di Stefano Galieni
«Io sono marocchino. Io sono kurdo. Io sono ucraino. Io sono algerino». Chi parla un po’ di italiano racconta le vicissitudini che lo hanno portato a parlare fra le sbarre del Cie di Ponte Galeria, periferia sud di Roma. C’è chi parla anche per quelli che non aprono più bocca, quelli che mostrano con orgoglio, lucidità e sfida le labbra gonfie e cucite con il filo di una coperta. Si sono fatti disinfettare le ferite, vogliono la libertà ma non vogliono morire, hanno però deciso, da sabato di non assumere più il vitto né i farmaci loro prescritti. Una scelta di tutti, tranne una parte dei detenuti dell’Africa Sub-sahariana, la loro determinazione spaventa gli stessi gestori del centro. Il direttore del Consorzio Auxilium lo dice tranquillamente: «Io sono qui da agosto. Non li ho mai visti così decisi come in questi giorni. Abbiamo proposto loro di togliersi le cuciture, si sono rifiutati e non mi stupirei se in poco tempo la scelta si estendesse a gran parte dei trattenuti».
Rivolte continue a Ponte Galeria
l Cie di Ponte Galeria è il più grande d’Italia, potrebbe contenere 364 persone ma in questi giorni ce ne sono 90, 61 uomini e 29 donne. Come accade negli altri Cie la gestione è divenuta impossibile per le continue rivolte, per la tensione perenne, per i sacrosanti tentativi di fuga, per gli innumerevoli atti di autolesionismo. Su 13 sono 6 quelli oggi operativi e in gran parte con meno del 50% dei posti disponibili utilizzati. A Roma da sempre è un inferno e la struttura è considerata dallo stesso prefetto una polveriera da chiudere, inadeguata a ospitare esseri umani ma ora sta avvenendo un salto di qualità nella protesta che riprende le modalità delle antiche rivolte carcerarie. I reclusi non chiedono solo di vivere in condizioni migliori ma urlano hurria (libertà in arabo), non accettano questi assurdi tempi di trattenimento, non li giustificano con alcuna ragione. Non vogliono restare in Italia, vogliono andare via da un Paese che vivono come fallito, ma non vogliono tornare neanche nel paese di provenienza, dove li attende o la dimostrazione di un fallimento o conseguenze peggiori, legate alle ragioni della fuga.
“Non ho più nulla da perdere”
La protesta è iniziata a partire da un uomo che ha denunciato il mancato ricevimento, da parte dei parenti, di una somma di denaro inviata. In breve tempo il numero di coloro che si sono chiusi la bocca, utilizzando strumenti rudimentali e quindi ancor più dolorosi: 4, poi 8, poi 10, da stanotte sembra siano in 15 che si sono inferti tale tortura. Una forma di lotta violenta contro se stessi e potrebbe non essere l’unica e la peggiore. «Se non mi fanno uscire mi ammazzo – ha detto con tranquillità e tono pacato un giovane marocchino – Non ho più nulla da perdere. Mi sono venuti a prendere mentre ero al lavoro. Non ho fatto nulla di male, non vendo droga, non sono un criminale. Se mi trattate così posso solo ammazzarmi».
“Ora bisogna scegliereda che parte si sta”
Le storie si affastellano, incontri un uomo che è fuggito dal suo paese con la compagna. Le famiglie non volevano il matrimonio, loro hanno scelto di stare insieme e ora rischiano entrambi la vita Li fanno incontrare sporadicamente e sotto la sorveglianza degli operatori. Un uomo kurdo di mezza età racconta di aver chiesto inutilmente asilo, lo stesso è capitato ad un ragazzo ucraino. Un altro, algerino, ha una infezione alla mascella. Aveva appuntamento per una visita medica a Lucca il 6 dicembre, è stato fermato senza documenti il 30 novembre. Ora nessuno lo cura e la sua infezione peggiora. Sabato notte e domenica mattina sono entrate delegazioni di politici e del mondo dell’associazionismo, un paio di troupe televisive che avevano avuto l’autorizzazione dalla prefettura. Sono uscite dichiarazioni durissime dal presidente del Pd Gianni Cuperlo, dal presidente del Comitato per la tutela dei Diritti Umani del Senato, Luigi Manconi, da parlamentari di Sel, dal vice sindaco di Roma e dalla consigliera regionale Marta Bonafoni che sta approntando una mozione in materia. Presenti anche esponenti di “A Buon Diritto” e della Campagna LasciateCIEntrare, (di cui fa parte anche il Prc) che della chiusura dei centri ha fatto la propria ragione di esistenza. Qualcuno fra i rappresentanti politici lo sapeva ed era già intervenuto, qualcuno ha scoperto sabato o domenica di avere a due passi da casa, un vero e proprio incubo. Il frutto di leggi inique, ingiuste, perverse, razziste ma anche fondamentalmente inutili e destinate a produrre solo enormi danni sociali. Ora le labbra cucite di Ponte Galeria, come le immagini di Lampedusa, si sono imposte all’attenzione di tutti uccidendo l’ipocrisia del clima natalizio. Ora sarà difficile dire che non si sapeva. Ora bisogna scegliere da che parte si sta.
STEFANO GALIENI
da Contro la crisi.org