Camusso vs Renzi, Cgil vs Pd. La battaglia mediatica sul corpo di una donna, precaria, 28 anni, incinta. Marta resta (ancora) di qualcun altro. Anche se lei parla. Anzi, urla
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(Repost La furia dei cervelli)
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Il personaggio dell’autunno 2014 è Marta. Lo ha inventato il presidente del Consiglio Matteo Renzi in questo video:
Marta ha preso forma quando la Cgil ha annunciato una manifestazione contro il governo e l’abolizione dell’articolo 18. Renzi l’ha usata per scaricare sui sindacati la responsabilità della precarietà di due generazioni. A suo dire, i suoi guai (senza reddito, tutele, welfare, maternità) sono responsabilità dei sindacati, e della Cgil.
Renzi ha calcato la mano per amore di polemica: rimuove la gravissime responsabilità anche del suo partito Pds-Ds-Pd nell’avere inventato la precarietà ed essersi rifiutato di accompagnarla con tutele minime. Del resto Camusso lo aveva associato alla Thatcher. Cosa spiacevole, a cui ha replicato con una menzogna: “Dov’eri, Camusso, quando il mio partito inventata e imponeva la precarietà’”. Si parla della metà degli anni Novanta, il pacchetto Treu del 1997.
La battaglia sul corpo di Marta
Questa battaglia ha registrato un colpo di scena. Susanna Camusso si è presentata sul palco della mega-manifestazione del 25 ottobre a Roma in piazza San Giovanni con la maglietta: “IO SONO MARTA”.
Si tratta, con ogni probabilità, di una delle campagne che la Cgil ha lanciato in questi giorni per dimostrare che dagli anni Novanta in poi sulla precarietà è intervenuta, eccome se è intervenuta. Non ne ho trovata traccia in rete. E’ molto probabile che nelle prossime manifestazioni la indosseranno tutti.
Un cortocircuito.DUNQUE RENZI QUANDO PARLA DI MARTA PARLA DI SUSANNA. E quindi della Cgil. Questo è il senso. La vita di Marta, resa già vulnerabile, è stata racchiusa nel perimetro governamentale tra sindacato e governo. Starà a loro definire le modalità per tutelare la sua vulnerabilità.
E’ uno scontro politico molto potente. Si parla di Marta in quanto donna incinta. Si riduce la sua vita a questo fatto. Ne esce l’immagine di una donna che ha bisogno di tutele nel momento in cui è più vulnerabile. Una vulnerabilità accentuata dalla precarietà. Su questo corpo governo e sindacato si affrontano in nome del governo statale della maternità che tutti vogliono protetta, sicura, felice. Questo riferimento biopolitico alla maternità è anche un’ossessione del governo Renzi che ha promosso anche il problematico “bonus bebè”.
Ma cosa vuole Marta?
Marta è stata fatta parlare da questa ragazza in un video che ha spopolato in rete un paio di settimane fa, usato per lanciare lo sciopero sociale del 14 novembre dei movimenti sociali.
Il video ha mostrato uno dei volti possibili di Marta e restituisce in maniera credibile (perché incarnata) l’inverosimile in questo dibattito tra governo e sindacato. Susanna non può essere Marta né Matteo può credibilmente parlare di un Jobs Act che darà il diritto alla maternità (e molto altro) alle giovani madri precarie sottoposte al contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.
La maglietta di Camusso è la prova che Cgil intende egemonizzare il campo mediatico sulla precarietà e riappropriarsi simbolicamente di Marta, rinnovando l’immagine di un sindacato di sinistra che ha da sempre pensato ai precari, ma ha dovuto scontrarsi con un legislatore (anche di sinistra, ma non solo) che ha imposto la precarietà per legge.
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Leggi: Jobs Act, la precaria Marta risponde a Renzi: «Non in mio nome»
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Una spiegazione ribadita in occasione di una conferenza stampa che ha presentato il nuovo accordo per i grafici ed editoriale in cui Slc-Cgil ha collaborato con le organizzazioni dei traduttori o dei redattori precari per arrivare ad un nuovo contratto che tutela anche gli autonomi, e non solo i parasubordinati.
Questa giustificazione del sindacato potrebbe essere anche vera per alcune federazioni, che tuttavia fanno ancora molta fatica a comprendere la trasformazione in atto. Meno attendibile è la spiegazione per l’intera confederazione alla quale, per ammissione della stessa segretaria Camusso, non è stata all’altezza e non ha compreso tempestivamente cos’è la precarietà.
Questa “incomprensione” ha creato conseguenze devastanti.
Cosa vogliono fare per Marta?
Resta da capire quale contratto, secondo i sindacati e il governo, potrebbe garantire a Marta i suoi diritti.
Per Renzi Marta verrà inquadrata in un contratto a tutele crescenti (Jobs Act II) oppure in uno a termine “a causale” (Jobs Act I), due misure contraddittorie che non garantiscono alcun diritto fondamentale, almeno come sono stati concepiti fino ad oggi.
In entrambi i casi se Marta provasse a restare in cinta mettiamo al secondo mese di lavoro potrebbe essere anche “non rinnovata” alla scadenza del primo contratto. Diciamo il mese dopo. Anche perché tra le “tutele crescenti” potrebbe non avere il diritto alla maternità. E, nel caso lo avesse, potrebbe non averne altri: ad esempio il reddito di base per aiutarla a sostenere la disoccupazione.
Per il sindacato la soluzione è, relativamente, più semplice. Visto che per Cgil PRECARIETA’ E’ SINONIMO DI CONTRATTO PARASUBORDINATO DA STABILIZZARE IN UN TEMPO INDETERMINATO, a Marta basterà garantire una simile posizione per permetterle di godere dei suoi diritti.
Urla, Marta, urla
Il punto è: e se Marta lavorasse con una partita Iva? E se Marta lavorasse a termine senza alcuna, oggettiva, speranza di essere assunta da dipendente perché non lavora per una grande impresa, o per lo Stato, ma per commesse, per progetti, con una borsa di studio? E se Marta fosse inoccupata? E svolgesse più attività in una cooperativa, di sera ai tavoli di un ristorante o in un negozio, al mattino all’università e al pomeriggio in uno studio di grafica? Per chi non rientra nella sfera della contrattazione, e nel lavoro subordinato e dipendente, non c’è risposta.
Marta resta (ancora) di qualcun altro.
Anche se lei parla.
Anzi, urla.
ROBERTO CICCARELLI
da il manifesto