Le condizioni sociali della classe operaia, così come le aspirazioni, le frustrazioni e le precarietà dei cosiddetti “colletti blu” costituiscono da tempo immemore il tema centrale di gran parte della produzione cinematografica mondiale. E, in tal senso, possiamo dire che Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà di Loach, che vedremo nelle sale a Natale, è davvero in buona compagnia. Certo, cambiano i punti di vista, i toni, i linguaggi, lo sguardo scenico, ma la working class ha sempre occupato un posto di prima grandezza sui 35 millimetri.
Si va così dalla metafora distopica scaturita dal genio visionario di Fritz Lang con il suo Metropolis (1927), fino alla feroce satira di Tempi Moderni (1936), con cui Charlie Chaplin mette in scena la progressiva alienazione del suo Charlot-operaio.
Capolavori a parte, il proletariato è protagonista di altri ottimi film. È il caso di Norma Rae di Martin Ritt (1979), con una Sally Field letteralmente da Oscar, e di We Want Sex di Nigel Cole (2010), la vera storia di operaie londinesi che lottano contro la discriminazione sessuale. E poi c’è lui, il celeberrimo Full Monty di Peter Cattaneo (1997), dove l’inventiva e la caparbietà di un gruppo di disoccupati di Sheffield ha la meglio sulle logiche della deindustrializzazione, della resa e della disperazione.
da Jimmy’s hall