Intervista a FelynX, uno dei portavoce del Partito Pirata in Italia
Una piccola anomalia. Piccola quanto si vuole ma significativa. Quasi ovunque in Europa – anche se i media spesso non sanno neanche di che si tratta – si presentano a queste elezioni, i partiti pirata. Alle scorse consultazioni continentali ebbero due seggi, entrambi conquistati in Svezia. Ora ci riprovano e tutto fa capire che in qualche paese potrebbero farcela. Forse anche in Germania, dove comunque l’effetto valanga delle elezioni di un anno e mezzo fa s’è molto attenuato. O forse in Finlandia, dove si candida coi pirati un vero e proprio «mito» del mondo hacker, il fondatore della «Pirate Bay» Peter Sunde. Questo nel vecchio continente. In Italia, invece, i membri del gruppo hanno votato (col loro strumento di democrazia digitale: Liquid FeedBack) e hanno invece deciso di sostenere la lista Altra Europa per Tsipras. FelynX – con la «x» rigorosamente in maiuscolo –, 50 anni ben portati, è uno dei «portavoce» più conosciuti e più impegnati.
Perché avete scelto di sostenere la lista Tsipras?
Se in Italia ci fosse una legge meno liberticida ci saremmo presentati col nostro simbolo. Ma non avendo un gruppo europeo di riferimento (a Strasburgo i due pirati svedesi si sono “appoggiati” in questa legislatura ai Verdi, ndr) avremmo dovuto raccogliere 250mila firme. Impossibile. Detto questo, però, sappiamo che le europee sono un’occasione irripetibile per le nostre sfide.
E avete scelto l’Altra Europa.
E chi altri sennò? Abbiamo pensato che questa sia davvero una delle ultime occasioni per la sinistra antiliberista di rinnovarsi. Di aprirsi alle nuove contraddizioni di un mondo, quello digitale, che è un mondo complesso dove però sono chiari i conflitti: di qua i colossi delle infrastrutture, di qua le OTT (Over-the-top, i fornitori di servizi tipo Netflix, Skype, Google, etc., ndr) – che potranno anche scontrarsi nel breve periodo ma che hanno gli stessi obiettivi strategici. Di qua milioni di utenti sempre più espropriati del loro diritto a condividere cultura, informazione e saperi. Di là multinazionali che hanno bilanci pari a quelli di decine di stati. Sì, abbiamo pensato che o la sinistra impara ad essere un po’ pirata – uso le parole che ci ha detto Luca Casarini – o è destinata ad essere sconfitta.
E si può trarre già un primo bilancio?
Il lavoro è stato enorme. Assieme ad altre associazioni abbiamo dato vita a DigiTsipras. Un sito, un punto di riferimento col quale abbiamo scritto a cento mani il programma per i diritti digitali della coalizione. E’ avanzatissimo, è fatto di proposte concrete. Alcune ambiziose, altre semplicemente di “buon senso”.
E come ha risposto la lista Tsipras?
Molto interesse. All’inizio. Poi – è inutile negarlo – molta «delega»: occupatevene voi, avete carta bianca. Un gesto di fiducia importante ma anche rivelatore di una consapevolezza non ancora piena. In Italia stiamo già sperimentando cosa significhi per il diritto alla libera circolazione dei pensieri e delle opere, il regolamento liberticida dell’Agcom. Abbiamo presente, allora, cosa potrà significare in Europa – anche sul versante dei diritti digitali – l’eventuale ratifica del Ttip? Non esagero: sarebbe la fine della democrazia, sarebbe la fine di una concezione del diritto consolidato da secoli. Ecco, su questo non c’è piena consapevolezza nella sinistra, come se queste battaglie potessero sostenerle solo i pirati, gli hacker e gli addetti ai lavori. Ma qualcosa sta cambiando.
Che cosa?
Qualcosa si è mosso. Tredici candidati hanno aderito a DigiTsipras (Finiguerra, Lipperini, Padoan, Seibezzi, Cirelli, Lugli, Casarini, Fattori, Medici, Zanardo, Furfaro, Bolini e Agostini) e hanno preso l’impegno a collaborare con i pirati eletti negli altri paesi per condurre assieme le battaglie contro i signori del copyright e contro il Ttip. Tutti hanno assicurato che questa battaglia non finisce col voto di domenica.
Intanto però c’è addirittura chi – anche a sinistra – sostiene che la «net neutrality» andrebbe rivista. Perché penalizzerebbe le Telecom ma favorirebbe Google…
Sono ragionamenti assurdi. Il diritto ad avere una sola rete (e non due reti, di cui una per i ricchi, che pagano per avere più connessione) mi sembra un principio talmente scontato che non meriterebbe neanche una replica. Noi siamo chiari nel programma: le infrastrutture di rete devono tornare ad essere in mano pubblica. Che sull’ammodernamento dovrà investire. E tanto. Accesso per tutti, uguale per tutti, al costo minimo possibile. La rete come bene comune: vogliamo riappropriarcene.
GIACOMO LOSI
da il manifesto