Il così detto pasticcio del concorso per l’accesso alle scuole di specializzazione mediche, con l’inversione dei test dell’area medica con quella dei servizi clinici, appare come una metafora della politica di questo governo che predica rigore, efficienza e meritocrazia e mette in pratica discriminazione e lesione dei diritti persino nel primo concorso che avrebbe dovuto mettere fuori gioco l’influenza dei “baroni” universitari sui risultati.
Non ci appassionano le controversie sul rimedio peggiore del danno e gli inevitabili strascichi legali di tutta la vicenda, che dovrebbe invece offrire l’occasione per riflettere su meccanismi selettivi casuali e rigidi come i quiz e soprattutto sulla selezione in quanto tale,
per accedere a corsi universitari.
Gli iscritti alle università calano in continuazione, a causa dei costi elevati di percorsi di studio, percepiti per di più sempre meno come “utili” all’ingresso nel mondo del lavoro. Su questo fronte, l’incertezza sul futuro o la certezza di una lunga permanenza nella precarietà e nella disoccupazione compromettono l’idea di un investimento economico e di vita che valga la pena dei sacrifici da sostenere.
Non parliamo poi dell’amore per la conoscenza in quanto tale, che stante la demolizione in atto da qualche decennio della cultura come valore in sé, riguarda aree sempre più ristrette di popolazione scolastica.
E’ necessario ed è maturo anche un bilancio su una formazione universitaria basata su percorsi triennali, ai quali si fermano la maggioranza degli studenti, caratterizzata dalla segmentazione delle conoscenze e un impoverimento dei contenuti. E’ necessaria una riflessione su un’impostazione culturale, che per essere finalizzata ad un rapporto meccanico col mercato del lavoro, sacrifica pesantemente quel sapere slegato da questo rapporto, ma fondamentale per la ricerca libera e la formazione critica, che si dà il caso siano la garanzia proprio per produrre quell’innovazione, alla quale si rende oggi tanto omaggio, e che rende ancora, grazie alle accumulazioni passate, la formazione italiana nel suo complesso tra le migliori nel mondo.
La vicenda di laureati/e in medicina, in maggioranza disoccupati/e o precari/e, che debbono sostenere un concorso “selettivo”, per accedere a specializzazioni, per di più in una situazione di carenza del personale medico, che tra qualche tempo dovremo importare dall’estero, mostra non solo la stupidità di un sistema burocratico supponente, ma soprattutto l’assurdità della limitazione dell’accesso alle specializzazioni e alla stessa formazione universitaria. L’abolizione del numero chiuso oltre ad essere dovuto ad un reale diritto allo studio, secondo il dettato della nostra Costituzione, è richiesto dai fatti, dalle aberrazioni dei metodi e dei contenuti selettivi messi in atto, dal fatto che ci troviamo tra i paesi più arretrati per il numero di laureati.
LOREDANA FRALEONE
Responsabile nazionale università e ricerca
Rifondazione Comunista