Giustizia. Respinta la richiesta di archiviazione del pm, il dibattimento si apre il 20 ottobre. Dopo 6 anni e quasi alla prescrizione, gli agenti alla sbarra per omicidio preterintenzionale dell’uomo morto dopo aver passato una notte in caserma
Tutti rinviati a giudizio. I sei poliziotti e il carabiniere che la notte del 14 giugno del 2008 arrestarono Giuseppe Uva andranno a processo, in Corte d’Assise, il prossimo 20 ottobre. Così ha deciso nel pomeriggio di ieri il gip del Tribunale di Varese, Stefano Sala, respingendo, un po’ a sorpresa, la richiesta di «non luogo a procedere» presentata dal pm Felice Isnardi qualche settimana fa. A un passo dalla prescrizione, quando la speranza era ormai perduta, è arrivata la svolta. I tempi saranno comunque strettissimi: un anno e mezzo al massimo per tre gradi di giudizio, grazie alla ex Cirielli.
Ci sono voluti sei anni per arrivare a questo punto, un cammino lunghissimo che Lucia Uva, la sorella della vittima, ha affrontato con coraggio, senza mai perdersi d’animo, nemmeno quando ogni strada sembrava sbarrata: «Voglio dedicare la giornata di oggi al procuratore Agostino Abate – ha detto la donna, in lacrime, a notizia appena appresa –. Lui non ha mai voluto cercare la verità. Mio fratello non ha mai fatto atti di autolesionismo, ma è stato picchiato in caserma». Il palazzo di via Saffi, cioè, quello in cui Giuseppe fu portato insieme all’amico Alberto Biggiogero, in una notte lunghissima d’inizio estate. Adesso il processo dovrà accertare cosa accadde lì dentro, prima dell’arrivo di Uva all’ospedale, dove il suo cuore smise di battere. Ci sono le urla che avrebbe sentito Alberto, il misterioso medico asiatico arrivato lì non si sa bene come né chiamato da chi, la chiamata al 118 che però «non poteva intervenire».
Prima della decisione di mandare gli uomini in divisa alla sbarra, il calvario giudiziario. Una miriade di procedimenti paralleli, indagini aperte e mai chiuse, polemiche su polemiche, querele. «Un processo magmatico e spesso contraddittorio», secondo le parole usate qualche tempo fa dal giudice Sala. Il Csm e il ministero della Giustizia hanno ripeso in più occasioni il pm titolare delle indagini Abate, fino ad arrivare a rimuoverlo. Il gip ha respinto diverse istanze di archiviazione per la posizione degli agenti e poi ne ha ordinato l’imputazione coatta. Gli stessi agenti e i sindacati di polizia hanno querelato tutti quelli che hanno osato obiettare qualcosa sul loro atteggiamento in questa storia. Addirittura un processo passato a inseguire la fantomatica pista della malasanità, con il dottor Carlo Fraticelli accusato di aver ammazzato di farmaci Giuseppe Uva. La cosa finì con un’assoluzione pienissima perché «il fatto non sussiste».
Insomma, è successo di tutto, ma fino a pochi mesi fa ogni investigatore che si è avvicinato al caso Uva si è praticamente rifiutato di approfondire quanto accaduto nella caserma di via Saffi, nessuno voleva sentir parlare di botte da parte degli agenti. Nessun livido, nessuna ecchimosi, nessuna bozza sul cadavere sembrava in grado di dimostrare che, forse, non tutto si era svolto in maniera pacifica, mentre Giuseppe era sotto la custodia dei tutori dell’ordine. Il pm Abate, in quella che probabilmente riteneva una dimostrazione di buona volontà, sottopose Biggiogero a un massacrante interrogatorio in cui il testimone venne addirittura accusato di voler assumere droga perché aveva chiesto un caffè. Le immagini finirono su Youtube e il senatore del Pd Luigi Manconi chiese al Guardasigilli se una cosa del genere possa essere ritenuta ammissibile in uno stato di diritto.
Lo scorso giugno era arrivata quella che a tutti parse la mazzata finale sulla possibilità di fare luce sulla morte di Giuseppe Uva: il procuratore Isnardi, che aveva tolto il fascicolo ad Abate, chiese il proscioglimento per l’accusa di omicidio preterintenzionale e altri reati. Ieri il gip Sala ha regalato l’ennesimo colpo di scena di questa storia: tutti rinviati a giudizio, per tutti i reati per i quali era stata chiesta l’imputazione coatta: oltre all’omicidio preterintenzionale, anche lesioni dolose, percosse, abbandono d’incapace e arresto abusivo. «È la nuova tappa di un’odissea infinita – conclude Adriano Chiarelli, regista del documentario “Nei secoli fedele” sul caso Uva –. Questa volta però non ci sarà spazio per mistificazioni e giochini. Resteremo come sempre a fianco a Lucia, fino alla fine». Giuseppe Uva avrà un processo.
MARIO DI VITO
da il manifesto