di Valerio Todeschini
Sabato 8 giugno scorso si è svolto un convegno nazionale organizzato da Palestina Rossa con tante realtà provenienti da tutta Italia per provare a rilanciare un percorso unitario di mobilitazione a sostegno del popolo palestinese. Qui di seguito riporto il mio intervento fatto per i\le Giovani Comunisti\e, unica forza politico-partitica invitata dagli organizzatori ed intervenuta.
C’è un’immagine che mi piace sempre ricordare: quella di una bambina disegnata da Banksy su un muro, l’Israeli West Bank barrier, che cerca di volare grazie a dei palloncini, che leggera cerca di andare oltre, quasi di sognare un futuro diverso.
Quando penso alla Palestina non riesco a trovare una sintesi migliore, come a volte solo l’Arte riesce a rendere in maniera così sublime. Sintesi di uno Stato, quello israeliano, che decide di chiudersi in se stesso, che innalza muri nell’ostentata illusione di una difesa sempre più violenta quanto inefficace. Sintesi dell’arroganza e della ferocia di un Governo che cerca in tutti i modi di annientare un popolo, assoggettarlo, segregarlo.
Ci si può leggere la condizione del popolo Palestinese, confinato nei vari recinti costruiti intorno al loro diritto di avere uno stato dove poter essere liberi. Recinti che diventano prigioni, con vari nomi: isolamento di Gaza, aphartaid, Israeli West Bank barrier, embargo (solo per fare alcuni esempi). Oggi lavorare a fianco della resistenza palestinese è in primis una battaglia per la libertà.
E’ la lotta di un popolo che finalmente nel 2012 ha visto proclamare all’ONU la nascita dello Stato di Palestina, riconosciuto in qualità di osservatore, che sancisce un punto fermo importantissimo dal punto di vista del diritto internazionale ma che purtroppo non ha riscontro nella vita dei territori occupati.
In questi giorni leggiamo su Haaretz come continuano gli sgomberi, le demolizioni delle case dei palestinesi residenti in Gerusalemme Est per fare posto alla creazione di 3.600 unità abitative israeliane. Pratica contraria alla convenzione di Ginevra e allo Statuto di Roma della Corte penale internazionale secondo la quale “il trasferimento, diretto o indiretto di parte della propria popolazione civile da parte della Potenza occupante nei territori che occupa” costituisce un crimine di guerra. D’altronde Israele da decenni continua a colonizzare territorio, grazie all’appoggio degli USA: nel 2012 sono stati occupati tra ampliamenti di insediamenti esistenti e legalizzazione di outpost illegali 7.372.000 m2 in Cisgiordania. Sempre in Gerusalemme Israele ha unilateralmente negato l’ingresso alla delegazione dell’UNESCO accusando i Palestinesi di volerla politicizzare. La missione, che aveva come obiettivo un’indagine sullo stato di conservazione e mantenimento dei siti storici, religiosi e archeologici di Gerusalemme (indagine che avrebbe dovuto concludersi con una serie di raccomandazioni sulle modalità di preservazione della città), si era resa necessaria per le crescenti paure per la progressiva “normalizzazione” alla cultura israeliana a scapito di quella araba e cristiana, con i continui sgomberi di cui sopra.
Nel frattempo Gaza continua a subite l’embargo imposto da Israele ed Egitto, che aggrava giorno dopo giorno la già difficile situazione della popolazione nella striscia, già provata dai bombardamenti, ultimi quelli del 2 aprile scorso passati quasi sotto silenzio nei media italiani. Nel solo maggio 2013 sono più di 300 gli arrestati dalla polizia israeliana, che si sommano ai 4600 circa già detenuti, la maggioranza dei quali senza un motivo reale apparente e senza un regolare processo.
Sono oltre 5 milioni i profughi stimati nel 2012 che vivono nei campi attrezzati nei paesi vicini, mentre si aggravano nel frattempo le loro condizioni in Siria: secondo l’UNRWA sono 235.000 quelli costretti a lasciare le proprie case (o baracche nella maggior parte dei casi), mentre i campi diventano teatro di guerra con parecchie vittime tra i civili, tra cui anche palestinesi.
Una situazione complessa e drammatica, accentuata dalle continue divisioni tra il fronte palestinese.
Da una parte ANP, creatasi con gli accordi di Oslo, che persegue in nome della ricerca dei trattati di pace una politica fallimentare sia verso l’arresto dell’occupazione, che continua ad annettere porzioni di territorio, sia dal punto di vista democratico interno: controllo della stampa e della cultura emarginando la questione della lotta di resistenza, arresti ingiustificati verso esponenti politici di altre formazioni, di cui ne è solo l’ultimo esempio l’arresto di Zaher al-Shishtar, esponente del FPLP.
Dall’altra Hamas che mantiene il controllo territoriale nella striscia di Gaza, anche ostacolando i movimenti delle altre forze della resistenza palestinese e che inasprisce le leggi di ispirazione fondamentalistico-islamico.
In mezzo a tutto questo c’è il popolo Palestinese, martoriato dall’occupazione e dalla crisi economica in cui dal 2007 versano i territori occupati.
Per uscire da tutto questo serve mettere in moto un processo di pace autentico che sulla base del principio di “due popoli due stati” rimetta in discussione gli accordi di Oslo (tra l’altro mai rispettati da Israele) ripartendo dai confini del 1967, dallo stop alla continua colonizzazione dei territori, avendo come garanzia preliminare la possibilità dei profughi di esercitare il diritto al ritorno.
Per poter fare questo serve innanzitutto rilanciare il ruolo dell’OLP in Palestina, come propongono le forze laiche di sinistra palestinesi, come luogo unificante della resistenza, ma anche ritrovare unità nella sinistra italiana per poter garantire quel sostegno non solo fisico ma soprattutto politico che serve.
Oggi come non mai manca in Italia un movimento per la pace che sappia imporsi nella discussione pubblica e che rimetta al centro questo tema. La nostra inefficacia è apparsa in tutta la sua gravità durante la crisi libica e continua oggi riguardo alla guerra in Siria: non siamo riusciti non a fermare i preparativi di guerra, ma nemmeno a creare un fronte sociale di opposizione. Purtroppo le divisioni che ci sono tra di noi ci costringono a una situazione di marginalità, proprio nel momento in cui ci sarebbe assoluto bisogno di un grande movimento per la pace. Il nostro compito è quello di provare a rilanciarlo, dialogando con tutti i soggetti sociali e che con l’ambizione di ricreare un fronte largo di opposizione alle politiche guerrafondaie e imperialiste che vengono messe in campo dall’Europa e dal nostro Paese. Dobbiamo quindi rifuggere il minoritarismo: non possiamo lasciare che le nostre difficoltà diventino barriere invalicabili, che si continuino a mettere a valore le diversità piuttosto che i punti di convergenza.
Serve invertire la rotta e anzi promuovere un coordinamento sempre più stretto fra le varie realtà italiane, che condividono l’obbiettivo di sostenere la lotta per la liberazione del popolo palestinese. Creare un fronte unico che sappia rimettere nell’agenda politica e nel dibattito pubblico la questione palestinese, rompendo l’oscuramento mediatico e i monologhi filoisraeliani che i grandi mezzi d’informazione hanno calato. La Rete può essere un mezzo potentissimo per rompere le catene del silenzio, ma non può bastare. Serve ritornare nella società reale promuovendo controinformazione e rilanciando una rete di solidarietà che sappia essere capillare, che sia la base solida da cui ripartire. Oggi la causa palestinese può rivivere in Italia non solo come esempi di solidarietà internazionalista, ma come vera e propria lotta politica per il cambio della politica estera, non più in sostegno dell’occupazione ma che sia ispirata veramente all’articolo 11 della nostra Costituzione: riaprire il processo di pace nei modi declinati sopra, facendo pressioni sulla Comunità Internazionale e su Israele per far rispettare le risoluzioni internazionali.
Rilanciare il movimento italiano quindi, ma incastonandolo in una dimensione europea. E’ chiaro il ruolo cruciale che potrebbe giocare l’UE, ma che per precisa volontà politica rinuncia a tenere, appoggiando di fatto l’occupazione. Un movimento per la Palestina è necessario che trovi sbocco in questa dimensione, per acquistare forza e autorevolezza, per essere più efficacie. Sbocco che va ricercato dandosi obiettivi comuni e condivisi: ad esempio si potrebbe partire dal sostegno alla creazione di un’etichetta speciale in tutta l’Unione che espliciti la provenienza delle merci, ovvero se prodotte o meno nei territori illegalmente occupati, unendo una campagna di boicottaggio per quest’ultime; dovremmo provare a promuovere delle giornate di mobilitazione europee condivise.
Questo è il momento per provare a lanciare il cuore oltre l’ostacolo. Come Giovani Comunisti\e siamo pronti a dare il nostro appoggio politico e di militanza per un progetto condiviso di sostegno alla resistenza del popolo palestinese. Il contributo di tutti noi è e può essere importante per riuscire a porre fine all’occupazione e alla guerra. Perché noi assieme con i Palestinesi possiamo intravedere oltre a quel muro, come per la bambina di Banksy, il sogno di uno stato libero di Palestina vicino allo stato d’Israele, il sogno che finalmente siano i popoli a decidere del proprio futuro. Quel sogno oltre il muro che si chiama libertà.
VALERIO TODESCHINI
10 giugno 2013