Università. Choosy a chi? Laureati a 25 anni, tirocini, stage, master, ma il futuro è precario. Ci vuole stabilità, indipendenza e autonomia. I risultati dell’indagine Almalaurea condotta su 230 mila neo-dottori
Laureati a meno di 23 anni prendono il titolo di studio terziario nel tempo previsto e sono impegnati in tirocini per acquisire competenze, contatti, relazioni. Quelli che hanno alle spalle una famiglia da ceto medio riescono più di altri a studiare all’estero, anche se nell’università riformata il numero di coloro che portano la laurea in famiglia per la prima volta resta alto. È il profilo dei laureati italiani descritto dal Consorzio Almalaurea nel XVI profilo presentato ieri all’Università di Scienze Gastronomiche di Bra.
Calibrato in questo modo il profilo dei laureati sembrerebbe essere ricalcato sulla base del laureato modello sognato dai riformatori dell’istruzione di centro-sinistra e di centro-destra che da Ruberti nel 1989, passando per Berlinguer-Zecchino, è arrivata a Gelmini nel 2008: giovane, efficiente, pronto a sgomitare nella competizione quotidiana. Il sosia del soggetto neoliberale che si trova a proprio agio nell’economia della conoscenza. Basta leggere con attenzione il rapporto per scoprire come l’aurora di questo novello Prometeo non è mai nata e, anzi, conteneva i presupposti del suo fallimento.
Almalaurea registra come la precarietà di massa, e la disoccupazione giovanile al 42,7% tra i 15–24 anni, abbiano modificato le scelte degli studenti e il loro atteggiamento rispetto al futuro. Tanto più a lungo il laureato sarà precario, cambiando lavori che non c’entrano nulla con il suo titolo di studio, tanto più sentirà il bisogno di equilibrare l’incertezza del futuro rafforzando le sue competenze. Agisce in questo modo il 76% dei 230 mila laureati in 64 atenei interpellati nell’indagine 2013. Per molti sarà una sorpresa, abituati come siamo al dogma «flessibili è bello», ma tra i laureati è forte l’esigenza della stabilità del posto del lavoro (66%), l’aspirazione ad una carriera (61%), al reddito (55%). Una sequenza tipica del lavoro professionale e del ceto medio, che sembra ormai perduto. Ciò non toglie che i laureati rivendichino nell’indagine autonomia sul lavoro e indipendenza nella vita.
Elementi controcorrente nella società della dipendenza in cui viviamo.
C’è anche un altro fattore da considerare: su cento laureati terminano l’università in corso 41 ragazzi nella triennale, 34 del ciclo unico e 52 magistrali. La precarietà inizia dunque prima che in passato, spingendo le nuove generazioni ad intensificare il numero delle esperienze di stage o tirocini, periodi di prova. Quello dell’iper-specializzazione è un fenomeno consolidato che oggi trova conferma nei comportamenti delle nuove generazioni. I tirocini sono centrali in tutti i corsi di laurea, coinvolgono il 61% dei laureati di primo livello, il 41% dei magistrali a ciclo unico, il 56% dei magistrali. Nel 2004 solo il 20% dei laureati aveva fatto questa esperienza. Anche questo dato conferma un’attitudine opposta dello stigma inflitto da ex ministri dell’università o del lavoro secondo i quali i laureati italiani sarebbero un popolo di lazzaroni «schizzinosi.
Avere anticipato il tempo di laurea (in media 25,5 anni per il triennio, 26,8 per il ciclo unico, 27,8 per i magistrali biennali) non ha moltiplicato il numero dei laureati. L’Italia resta in fondo alle classifiche Ocse, un dato che rivela il fallimento della strategia «riformista», di stampo produttivistico, adottata vent’anni fa. Nella fascia di età 25–34 anni solo il 21% ha la laurea rispetto alla media Ocse del 39%. Come in Romania. Una realtà che rende impossibile il raggiungimento del 40% di laureati, l’obiettivo della riforma «Berlinguer-Zecchino». Per raggiungerlo gli atenei hanno trasformato i loro corsi in spezzatini pronti all’uso, ma utilità sul mercato. Una volta sgonfiata la bolla formativa sono diminuite le immatricolazioni: nel 2003 erano 338 mila, 270 mila nel 2012 (-20%).
Oggi solo 3 diplomati su 10 si iscrivono all’università, una realtà che rivela la crisi dell’università e ha prodotto fughe in avanti. Visto che un mercato per il lavoro cognitivo non esiste, meglio scegliere formazioni più «pratiche». Questa è la tentazione di chi vuole trasformare l’istruzione in una scuola professionale sul «modello tedesco». Almalaurea ha dimostrato, invece, che la laurea garantisce un tasso di occupazione di 13 punti maggiore rispetto ai diplomati (75,7% contro il 62,6%). Anche questo sembra un modo per difendersi contro la precarietà e la marea del lavoro gratuito.
ROBERTO CICCARELLI
da il manifesto