Un mix di keynesismo e di neoliberismo. Questa la sintesi delle politiche sulla scuola del nuovo governo. Ieri al Senato Matteo Renzi ha promesso «un programma nell’ordine dei miliardi di euro» per salvare l’edilizia scolastica più fatiscente d’Europa. Domenica scorsa, però, il neo-ministro dell’Istruzione, la montiana Stefania Giannini, ha promesso di portare i licei a quattro anni; abolire gli scatti di anzianità per i docenti. Si parla inoltre di riesumare il Ddl Aprea respinto dagli studenti due anni fa; di aumentare l’orario di servizio dei docenti delle scuole secondarie a 24 ore a parità di salario; si teme il taglio non solo del fondo d’istituto. Ieri Renzi ha detto di volere consultare i docenti, visitando ogni mercoledì un istituto. Domenica Giannini si era detta «scettica» sulla consultazione, piuttosto improbabile, lanciata dall’ex ministro Carrozza. Se non è una contraddizione, forse, l’intesa è da affinare.
Studenti e sindacati hanno risposto a cannonate. La Rete della conoscenza haconvocato una manifestazione nazionale il 28 febbraio contro l’istituzione di un fondo nazionale per le borse di studio erogato nelle forme del prestito d’onore. Il progetto di Giannini è fare come negli Usa dove sulla testa di milioni di studenti grava il peso di un debito di migliaia di euro. I sindacati sostengono che il neo-ministro è «fuori dalla realtà». Tagliare oggi gli scatti d’anzianità significa cancellare l’unico modo per recuperare il potere d’acquisto dei salari più bassi d’Europa, visto che il contratto di categoria è bloccato dal 2006.
Il governo deve ancora entrare in carica e ha superato ogni record. In poche ore si è messo contro tutta la scuola. Sull’università e sulla ricerca né Renzi né Giannini si sono ancora espressi compiutamente. A Viale Trastevere hanno già i brividi. Le incognite abbondano anche sul lodevole annuncio di rifinanziare l’edilizia scolastica. Renzi non si è sbilanciato su quanti miliardi servirebbero al suo piano. Forse gli 8 promessi un’era glaciale fa da Bersani in campagna elettorale? In compenso, ha fornito un’indicazione sul metodo per quantificarli. Già oggi invierà una lettera a 8 mila tra sindaci e presidenti delle moribonde province per conoscere le condizioni dell’edilizia scolastica nelle loro città e territori. Al termine di questo imponente scambio epistolare, tra il 15 giugno e il 15 settembre (ha specificato Renzi) il governo elaborerà il programma.
La lettera ai sindaci è una scelta singolare. Dal 1996, infatti, esiste il progetto di un’anagrafe ministeriale con il compito di censire il patrimonio e il suo stato di conservazione. Un’impresa mai conclusa. E che Renzi non ha citato, forse perchè la ritiene inutile o troppo «burocratica». Sarebbe tuttavia la via più razionale per ottenere un piano di interventi urgenti in un paese dove la manutenzione ordinaria è inadeguata per il 39% degli istituti (dati cittadinanzattiva) e dove sono oltre 24 mila le scuole costruite su aree a elevato rischio sismico e circa 6.250 gli istituti che sorgono in aree a forte rischio idrogeologic (dati Ance-Cresme). Poi si tratterà di trovare i miliardi promessi. L’impresa non è facile. Renzi lo sa e ha lanciato la sfida fatale alle regole dell’austerità europea: vuole sfondare il tetto del patto di stabilità interno che strozza gli enti locali, impedendo l’investimento di risorse già esistenti.
In realtà, l’allentamento al patto di stabilità interno è già avvenuto. Il 14 febbraio scorso, la Ragioneria generale dello stato ha diffuso la lista dei 6.087 comuni che potranno sforare il tetto nel 2014. Lo spazio concesso dalla legge di stabilità è pari a 850 milioni di euro. Salvo alcune eccezioni, i comuni alluvionati in Sardegna ad esempio, a ciascuno andrà in media 140 mila euro. Letta ha fatto uno sforzo colossale per strappare questa cifra alla morsa dell’austerità.
I miliardi vagheggiati ieri rischiano di restare lettera morta. Anche in questo caso Renzi punta tutto sulla deroga al 3% sul deficit/Pil, ma è troppo ottimista. L’ex ministro all’economia Saccomanni si era già messo a parte civile: la Commissione europea oggi potrebbe comunicare stime più negative sulla recessione italiana nel 2014. L’Italia potrebbe superare questo tetto. E rischia di pagarne le conseguenze con una nuova procedura d’infrazione. Altro che sanatoria sulle spese per investimenti nei lavori pubblici. Il governo punta tutto sull’uso dei fondi europei 2014–2020. Da usare nel prossimo settennato.
ROBERTO CICCARELLI
da il manifesto