Le proteste hanno offerto uno spazio di socializzazione alle nuove generazioni, in particolare a quelle colpite più duramente dalle conseguenze del neoliberalismo, e a tutti quelli che travolti dalla crisi hanno iniziato a partecipare alla vita politica, pur non avendo mai manifestato interessi di questo tipo. La partecipazione alla mobilitazione collettiva sembra aver restituito dignità a quei cittadini cui le misure di austerità hanno sottratto non solo i diritti fondamentali quali la casa, il cibo e la salute, ma anche la rappresentanza politica.
Di fronte alla possibilità di rimanere senza casa, senza lavoro e di dover estinguere debiti impossibili da ripagare, gli argomenti proposti dai movimenti hanno offerto a molti l’opportunità di riorientare il malcontento, dalla critica al singolo individuo a quella del sistema.
Non solo le proteste sono state soltanto il fulcro dell’aggregazione politica ma hanno anche reso possibile una socializzazione politica basata sulla democrazia. Il movimento anti-austerità che io stessa ho analizzato è stato in grado di articolare un discorso politico fondato sui principi della solidarietà e dell’inclusione, opposto alle derive xenofobe ed elitiste della destra populista.
Grazie proprio alla sperimentazione di forme di democrazia partecipativa e deliberativa, i movimenti hanno dimostrato che la democrazia non ha soltanto un significato, declassato, ma che rappresenta la base per la partecipazione e la deliberazione collettiva.
Gli argomenti proposti dai movimenti anti-austerità hanno acquistato un vasto raggio d’azione ed hanno ricevuto ampio supporto anche dall’opinione pubblica. Se per esempio guardiamo al caso spagnolo, notiamo che due terzi della popolazione ha dichiarato molta o abbastanza simpatia per le lotte degli indignados e che l’80 per cento della popolazione ha chiesto al governo di aprire un dialogo con il movimento. Simile è stato il consenso raccolto negli Stati Uniti e in Grecia. Per di più in Spagna il movimento è stato in grado di riflettere le richieste della popolazione, ovvero di aumentare le tasse ai più ricchi, di diminuire i costi della politica (supportato ad esempio dal 90 per cento della popolazione) e di opporsi alla privatizzazione dei servizi pubblici.
Simili tendenze si sono registrate anche in Grecia. Situazione simile anche negli Stati Uniti, dove il 60 per cento dei cittadini si sono dichiarati in favore di riforme economiche progressiste per ridurre la diseguaglianza.
In sintonia con il sentimento generale, i movimenti anti-austerità sono stati in grado di sensibilizzare l’opinione pubblica e di riportare al centro del dibattito la discussione sulle politiche sociali.
Come ha notato Joseph Stiglitz, «in un certo senso, i manifestanti hanno già ottenuto un grande risultato: think tank, agenzie governative e media hanno confermato le loro accuse sull’elevato, quanto ingiustificabile, livello disuguaglianza, ovvero sul fallimento del sistema di mercato».
Nei paesi più colpiti dalle misure di austerità le critiche espresse dai movimenti riflettono il malcontento verso le politiche tradizionali diffuso tra la gran parte della popolazione. Basta ricordare che a partire dal declino iniziato dalla seconda metà degli anni 2000, quando può la democrazia essere salvata dalle nuove forme di alternativa politica dei movimenti? Mentre è ancora troppo presto per dare una risposta definitiva, sono possibili alcune osservazioni preliminari.
È nato in piazza il nuovo partito delle «acampadas» circa due terzi dei cittadini erano insoddisfatti dalle politiche dei propri governi, la sfiducia nel funzionamento della democrazia in Spagna si è estesa nel 2011 a due cittadini su tre, invertendo i risultati del 2007 quando il 42 percento si era dichiarato insoddisfatto.
Inoltre, dalla metà del 2001 circa la fiducia nei partiti si è ridotta dalla metà a circa un terzo della popolazione.
Chiunque voglia salvare la democrazia ha importanti risorse a disposizione che uniscono diritti politici, diritti civili e diritti sociali. Alcuni problemi rimarranno comunque insoluti e difficilmente affrontabili dalla sola politica dei movimenti. Anche se i movimenti sono capaci di mobilitare moltissime persone, la partecipazione rimane fluttuante. Prefigurare nuove forme di democrazia non è compito facile. I processi decisionali consensuali richiedono tempo, la partecipazione alle assemblee può risultare frustrante e la partecipazione stessa incostante. Inoltre i bisogni materiali spesso prevaricano la solidarietà e l’impegno pubblico. Il fronte anti-austerità è poi spesso diviso. Alcune forme di proteste, come le “acampadas”, hanno raggiunto una scala internazionale, anche se in maniera selettiva, coprendo Spagna, Grecia e Stati Uniti ma lasciando fuori Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Portogallo.
Se l’intensità della crisi economica può spiegare la non-diffusione dei movimenti, per esempio in Germania o Francia, nel caso italiano e portoghese responsabile è la scarsa risonanza che ottengono i modelli organizzativi estremamente orizzontali nella cultura dei movimenti. Inoltre in Spagna, in Grecia o gli Stati Uniti, le proteste anti-austerità hanno assunto forme più tradizionali e sono state guidate da sindacati e altre associazioni che non hanno necessariamente trovato accordo con i gruppi di “acampadas”. Le differenze organizzative hanno impedito la costruzione di un’alleanza, nonostante la sostanziale compatibilità delle richieste. Per finire, i movimenti “acampadas” sono per definizione di breve durata, anche se riescono ad aprire la strada ad importanti movimenti spin-off, come ad esempio in Spagna le assemblee locali che continuano le proteste nei quartieri, le «maree colorate» (Mareas) che mobilitano i lavoratori dei servizi pubblici.
Anche se i movimenti prefigurano il cambiamento, i cittadini hanno bisogno di un cambio paradigmatico nelle decisioni politiche pubbliche. Quello che chiedono i cittadini è il ritorno dell’attore pubblico, ovvero dello stato e delle altre istituzioni pubbliche, per riprendere le competenze abbandonate durante le politiche neoliberiste.
Anche se l’idea è di ricostruire i beni comuni, occorrono interventi sostanziali di carattere giuridico e istituzionale. Questo sarà difficile da ottenere fino a che i movimenti non saranno in grado di influenzare il processo decisionale all’interno delle istituzioni. Studi sui movimenti sociali hanno indicato l’importanza del «partito al potere» nella realizzazione degli obiettivi dei movimenti.
Oggi i movimenti anti-austerità in Europa e negli Stati Uniti hanno più che altro punito alle elezioni i partiti di centrosinistra, considerati ciechi e sordi alle richieste dell’elettorato, invece di promuovere coalizioni alternative come avvenuto in America Latina. Anche se in grado di promuovere proteste perfino all’interno dei partiti, la capacità di questi gruppi, ad esempio OccupyPd, di influenzare realmente le gerarchie del partito è del tutto incerta. Le recenti elezioni politiche europee hanno tuttavia dimostrato che nei paesi più afflitti dalla crisi, dove sono nati i movimenti antiausterità, alcuni nuovi partiti politici (come Podemos in Spagna o Syriza in Grecia) sono riusciti a capitalizzare in termini elettorali il consenso nato dalle politiche diprotesta.
DONATELLA DELLA PORTO
da Lavoro e politica
(Dal volume “Movimenti Sociali in Tempo di Austerità. Riportare il Capitalismo al Centro dell’Analisi delle Proteste”, traduzione di Alessandro Bramucci)