Quelli che resistono sono trattati come terroristi – come a Ferguson quest’anno, e come io e altri attivisti neri negli anni ‘60 e ‘70
Anche se la violenza di stato razzista è stata un tema costante nella storia delle persone di origine africana in Nord America, è diventato particolarmente degno di nota durante l’amministrazione del primo presidente afro-americano, la cui elezione è stata largamente interpretata come annuncio dell’avvento di una nuova era postrazziale.
La pura e semplice persistenza delle uccisioni della gioventù nera da parte della polizia contraddice l’ipotesi che si tratti di aberrazioni isolate. Trayvon Martin in Florida e Michael Brown in Ferguson Missouri sono solo i casi più largamente conosciuti delle innumerevoli persone di colore uccise dalla polizia o da vigilantes durante l’amministrazione Obama. E loro, a loro volta, rappresentano un flusso ininterrotto di violenza razzista, sia ufficiale che extra-legale, dalle slave patrols (ronde per la cattura degli schiavi) e dal Ku Klux Klan alle pratiche contemporanee di racial profiling* e ai vigilantes odierni.
Più di tre decenni fa a Assata Shakur è stato concesso l’asilo politico da Cuba, dove da allora ha vissuto, studiato e lavorato come un membro produttivo della società. Assata è stata falsamente accusata più volte negli Stati Uniti durante i primi anni ‘70 e diffamata dai media. La rappresentarono in termini sessisti come “la madre chioccia” dell’Esercito di liberazione nero, che a sua volta venne ritratto come un gruppo con inclinazioni insaziabilmente violente. Posta sulla lista dei Ten Most Wanted dell’FBI, lei fu accusata di rapina a mano armata, rapina in banca, rapimento, omicidio e tentato omicidio di un poliziotto. Nonostante abbia affrontato 10 procedimenti giuridiziari distinti, mentre era già stata dichiarata colpevole dai media, tutti tranne uno di questi processi – il caso derivante dalla sua cattura – si conclusero con il proscioglimento, senza un verdetto della giuria per disaccordo, o perché il fatto non costituiva reato. In circostanze altamente discutibili, fu alla fine condannata come complice dell’omicidio di un poliziotto del New Jersey.
Quattro decenni dopo la campagna iniziale contro di lei, l’FBI ha deciso di demonizzarla di nuovo. L’anno scorso, in occasione del 40 ° anniversario della sparatoria dell’autostrada del New Jersey durante la quale il poliziotto Werner Foerster fu ucciso, Assata è stata solennemente inserita nella lista dei Ten Most Wanted Terrorist dell’FBI. Per molti, questa mossa da parte del FBI è stata bizzarra e incomprensibile, spingendo alla domanda ovvia: quale interesse avrebbe l’FBI nel designare una donna di colore di sessantasei anni, che ha vissuto tranquillamente a Cuba negli ultimi tre decenni e mezzo , come uno dei terroristi più pericolosi al mondo – condividendo lo spazio sulla lista con persone le cui azioni presunte hanno provocato attacchi militari in Iraq, Afghanistan e Siria?
Una parziale – forse anche determinante – risposta a questa domanda può essere scoperta nell’ampliamento della portata della definizione di “terrorismo”, nello spazio così come temporalmente. A seguito della indicazione da parte del governo sudafricano dell’apartheid di Nelson Mandela e dell’African National Congress come “terroristi”, il termine è stato abbondantemente applicato agli attivisti della liberazione nera negli Stati Uniti negli anni tra la fine dei ‘60 e i primi anni ‘70.
La retorica sulla legge e l’ordine del presidente Nixon ha comportato l’etichettatura di gruppi come il partito delle Pantere Nere come terroristi, e io stessa sono stata identificata in modo simile. Ma fu soltanto a partire da quando George W. Bush proclamò una guerra globale contro il terrorismo all’indomani dell’11 settembre 2001 che i terroristi sono venuti a rappresentare il nemico universale della “democrazia” occidentale. Coinvolgere retroattivamente Assata Shakur in un presunto complotto terroristico contemporaneo significa anche mettere coloro che hanno ereditato la sua eredità, e che si identificano con le lotte continue contro il razzismo e il capitalismo, sotto la cappa della “violenza terroristica”. Inoltre, l’anti-comunismo storico rivolta a Cuba, dove vive Assata, è stato pericolosamente articolato con l’anti-terrorismo. Il caso dei Cuban 5 è un primo esempio di questo.
Questo uso della guerra al terrorismo come un’ampia denominazione del progetto della democrazia occidentale del 21 ° secolo è servito come giustificazione del razzismo anti-islamico; ha ulteriormente legittimato l’occupazione israeliana della Palestina; ha ridefinito la repressione degli immigrati; e ha indirettamente portato alla militarizzazione dei dipartimenti di polizia locali in tutto il paese. I Dipartimenti di polizia – compresi quelli nei campus universitari e nei college – hanno acquisito surplus militare dalle guerre in Iraq e in Afghanistan attraverso l’ Excess Property Program del Dipartimento della Difesa. Così, in risposta alla recente uccisione da parte della polizia di Michael Brown, i manifestanti che sfidano la violenza della polizia razzista sono stati affrontati da agenti di polizia in uniforme mimetica, armati di armi da guerra, e alla guida di veicoli corazzati.
La risposta globale all’uccisione da parte della polizia di un adolescente nero in una piccola città del Midwest suggerisce una crescente consapevolezza sulla persistenza negli Stati Uniti del razzismo in un momento in cui si suppone che sia in declino. L’eredità di Assata rappresenta un mandato a sviluppare e intensificare le lotte antirazziste. Nella sua autobiografia pubblicata quest’anno, che evoca la tradizione radicale nera di lotta, ci chiede di “Portarla avanti/Tramandarla ai figli/Tramandarla.Portarla avanti…/verso la Libertà!”
“Carry it on. / Pass it down to the children. /Pass it down. Carry it on … / To Freedom!”
* il racial profiling consiste nella prassi di fermare e perquisire soggetti in base ad un profilo che comprende, come unico o fra altri elementi, il dato razziale. Più in generale ogni azione della polizia fondata sulla razza, l’etnia e non semplicemente sul comportamento individuale
ANGELA DAVIS
da The Guardian
traduzione di Maurizio Acerbo