Brasile: due passi avanti e uno indietro

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Dilma Rousseff

L’ America Latina e il mondo progressista tirano un sospiro di sollievo. Alla fine di una durissima campagna elettorale, Dilma c’è l’ha fatta ed è confermata Presidente del gigante brasiliano per un altro mandato.

Per una differenza di circa il 3% (51,64% con­tro il 48,36%, poco più di 3 milioni di voti)  la candidata del Partito dei Lavoratori (PT) e di un vasto  schieramento di forze di sinistra e di centro,  ha battuto la destra “socialdemocratica” di Aécio Neves, candidato neo-liberista del Partito della Socialdemocrazia Brasiliana (PSDB). La stessa  destra che, per capirci, parla come Matteo Renzi alla “Leopolda”.  Quella finanziata dalle banche, dagli speculatori, dalle grandi imprese e dai latifondisti, che ha dalla sua parte gli oligopoli dei mezzi di comunicazione e gli Stati Uniti.  A Neves non è bastato l’appoggio della ex-ecologista evangelica Marina Silva che si presentava come la “novità” della politica brasiliana. Come si ricorderà,  dopo il fiasco al primo turno,  Marina Silva ha dato indicazioni di voto per il candidato della destra.  Una buona parte dei  suoi elettori  non hanno digerito l’appoggio al candidato della “vecchia politica” per eccellenza e le hanno voltato le spalle.

Anche grazie ad una mobilitazione di massa davvero straordinaria, negli ultimi 10 giorni di campagna elettorale, Dilma è riuscita a ribaltare i sondaggi negativi manipolati e pubblicati con trombe e fanfare dai grandi media. Lo spettro mediatico è dominato da 5 famiglie, di cui la principale è la propietaria della catena O Globo, complice attiva della dittatura civico-militare del passato. Era facile prevedere che il “terrorismo mediatico” non le avrebbe dato tregua, usando la grancassa per attaccare senza soluzione di continuità. Per i “terroristi elettorali” (Dilma dixit)  tutto è stato lecito in una guerra senza esclusione di colpi: menzogne, mezze verità, dati economici manipolati, accuse di corruzione,  attacchi in borsa. Prima, durante e dopo le elezioni,  il “fantasma dei mercati” ha giocato al ribasso della borsa, delle azioni dell’impresa pubblica petrolifera Petrobras, della moneta nazionale,  per dimostrare la sua inconformità con la candidata e il rifiuto dei “mercati” ad un nuovo governo a guida PT.

Il nuovo quadro politico e sociale

Nonostante la vittoria elettorale,  il panorama politico è tutt’altro che positivo. Dalle urne esce un Paese spaccato in due.

Nei territori, la destra vince in 9 dei 14 Stati in cui si andava al secondo turno. Tra gli  altri strappa al PT un collegio simbolico come quello della capitale Brasilia (con due candidati oppositori al ballottaggio), e Rio Grande do Sul, altro collegio molto conosciuto dal movimento “altermondialista” per la sua capitale Porto Alegre. Una delle zone più ricche del Paese, dove perde Tarso Genro, tra i fondatori del PT.

Il PT,  e gli alleati di governo, vincono negli Stati poveri del Paese, e per la prima volta a Minas Gerais, la roccaforte del PSDB, dove Aécio Neves è stato gover­na­tore ed oggi rappresentante parlamentare.

E proprio in parlamento, se fino ad oggi i numeri erano risicati, con queste elezioni il governo dovrà vedersela con una situazione ancora peggiore.  Alla Camera i partiti sono diventati 28 ed al Senato 17 ed in entrambi i casi la destra ha aumentato significativamente il suo peso. E il più forte alleato del governo, il centrista Partito Movimento Democratico Brasiliano (PMDB),  si prepara ad alzare il prezzo della sua collaborazione. I numeri pesano come macigni per approvare qualsiasi legge ed è facile prevedere estenuanti negoziati sul programma e sulle necessarie riforme strutturali.

Sul piano sociale il governo dovrà cercare di migliorare la sua gestione se vorrà godere dell’appoggio popolare.  In questa occasione ha avuto l’appoggio critico dei sindacati e dei movimenti più radicali, come il Movimento Sin Tierra, inconforme per la mancata riforma agraria e per  l’alleanza del governo con settori del latifondismo (in particolare dei grandi produttori di soia). Nelle città la frase  “la sinistra ha abbandonato i quartieri popolari” era purtroppo molto  in voga in campagna elettorale. Gli stessi quartieri dove, in assenza dello Stato e dell’organizzazione politica,  la criminalità organizzata e i “narcos” hanno rafforzato la loro base sociale ed il loro potere militare.  E per affrontare il problema strutturale degli alti indici di violenza omicida, suscita molte perplessità la proposta del governo Dilma di utilizzare le Forze Armate per combattere la criminalità,  armata fino ai denti.

Sul piano sindacale l’unità è lungi dal realizzarsi, ed oggi ci sono ben 6 centrali sindacali. La crescita dell’occupazione ha portato a fare passi in avanti significativi, anche se molto resta da fare. Sembra ovvio (ma non lo è) che fare sindacato in presenza di lavoro è cosa profondamente diversa che farlo in tempi di forte disoccupazione ed il maggior livello di organizzazione è nel settore pubblico, che gode di una maggiore  stabilità contrattuale.  I contratti collettivi sono negoziati a livello territoriale e non nazionale. I sindacati più combattivi hanno una media tra il  25 ed il 35% di affiliati, tranne casi eccezionali.  Anche se è cresciuto, il promedio degli iscritti è ancora basso,  al 18%. Il salario minimo è aumentato significativamente (circa 300 dollari, contro i 100 del 2002). La principale centrale sindacale, la CUT, che organizza  il 36% dei sindacalizzati, ha condotto una battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro a 40 ore, senza riuscire a portare a casa il risultato. Tra i dati positivi, l’esistenza dentro il Mercosur di un “Coordinamento delle centrali sindacali” dei diversi Paesi, in cui sono  articolati più di 20 settori produttivi, nonostante le difficoltà economiche della struttura che si autofinanzia.

Il “partito dei  media”

Anche in Brasile l’ anti-politica ha guadagnato un grande spazio e i media hanno gioco facile nell’associare permanentemente la politica alla corruzione, male endemico anche nel gigante brasiliano. I principali dirigenti del PT (compreso Lula)  riconoscono che il partito non ha più la stessa presenza territoriale e la capacità di mobilitazione che gli ha fatto vincere il governo, anche se continua ad essere la forza con più militanti. I mezzi di comunicazione sono i veri intermediari tra i cittadini e la politica dei partiti.

I due principali canali di accesso alla popolazione nella campagna sono state le chiese evangeliche e la TV. Al di fuori del periodo elettorale, il governo non esiste in TV, se non per essere attaccato o accusato di corruzione. Non c’è nessun canale privato che abbia messo in luce gli aspetti positivi della gestione di governo. Rimangono le “reti sociali” ed internet che non è un mezzo di massa. Secondo i dati di uno studio recente, che il governo nazionale ha incaricato a Ibope, un 53% della popolazione non ha acceso a internet, il 47% lo ha in casa e solo il 26% vi accede tutti i giorni. Secondo lo studio, l’80% dei brasiliani, si informa attraverso il “Jornal Nacional”, il telegiornale della Rede Globo.

Paradossalmente, grazie allo spazio elettorale televisivo obbligatorio, distribuito secondo la quantità di voti ottenuti, il governo ha potuto mostrare le cose fatte in questi anni e compararle con il Brasile del passato governo di Fernando Henrique Cardoso, compagno di partito di Aécio Neves. Se il PT ha basato la sua strategia di campagna sulla proiezione di un’immagine del  “passato vs futuro”,  la destra ha contrattato i più noti esperti di pubblicità del Paese, gli spin doctors in grado di modellare molte delle volontà dei consumatori-elettori.

Il “partito di Dio”

Le uniche organizzazioni nazionali con capacità di mobilitazione di massa sono le Chiese. Quella cattolica ha dato una prova di forza con la venuta del Papa, quando molti fedeli si sono mobilitati spontaneamente, senza necessariamente avere legami territoriali con qualche parrocchia. Ma grazie al repulisti realizzato dalle crociate di Papa Wojtyla, tra i cattolici è diminuito il peso dei settori progressisti, legati alla “teologia della liberazione” ed alla sinistra.

Viceversa, le Chiese evangeliche, convocano direttamente e sono le uniche strutture sociali  capaci di mobilitare migliaia di persone per un evento. La loro crescente presenza capillare si estende nei quartieri popolari e nei luoghi più sperduti, dove la sinistra non è più presente, o non lo è mai stata. Impossibile per il governo non tenerne conto per possibili alleanze.

Oltre ad una massiccia presenza territoriale, dispongono di canali televisivi che trasmettono le 24 ore. Il “gruppo parlamentare” evangelico annovera tra le sue file trasversali l’11% dei legislatori, tra senatori e deputati. Negli ultimi anni le Chiese evangeliche si sono rafforzate e molti dei funzionari statali sono tra i fedeli. Il governo nazionale ha destinato circa 2.000 milioni di dollari per la lotta alla “pasta base” della cocaina, (il crack), fondi destinati  in gran parte alle comunità terapeutiche. Di queste, circa l’80% sono religiose, molto spesso evangeliche. Non a caso il Papa Francesco ha visitato l’Ospedale San Francesco di Assisi, che si dedica al recupero dei tossico-dipendenti.

Due passi avanti e uno indietro

Molte sono le aspettative per questo quarto mandato dei governi a guida PT, sia in Brasile che fuori. Ma, piaccia o meno,  i rapporti di forza parlamentari limitano drasticamente i margini di manovra.

Tra le priorità segnalate dal PT  per  il secondo mandato di Dilma Rousseff vi sono lo sviluppo economico con maggior re-distribuzione,  la importante riforma política che possa calmierare lo strapotere delle clientele locali, una riforma tributaria progressiva e maggiori investimenti  pubblici in educazione e nella sanità, con il rafforzamento del Sistema Unico della Salute (SUS).  Per fare ciò, il prossimo governo dovrà trovare le risorse, in un quadro di crisi recessiva mondiale che colpisce anche il Brasile.

In politica estera non si è ancora raffreddata la tensione con gli Stati Uniti, presi con le mani nel sacco a spiare telefono e posta elettronica anche della mandataria, che nei mesi scorsi ha cancellato sine die la sua missione a Washington. La rielezione dovrebbe mantenere inalterata la bussola fin qui utilizzata, in direzione del rafforzamento dei BRICS, l’integrazione continentale e la battaglia per il seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza ONU.

C’è un punto ineludibile che nei tre mandati precedenti il governo non ha affrontato: quello delle regole democratiche per il settore della comunicazione, o della “regolazione economica del settore” come ha affermato la stessa Dilma. In questa ultima campagna elettorale i “terroristi mediatici” hanno oltrepassato tutti i possibili limiti etici, costruendo un linguaggio carico di odio ed una parzialità nella copertura giornalistica che si è via via radicalizzata nel corso della campagna. E’ palese il  rischio non solo in vista delle prossime campagne elettorali, ma per la stessa democrazia, in presenza di un mercato oligopolico che favorisce l’azione articolata dei grandi gruppi privati e dei media, nella difesa dei loro inconfessabili interessi.  Regolare il settore sembra oggi un obiettivo decisamente importante, ma francamente utopico.

Non c’è dubbio che l’unica maniera di vincere le enormi resistenze al cambiamento è contare con una forte mobilitazione sociale. La maggiore partecipazione e la mobilitazione dei movimenti sociali e sindacali per approvare le necessarie riforme strutturali, può essere fondamentale nel dibattito e nella pressione sul Parlamento.

Ma il primo segnale negativo è arrivato proprio in queste ore. Dopo una estenuante discussione parlamentare la Camera ha bocciato un Decreto Presidenziale che creava la “Politica Nazionale di Partecipazione Sociale”, appoggiato solamente da  PT, Partito Comunista del Brasile e dal PSOL, una formazione della sinistra radicale. Un decreto che non aveva nulla di rivoluzionario, ma che ampliava la partecipazione popolare con un processo di consulta e controllo delle politiche pubbliche. E’ la prima sconfitta parlamentare del governo, a pochi giorni dalla rielezione di Dilma.

L’opposizione ha contato sull’appoggio del PMDB (in teoria alleato del governo), sostenendo che “stabilire meccanismi di consulta della società fosse una manovra autoritaria, che passava sulla testa del Parlamento”.

Nessun dorma, la battaglia è già iniziata.

MARCO CONSOLO

da marcoconsolo.altervista.org

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