Una bastonata chiamata compromesso

io-rifiutoSpe­ra­vamo ancora, ma non ci siamo mai illusi, che i par­la­men­tari del Par­tito demo­cra­tico — o almeno quelli di loro che si pro­cla­mano di sini­stra — stes­sero dalla parte dei lavo­ra­tori nella deli­ca­tis­sima occa­sione della cor­re­zione del testo della Legge Delega sul lavoro. Hanno fatto, invece, tutto quanto pote­vano per cer­care di sanare l’illegittimità costi­tu­zio­nale del testo, che era un testo “in bianco” con riguardo ai licen­zia­menti, pre­ve­dendo alcune linee guida che però sono quanto di peg­gio i lavo­ra­tori potes­sero temere.

La tutela di rein­te­gro in caso di licen­zia­menti ingiu­sti è stata effet­ti­va­mente eli­mi­nata dai con­tratti di lavoro di nuova costi­tu­zione, di tal­ché non si può nean­che più par­lare di arre­tra­mento, ma solo di azze­ra­mento della tutela. La rot­tura tra il Par­tito demo­cra­tico e i lavo­ra­tori è così con­su­mata e, forse, è un bene. E’ un bene che sia finito l’equivoco del Pd par­tito di sini­stra o di centro-sinistra e che sia emersa la sem­plice verità, che il Pd di Mat­teo Renzi e del mini­stro Poletti è un par­tito di centro-destra filo padro­nale del tutto sordo ai valori di dignità, di sicu­rezza e di tutela del lavoro.

Diventa urgente la costi­tu­zione di un nuovo sog­getto poli­tico che dia rap­pre­sen­tanza al lavoro e, ci sono ormai tutte le con­di­zioni per­ché ciò avvenga come neces­sa­ria rispo­sta al peg­gio­ra­mento senza fine della con­di­zione non solo eco­no­mica ma anche di dignità delle classi subalterne.

A que­ste con­si­de­ra­zioni spinge pro­prio la qua­lità dell’emendamento gover­na­tivo al punto 7 lett. c) della Legge Delega che l’ineffabile pre­si­dente della com­mis­sione Lavoro della Camera ha avuto l’ardire di defi­nire “buon com­pro­messo” così meri­tando la rea­zione dei lavo­ra­tori che scen­de­ranno in scio­pero gene­rale il 12 dicem­bre, pro­prio con­tro il Job Acts così modificato.

Ma vediamo con pre­ci­sione quale è il nuovo testo della Legge Delega, nel punto che qui inte­ressa, per­ché un giu­di­zio poli­tico così dra­stico deve essere spie­gato e giustificato.

Vale la pena di ripor­tare per intero il nuovo testo del punto 7) lett. c) che ora così recita: «Pre­vi­sioni per le nuove assun­zioni esclu­dendo per i licen­zia­menti eco­no­mici la pos­si­bi­lità della rein­te­gra­zione del lavo­ra­tore nel posto di lavoro, pre­ve­dendo un inden­nizzo eco­no­mico certo e cre­scente con l’anzianità di ser­vi­zio e limi­tando il diritto alla rein­te­gra­zione ai licen­zia­menti nulli e discri­mi­na­tori e a spe­ci­fi­che fat­ti­spe­cie di licen­zia­mento disci­pli­nare ingiu­sti­fi­cato, non­ché pre­ve­dendo ter­mini certi per l’impugnazione del licenziamento».

Come si vede, la nuova pre­vi­sione chiama alla ribalta il mezzo o “trucco” assai sem­plice, almeno all’apparenza, per evi­tare comun­que il “peri­colo” della rein­te­gra­zione. Eti­chet­tare ogni licen­zia­mento come licen­zia­mento eco­no­mico per­ché ciò dovrebbe eli­mi­nare in radice ogni pos­si­bi­lità di sen­tenza di rein­te­gra. Non è poi chiaro che tipo di risar­ci­mento eco­no­mico con­se­gui­rebbe ad un licen­zia­mento eco­no­mico che risulti, ad esem­pio pre­te­stuoso. Si parla di inden­nizzo certo e ciò sem­bre­rebbe addurre all’impossibilità di adire la magi­stra­tura per far accer­tare l’illegittimità e pre­te­stuo­sità, con obbligo di accon­ten­tarsi di un inden­nizzo for­fet­ta­rio ossia di una spe­cie di ulte­riore “mini Tfr”.

Sarebbe però una pre­vi­sione di insin­da­ca­bi­lità giu­di­zia­ria, comun­que, con­tra­ria all’art. 30 della Carta di Nizza rece­pita nel Trat­tato di Lisbona.

Dopo aver così ras­si­cu­rato i datori di lavori indi­cando una via ampia ed age­vole del licen­zia­mento eco­no­mico, il testo dell’emendamento pro­se­gue con­ce­dendo da un lato la inu­tile pre­vi­sione della pos­si­bi­lità di rein­ter­gra per licen­zia­menti dovuti a motivi discri­mi­na­tori, quasi impos­si­bili da com­pro­vare, limi­tando la pos­si­bi­lità di rein­te­gra ad alcune fat­ti­spe­cie sol­tanto di licen­zia­mento disci­pli­nare ingiu­sti­fi­cato, che saranno sta­bi­lite e descritte nei decreti attuativi.

Quest’ultima pre­vi­sione è quanto mai signi­fi­ca­tiva del livello di inci­viltà nel quale il Job Acts può far pre­ci­pi­tare il nostro ordi­na­mento. Intanto, rin­viare ai decreti attua­tivi la deter­mi­na­zione di quelle fat­ti­spe­cie che dareb­bero luogo alla rein­te­gra signi­fica che, nono­stante tutto, la delega è ancora “in bianco” per­ché la defi­ni­zione della fat­ti­spe­cie è rimessa al totale arbi­trio del legi­sla­tore delegato.

Quel che si sente anti­ci­pare in pro­po­sito fa let­te­ral­mente “riz­zare i capelli in testa”: si sente dire che la rein­te­gra si avrebbe solo quando il lavo­ra­tore sia stato fal­sa­mente accu­sato di aver com­messo un reato e ciò signi­fica che, ove fosse accu­sato ad esem­pio di essersi insu­bor­di­nato o di essersi assen­tato per più di quat­tro giorni o di aver col­po­sa­mente dan­neg­giato gli stru­menti di lavoro, ossia i com­por­ta­menti ille­git­timi ma non costi­tuenti reato, il licen­zia­mento reste­rebbe ope­ra­tivo nono­stante la fal­sità dell’accusa, e que­sto cre­diamo non sia dav­vero mai acca­duto, che al reo venga ero­gata la pena più grave, ossia la per­dita del posto di lavoro nono­stante la sua rico­no­sciuta innocenza.

Addi­rit­tura secondo alcuni dovrebbe trat­tarsi solo dei reati per­se­gui­bili d’ufficio ed allora, dav­vero il giu­dice del lavoro non avrebbe più nulla da fare per­ché tutto pas­se­rebbe di fatto alla com­pe­tenza del giu­dice penale.

Con chi è capace di con­ce­pire tali infa­mie e, peg­gio ancora, con chi osa farle pas­sare per valida media­zione non c’è pos­si­bi­lità di dia­logo. Occorre lo scio­pero gene­rale, occorre che il pro­getto di Job Acts sia revo­cato e che le tutele dei lavo­ra­tori anzi­ché essere ridotte e annul­late siano invece gene­ra­liz­zate per­ché tutti pos­sano fruirne. Natu­ral­mente sono pos­si­bili anche valide resi­stenze in sede giu­ri­dica visto che nel norme del Job Acts sono quanto mai rozze e quindi, attac­ca­bili in sede di appli­ca­zione e inter­pre­ta­zione siste­ma­tica che valo­riz­zino supe­riori prin­cipi giu­ri­dici, come quello che “l’etichettatura di una fat­ti­spe­cie”, per esem­pio, licen­zia­mento eco­no­mico per motivo ogget­tivo, non può mutarne l’intrinseca natura.

Ma non è que­sto il momento dell’interpretazione e della resi­stenza in sede giu­ri­dica; è il momento della rea­zione di massa con­tro il ten­ta­tivo del governo di ridurre i lavo­ra­tori ad uno stato semi ser­vile di sog­ge­zione ed insieme di povertà.

PIERGIOVANNI ALLEVA
capolista de L’Altra Emilia Romagna

da il manifesto

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