di Sergio Finardi
«Noi non siamo più nella Guerra Fredda», dichiarava ieri il portavoce della Cancelliera tedesca Angela Merkel. Il presidente francese le faceva eco chiedendo in toni inusualmente duri la cessazione immediata delle operazioni di massiccio spionaggio perpetrate dalla National Security Agency (Nsa) sulle comunicazioni dei paesi europei e delle loro istituzioni, da Bruxelles a New York.
Le rivelazioni sulla «sorveglianza totale» messa in piedi dalla Nsa hanno messo in moto un processo a valanga che sino ad ora sia gli Stati uniti che l’Europa ufficiale erano ipocritamente riusciti a tenere entro l’ambito delle attività giustificate dalla lotta al terrorismo, il santo graal buono per coprire anche le attività più incostituzionali perpetrate dai governi.
Al lavoro per fermare la valanga ci saranno sicuramente nei prossimi giorni tutte le segreterie diplomatiche dei paesi europei, infarcite di uomini semper fidelis all’asse Washington-Bruxelles. Cìò che, tuttavia, pare che nessuno riuscirà a coprire sono proprio le due vere “rivelazioni”: ovvero che la Guerra Fredda non è mai finita, ma si è solo allargata, e che la lotta al terrorismo è stata ingegnerizzata, utilizzata per coprire ben altre attività.
L’Europa – con paesi a vari gradi di servaggio nei confronti del potere economico, politico e militare statunitense e quindi sottoposti a vari gradi di «sorveglianza totale» – è nel suo insieme e nelle sue alleanze extra-atlantiche considerata un avversario strategico degli Stati Uniti, tanto quanto lo sono la Cina e la Russia, dicono le rivelazioni di Snowden. Tranne – come ai bei vecchi tempi – la Gran Bretagna, cavallo di Troia dell’intelligence statunitense in Europa (si ricordi Echelon) e da sempre maggior ostacolo alla creazione di una Unione europea politicamente e militarmente indipendente.
La sorveglianza totale perpetrata sugli “alleati” europei, poi, è la prova più evidente che le migliaia di miliardi, di dollari e di euro – sottratti ai cittadini e al loro benessere dai governi delle due sponde dell’Atlantico in nome della lotta ad un terrorismo alimentato proprio dalle politiche statunitensi ed europee – sono andati a finanziare operazioni colossali di costruzione di un mascherato Stato di polizia su entrambe le sponde (e chissà che non si ampli l’altra valanga, quella degli accordi semi-segreti tra governi europei, servizi, e grandi compagnie di telecomunicazioni). Finita nel 1989 la coperta ideologica della lotta all’Unione sovietica e al suo sistema, il potere statunitense doveva trovare un altro santo graal per continuare a convogliare immense risorse verso gli apparati militari e di intelligence: lo «scontro di civiltà» teorizzato da Samuel Huntington inventava negli Stati uniti le nuove frontiere dello scontro tra popoli, mentre i primi programmi anti-terroristici delle amministrazioni Clinton (1992-2000) trasformavano risposte mirate ad atti criminali in una strategia globale infinita. Gli eventi dell’11 settembre del 2001 si incaricheranno di suggellare e di consegnare a Bush junior il santo graal.
L’Europa, al carro delle guerre degli Stati Uniti, cadeva pienamente nella trappola (o entusiasticamente vi aderiva), credendo di poter così contenere una guerra economico-politica con Washington che è invece nei numeri dell’economia mondiale e nello scontro tra una potenza in declino relativo come gli Stati Uniti e le potenze emergenti. Che a Washington, al di là della facciata, siano convinti dell’inevitabilità di quello scontro è lì da vedere, ma tutto si giocherà sulla capacità dell’Europa dei poteri forti di raccogliere la sfida e convogliarla verso un più esplicito ed autonomo imperialismo europeo. Ai lavoratori decidere se ci possa essere una terza via.
SERGIO FINARDI
da il manifesto