Femminicidio, un fenomeno sempre più in aumento. Ogni due giorni una donna muore. Lo confermano i dati di pochi giorni fa: 179 casi nel 2013; 157 nel 2012 (già in aumento del 14% rispetto all’anno precedente). Una percentuale altissima, mai così alta.
I Governi che fin ora si sono susseguiti hanno creato politiche inadeguate a dare una risposta istituzionale degna. Non solo austerità che ha contribuito, tra le altre cose, all’aumento della povertà, generando situazioni di convivenza di necessità e quindi di impossibilità di allontanarsi da quell’abitazione nella quale, in 7 casi su 10, si consuma il femminicidio, ma anche politiche non in grado di rispondere adeguatamente alle richieste d’aiuto, visto che il 51,9% delle vittime aveva denunciato o segnalato le violenze.
Inoltre questi governi si sono resi complici di quella violenza di genere che non è solo esplicita, ma basata sulla disparità di trattamento salariale, sulla disoccupazione femminile, sull’obiezione di coscienza, sulla paura di camminare per strada la notte. Violenza di genere che si esprime anche attraverso la domanda “hai intenzione di diventare madre?” in sede di colloquio lavorativo. Violenza di genere che è l’immagine del corpo della donna utilizzato dai mezzi di comunicazione e dalla pubblicità e anche da spazi sociali e politici con dichiarazioni e comportamenti chiaramente pregiudizievoli e umiliante nei confronti delle donne che mandano un messaggio sessista, suscitano e promuovono la violenza maschilista e la disuguaglianza.
La violenza sulle donne ha assunto forme per cui si deve considerare un problema sociale.
L’uguaglianza si costruisce a partire dalla prevenzione e dall’educazione. Un educazione fondata sull’eliminazione di quelle condotte patriarcali dove l’esercizio del potere avviene attraverso la violenza; un educazione che condanna la violenza e l’aggressore, troppe volte visto come vittima e non come autore, un’educazione basata sul rispetto e l’uguaglianza tra uomo e donna.
Lo Stato deve tutelare e garantire i diritti dei suoi cittadini, i diritti delle sue cittadine, deve allontanarsi da politiche troppo spesso basate sui tagli ai bilanci, e quindi ai diritti, perchè la vita di una donna non ha prezzo. Gli interventi pubblici devono essere sia di risorse umane che di risorse finanziarie per lo sviluppo di una politica basata sulla parità attiva, sulla parità globale per il raggiungimento di una società libera dalla violenza e libera da ogni sfruttamento. Deve inoltre allontanarsi dalle credenze ipocrite e bigotte, esercitate dalla chiesa, che contribuiscono al mantenimento di un sistema patriarcale, che non contenta cerca anche di intromettersi nella vita della donne, pretendendo di esercitare potere sulla loro libertà di decidere del proprio corpo.
Denunciamo in questa sede l’ass. Giovanni XXIII di Bologna che periodicamente prega davanti agli ospedali, esercitando ulteriore violenza su quelle donne che hanno scelto di esercitare il loro diritto all’autodeterminazione del proprio corpo, il diritto all’aborto. Denunciamo inoltre la giunta comunale di Bologna che, complice, permette l’esercizio di queste manifestazioni (come d’altronde gli episodi dalle Sentinelle in piedi ci ricordano) e non tutela i suoi cittadini e cittadine antifasciste (spesso prese di mira e represse), permettendo agibilità politica ai bigotti e ipocriti, agli esponenti patriarcali maschilisti e sessisti.
#25N tutto l’anno, libere tutte!
IUSTINA DUMEA
Giovani Comuniste Bologna