Quando si entra nella cittadina di Suruc, nella piazza centrale si erge un monumento raffigurante una mano che stringe un melograno, frutto simbolo di questa terra e anche di questo periodo. Tant’è che anche di fronte alla piazza c’è dipinto un altro melograno aperto in due su una parete gigante. Questo bellissimo frutto, a nostro avviso, contiene in sé l’essenza e la sintesi del quadro politico e sociale che i kurdi vivono attualmente e lo utilizzeremo come metafora per raccontare questo secondo giorno di carovana che stiamo cercando di avviare al meglio delle condizioni possibili.
Prendiamo la nostra giornata e dividiamola in due, come quando si spacca il melograno: da un lato c’è la buccia che brilla di un amaranto irregolare e lo scrigno bianco, dall’altra, all’interno, custoditi come perle preziose, ci sono i chicchi.
L’amaro della buccia lo abbiamo assaporato questo pomeriggio quando siamo entrati all’interno dei campi profughi per distribuire i dolci ai bambini. Vedere centinaia di loro correre, a volte scalzi e magari senza genitori, aggrapparsi alle nostre braccia e riuscire comunque a ridere, vederci come un’ancora che distribuisce sicurezza, per noi che non c’è mai capitato di entrare in questi luoghi è stato qualcosa che ci ha lasciato senza parole e con le lacrime agli occhi. Distribuivamo delle merendine che per i nostri figli sarebbero state banali, eppure per loro erano un tesoro che fermava le lacrime e apriva un sorriso che si estendeva immediatamente ai loro occhi. Quando abbiamo finito di distribuire i dolcetti, siamo stati invitati ad entrare in una tenda per bere il tradizionale cay , il the che si beve ad ogni ora della giornata. In una tenda di otto mq saremmo stati in più di quindici; seduti in cerchio via hanno servito il cay e poi le donne hanno cominciato a intonare dei canti tradizionali ed altri che inneggiavano a Kobane e a tutta la resistenza kurda. A volte diventa facile capire una lingua che non si conosce, e le donne e gli uomini kurdi in questo sono maestri.
Quando siamo usciti da quegli accampamenti ci siamo diretti verso la postazione dove partono gli autobus per Mehser, il villaggio dove siamo ospiti, e quelli per Kobane. Nei secondi abbiamo visto tantissimi giovani ragazzi e nei loro occhi abbiamo intuito la fierezza e la determinazione di chi magari ha anche perso tutto, ma sa benissimo perché e contro chi si combatte: contro chi ha distrutto i propri villaggi e ucciso i propri cari e per un’idea nuova di libertà ed autonomia che si chiama Rojava. Ed è proprio il Rojava, Kobane e tutti villaggi liberi dei kurdi a comporre quel mosaico dei fantastici chicchi che trasformano l’amaro della buccia nel sapore unico dell’autonomia.
Stamattina sul confine fra Mehser e Kobane abbiamo sentito il rumore dell’artiglieria, l’odore della polvere da sparo e abbiamo riconosciuto il sapore del melograno. Perché se come crediamo questo mondo va ricostruito, bisogna farlo a partire dall’esempio che queste donne e questi uomini danno all’umanità.
E allora: che la lotta continui, che il simbolo della vittoria si posi su Kobane, che il Rojava si diffonda, che i melograni diventino anticorpi contro l’ignoranza e le malvagità di questo mondo! Lunga vita alle ribelli e ai ribelli di tutto il mondo!
ROBERTO CIPRIANO
Cso Labàs