difesa degli interessi e dei diritti dei lavoratori e dalla loro organizzazione. Per noi questa “città futura” di liberi ed eguali non si riesce a descrivere con un termine migliore che non sia “Socialismo”.
Individuiamo nella Costituzione italiana quel nucleo di valori progressivi che la Resistenza aveva affermato, affidando alle generazioni successive il compito di realizzarli e svilupparli in positivo, rimuovendo le diseguaglianze e favorendo la maggiore libertà individuale possibile, nella realizzazione delle proprie aspirazioni.
c) Riconosciamo la necessità di un soggetto politico che sia in grado di rileggere la centralità del conflitto tra capitale e lavoro, legando a questo tutte le altre fondamentali battaglie, come quella per la difesa dell’ambiente o per il riconoscimento dei diritti civili, su cui crediamo sia possibile trovare un più vasto numero di forze politiche di sinistra con cui portare avanti percorsi comuni.
d) Non crediamo che esista ad oggi uno spazio politico lasciato libero da qualcuno e da occupare, ma leggiamo anche nei recenti risultati elettorali l’assenza di un tessuto sociale consapevole che cerchi una rappresentanza politica.
Non ci si può però rassegnare al rischio di diventare un’entità testimoniale, anche questo incombe su ciò che resiste tra chi si dichiara ancora comunista.
La ricostruzione di un’organizzazione capace di ereditare la tradizione del movimento operaio e di affrontare in modo serio la ridefinizioni dei rapporti economici e di potere nella società nel 2013 in Italia, non è in contraddizione con la ricostruzione di una sinistra più ampia, ma anzi i due percorsi possono e devono camminare su gambe comuni. Nessuno può pensare di ricostruire una forza politica radicata, utile ed efficace, mettendo semplicemente insieme debolezze e frantumi, senza avviare una generale, capillare e profonda riflessione collettiva generale, partendo dai territori.
e) Siamo convinti che occorra ripensare le forme dell’organizzazione, i modi di comunicare, gli spazi di aggregazione e da qui riavviare la costruzione delle mobilitazioni, rigenerando globalmente la pratica del fare politica, secondo il principio del minimo sforzo per il massimo risultato: per fare questo crediamo che occorra prima rispondere a domande più profonde sul perché fare politica oggi e perché farla come comunisti, senza dare per scontato che esistano risposte in positivo.
f) Dobbiamo cambiare i nostri schemi di riferimento arrivando a misurare l’efficacia della nostra strategia dalla propria tattica nel costante confronto con il raggiungimento o meno dei propri obiettivi, con la realtà e con nient’altro. Solo questo costruirà un legame tanto di senso quanto diretto tra teoria e prassi, tra militanza e progetto politico.
g) Non crediamo che la forma degli appelli per la ricomposizione degli schieramenti sia la pratica giusta. Il percorso di ricostruzione a sinistra, se vuole avere successo, deve avvenire in spazi sgombri da steccati e a lungo raggio temporale, senza strappi o corse contro l’effimero. Ciò a cui dobbiamo rispondere in tempi rapidi sono le domande fondamentali, per poi porsi il problema della pratica, tenendo insieme la necessità di una progettualità autonoma con le forme della sua praticabilità e la questione del consenso: prima si lavori ad un vero programma e solo dopo si passi alle questioni della rappresentanza istituzionale, dei rapporti sindacali e di quelli con il centrosinistra.
h) Crediamo nella necessità di recuperare un contesto internazionale in cui collocare il nostro agire. In particolare non si può rimandare la questione europea, che non si riduce alla collocazione in gruppi parlamentari, ma deve essere capace di proporre un’Europa dei lavoratori.
DMITRIJ PALAGI
DIEGO LA SALA
ENRICO PELLEGRINI
DANIELE QUATRANO
CARLOTTA SORRENTINO
da Il Becco.it
maggio 2013