Per un giorno, la campagna elettorale in Spagna si è fermata. Ieri tutto sospeso in segno di lutto per l’omicidio della segretaria del Partido popular(Pp) della provincia di León, nel nord del Paese. Un crimine non a sfondo politico, ma compiuto molto probabilmente da una donna di 35 anni, arrestata dalla polizia, per una sorta di vendetta. Non manca però, sullo sfondo della vicenda, lo scenario di crisi che in cui versa il Paese iberico: la presunta colpevole è una disoccupata, già lavoratrice precaria della provincia. E non mancano, di conseguenza, le strumentalizzazioni: isolate, ma rumorose. Come quella della sindaca di Valencia, Rita Barberá, esponente dell’ala più di destra del Pp: l’omicidio è certamente dovuto a questioni personali, ha dichiarato, «ma in Spagna si è creato un brodo di coltura di radicalismo e violenza» contro il quale le istituzioni devono agire «per recuperare uno spirito di convivenza civile».
L’accusa di Barberá non è nemmeno troppo velata: i «mandanti morali» dell’omicidio della leader del Pp di León sono tutti coloro che, dall’acampada di Puerta del Sol (15 maggio 2011) in avanti, hanno manifestato in modo «illegale» contro le politiche antisociali dei governi di José Luís Zapatero, prima, e di Mariano Rajoy ora. Sul banco degli imputati dovrebbero finire, dunque, occupazioni di case, picchetti durante gli scioperi, manifestazioni non autorizzate intorno al Parlamento, azioni di resistenza nonviolenta contro gli sfratti. E forse, nella visione dell’arcireazionaria sindaca di Valencia, anche l’opposizione del partito socialista (Psoe), sempre accusati dagli avversari del Pp di «alzare troppo i toni».
In realtà, negli ultimi giorni si sono moltiplicate le voci, anche nel seno dei socialisti, che ipotizzano per la Spagna (e l’Europa) un futuro di «larghe intese» sul modello tedesco. Un’idea rilanciata con forza dall’ex premier Felipe González, che ha costretto il segretario Alfredo Pérez Rubalcaba a correre ai ripari: «Finché sarò alla guida del Psoe — ha dichiarato — non ci sarà mai una grande coalizione con il Pp». Sulla stessa linea anchen la capolista alle europee, Elena Valenciano. Non potrebbe essere altrimenti: difficile mobilitare il proprio elettorato (e pescare fra gli astensionisti) se ciò che si prospetta è un accordo con l’impopolare forza attualmente al governo.
Un sondaggio diffuso ieri (in Spagna la legge lo consente) ha messo in luce che la formazione del premier Rajoy il 25 maggio perderà consensi rispetto alle politiche del 2011: un risultato che si tradurrebbe in un quarto di eurodeputati in meno di quelli ottenuti cinque anni fa. Non farebbe molto meglio il Psoe, incapace di recuperare il consenso evaporato a causa delle scelte pro-austerità dell’ultimo anno di governo Zapatero: il numero di seggi a Strasburgo calerebbe, anche nel loro caso, di circa un quarto. Decisamente positive le previsioni che riguardano Izquierda unida, la lista che in Spagna sostiene la candidatura di Alexis Tsipras a presidente della Commissione Ue, che moltiplicherebbe i rappresentanti nell’Europarlamento dagli attuali 2 a 8. In salita i centristi laici di Upd, stabili i nazionalisti di centrodestra catalani e baschi, mentre sono un’incognita due liste che si affacciano all’appuntamento con le urne per la prima volta: podemos e il partito x.
Due forze che, in modo diverso, si richiamano all’esperienza degli indignadose di cui nessuno è in grado di prevedere l’impatto sul sistema politico iberico. Nemmeno i sondaggisti, come denunciano proprio gli esponenti del partito x, che lamentano il proprio oscuramento dalle rilevazioni di opinione: «Vedono solo quello che c’è già e non sono in grado di capire l’umore della strada».
JACOPO ROSATELLI
da il manifesto