LA GENERAZIONE CHE NON C’E’

di Alessandra Mangano

Da mesi ormai, dovunque mi giri, vedo intere generazioni spazzate via. Una volta si diceva che il lavoro nobilita l’uomo. Poi si parlava della dignità del lavoro. E oggi, che lavorare è diventata una chimera, siamo tutti esseri umani cui è stata strappata quella dignità. Non importa che studi tu abbia fatto, né quante specializzazioni possiedi, non importa se sei bravo in quello che fai, nè l’esperienza che hai, perché nessuno, in questo Paese, ti darà la possibilità di misurarti con te stesso e con le tue capacità, nessuno ti permetterà di vivere una vita normale. Perché è questo che ci è stato strappato: nulla di trascendentale, nè più né meno che il diritto ad un’esistenza normale.
Questa aberrazione del lavoro che si trasforma da diritto in lusso che solo pochi possono permettersi, non è il risultato della crisi che ha avuto inizio nel 2008. Questo bisogna dirselo con franchezza. Questo scandalo inizia molto prima e porta la firma di governi sedicenti di centro-“sinistra”: inizia col pacchetto Treu che inaugura la stagione della “flessibilità”(così come Luigi Berlinguer inaugura la stagione della distruzione dell’Università). Ma cos’è la flessibilità? Perché ci sono due opinioni in merito: c’è quella di gente come D’Alema – solo per fare un esempio fra tanti – i cui figli, naturalmente, sono tutti sistemati e sereni, che ne tesse le lodi, dicendo che “l’epoca del lavoro fisso è finita” e che questa tipologia occupazionale è “l’unica via possibile per combattere la disoccupazione” (era il 1997). Oggi 2013, abbiamo il 40% della disoccupazione giovanile.
Guardare al modello nordamericano. Così ci dicevano alla fine degli anni ‘90 e, quando manifestavamo per protesta, perché sapevamo già che ci stavano rubando il futuro e la vita, ci accusavano di essere anacronisti, irresponsabili, sciocchi. Poi c’è l’altra opinione che, forse, è più credibile, non foss’altro che è l’opinione di quanti vivono questa flessibilità sulla propria pelle e poiché la vivono male – D’Alema, Treu e altri “compagni” ci scusino – provano ad alzare la testa e a dire: “guardate che così non funziona, che la vostra flessibilità ci sta uccidendo, che non riusciamo a trovare un lavoro e che, quando lo troviamo ci pagano dopo mesi, magari anni e che quindi non possiamo pensare di mettere su famiglia, di fare dei figli, di andare a vivere soli, insomma di diventare adulti”. Così, mentre noi ci lamentavamo e loro non ci ascoltavano – oppure ci dicevano che non capivamo la congiuntura economica, il periodo difficile, i tempi che stavano cambiando, i sacrifici che c’erano da fare – noi siamo diventati adulti imprigionati in logiche da bambini: adulti che vivono con i genitori, adulti che si fanno ancora fare la spesa dalla mamma, adulti che chiedono al papà i soldi per vivere. I nostri genitori si stanno impoverendo per mantenerci. E intanto le tasse aumentano, fare la spesa diventa ogni giorno più difficile e il malcontento si raddoppia. Le logiche interne alle famiglie mutano, si creano frizioni innescate dall’impotenza, dalla frustrazione e dalla disperazione. Ma non importa. La famiglia va ricordata solo quando c’è il “pericolo” che i gay la mettano in discussione.
E così noi, giovani-non più giovani o adulti-bambini, ci siamo inventati qualcosa per sopravvivere al vuoto esistenziale, alla noia, alla disperazione: alcuni studiano e si specializzano ulteriormente; altri provano a inventarsi dei lavori, a “fare impresa” come dice qualcuno. Ma fare impresa in questo Paese è un’altra chimera: per mettere su una piccola ditta individuale nel settore dell’artigianato, ad esempio, devi sottoporti a una burocrazia dalle maglie strettissime, passare dal commercialista alla camera di commercio, sborsare un mare di soldi (che non hai), compilare moduli infiniti. Poi devi trovare la sede, deve essere a norma, devi pagare le tasse (prima, durante e dopo e indipendentemente dal fatto che hai guadagnato o meno quell’anno, perché INPS e INAIL sono obbligatorie anche se non hai fatturato granché). Quindi ti chiedi: perché aprire una ditta se i soldi che guadagnerò (ammesso che li guadagni) se ne andranno in tasse? E così altri preferiscono lasciarsi andare, passare le giornate in pigiama, ad abbrutirsi. La laurea e le speranze che vi avevi riposto sono sempre più fioche e lontane. L’unico momento in cui ci si sente meno soli è quando alla sera, ogni tanto, puoi permetterti il lusso di uscire con gli amici e condividere le tue angosce, scoprendo che non sei solo, ma che ci sono migliaia e migliaia di giovani e anche meno giovani, che sono nella tua stessa situazione. Allora torni a casa e pensi: ma quando i nostri genitori, un giorno, non ci saranno più? Già, perché le famiglie italiane sono diventate i più grandi ammortizzatori sociali del secolo. Purtroppo, però, hanno durata limitata.
Allora, mentre continui ad abbrutirti davanti alla TV dei talk-show spazzatura, dove tutti gridano contro tutti e tu non riesci a capire nemmeno una parola, inizi a pensare che infondo, non ci hanno solo ucciso la speranza, calpestato la dignità, rubato il futuro ma che continuano, costantemente, a prenderci in giro perché quando – finalmente – smettono di starnazzare come galli in un pollaio, ti accorgi che non è per via del tuo dramma che si danno addosso ma per l’agibilità politica di Berlusconi o per il congresso del PD e per Renzi e Cuperlo, Cuperlo e Renzi e per Silvio e i falchi e le colombe. Allora spegni la tv e, prima di prenderla a calci, ti viene in mente che non è efficace, serve solo a distruggere un oggetto che probabilmente non riuscirai mai più a ricomprare. Vai a dormire col pensiero fisso: c’è sempre la possibilità di andare via, all’estero. E’ davvero questa l’unica soluzione che ci rimane per salvarci da questo sistema? E’ questo il dibattito su cui una vera classe dirigente di sinistra dovrebbe accalorarsi a discutere per trovare una strada, perché è su questi temi che si ricostruisce la sinistra, in questo Paese come altrove.

ALESSANDRA MANGANO

da www.esseblog.it

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