Anche la Camera ieri ha dato il via libera al «decreto precari per sempre» che porta il nome del ministro del lavoro Giuliano Poletti. 333 deputati hanno votato a favore, 159 contro. Il governo Renzi ha così incassato la nona fiducia del suo mandato, la terza su un testo che è cambiato altrettante volte nella navetta tra Camera-Senato-Camera. Una decisione presa per evitare trappole, tranelli e ripensamenti dell’ultim’ora da parte di una maggioranza eterogenea, di cui il presidente del Consiglio si fida poco, evidentemente. Tutti, alla fine, si sono detti soddisfatti.
Il Partito Democratico con Cesare Damiano, presidente della commissione lavoro alla Camera, secondo il quale il Decreto Poletti «è un compromesso accettabile» perché mantiene inalterata la sostanza delle correzioni apportate in prima lettura alla Camera. Anche il Nuovo Centro Destra canta vittoria perché ritiene di avere «smontato» la riforma Fornero e sottratto il provvedimento dalle grinfie della Cgil. Una posizione surreale per giustificare il peggioramento del testo, in particolare sulla multa alle aziende che non rispettano il limite massimo di contratti di lavoro a termine pari al 20% dell’organico stabile. La destra al governo celebra il fatto che «ora ci sono meno rigidità per le imprese», svincolate da uno dei pochi obblighi imposti dalla riforma Fornero. Di tutt’altro avviso i deputati di Sel che ieri hanno indossato una maschera bianca contro un provvedimento «che rende ineluttabile e naturale la condizione precaria per tutti i giovani» ha detto Titti Di Salvo.
Per Marco Revelli, portavoce dell’Altra Europa con Tsipras, presente a un presidio in piazza Montecitorio organizzato da precari, studenti e sindacati di base, il decreto Poletti è «una grande beffa, non produrrà lavoro, ma avrà il solo effetto di sostituire in modo permanente quel pò che resta del lavoro “buono”, ossia stabile, con quello “cattivo”, ossia precario». Per Francesco Raparelli, tra i portavoce delle Clap, Camere del lavoro autonomo e precario di Roma «il decreto rappresenta l’inizio di una nuova politica post-salariale del lavoro,sempre più precarizzato che osteggeremo». L’appuntamento è per sabato 17 maggio dove le ragioni contro questo primo scampolo di «JobsAct» sfileranno insieme a quelle dei movimenti per i beni comuni, contro il Fiscal Compact e il patto di stabilità.
Tra le novità del decreto Poletti c’è anche l’esclusione degli enti di ricerca dal limite del 20% sui contratti a termine. Per tutti gli altri casi è stata introdotta una «norma ponte» per cui l’obbligo di adeguamento alla soglia scatterà dal 2015, sempre che la contrattazione collettiva non fissi un altro limite. Per le lavoratrici madri viene rafforzato il diritto di precedenza delle donne in congedo maternità per le assunzioni. Sull’apprendistato sono stati ridotti gli obblighi di assunzione dei lavoratori nelle aziende oltre i 50 addetti. Il ministro del lavoro Poletti è stato contestato ieri mattina ad un convegno di presentazione della «Garanzia giovani» a Porta Futuro a Roma. Nonostante un fitto schieramento di polizia, i manifestanti sono riusciti ad esporre lo striscion «#stopjobsact. Reddito, welfare, diritti per tutti», intervenendo in un’assise dove c’erano anche la presidente della Camera Blodrini e il presidente della regione Lazio Zingaretti.
Per gli attivisti, i 900 mila posti promessi dalla «garanzia giovani» sono tutt’al più dei «mini jobs» o semplici ammortizzatori sociali. All’opposto, per i governanti sono un’«occasione» da non perdere per stagisti e apprendisti. Poletti ha ribadito che il suo decreto «non aumenta la precarietà» Il ministro sostiene che la criticatissima norma che cancella per tre anni la causale sui contratti a termine permetterà «all’impresa di rinnovare allo stesso lavoratore il contratto». Di parere opposto, e con solidi argomenti, sono i giuristi democratici che hanno annunciato di ricorrere in Europa contro un provvedimento che viola le normative europee sui contratti a termine. «Se i numeri ci daranno torto — ha aggiunto Poletti — prenderemo atto di avere preso una strada non giusta». Qualcuno ha sincronizzato gli orologi, ieri, a piazza Montecitorio.
Acampada al Senato
Nelle stesse ore del presidio alla Camera, i movimenti della casa hanno sfilato per il centro di Roma contro l’approvazione in corso del piano Lupi sull’emergenza abitativa. Il voto finale dovrebbe esserci oggi al Senato su un provvedimento che contiene misure che metteranno il turbo ai lavori dell’Expo a Milano: spese per manutenzuione del verde, 25 milioni di euro al comune di Milano, agevolazioni fiscali. Ciò che inquieta di più i movimenti che si sono accampati a Sant’Andrea della Valle, a pochi metri da piazza Madama, è l’articolo 5 che taglierà le utenze a tutte le occupazioni abitative in Italia. Per i movimenti si tratta di un vero e proprio atto di rappresaglia. «Solo a Roma ci sono centinaia di sfrattati, 100 mila appartamenti vuoti, — ha detto Paolo Di Vetta (Blocchi Precari Metropolitani) — vogliamo vedere in faccia chi ucciderà il diritto alla casa».
ROBERTO CICCARELLI
da il manifesto