Un’anima blues nata sotto il Vesuvio

06prima-varie-pino-daniele-3Quando scom­pare una stella che ci ha riscal­dato il cuore a lungo, ci sen­tiamo tutti addo­lo­rati e tri­sti. Non è solo la noti­zia improv­visa o l’eta ancora flo­rida o gli sma­glianti ultimi con­certi, Pino Daniele è stato un chi­tar­ri­sta e can­tante di gran­dis­simo suc­cesso, ma ha accom­pa­gnato tante sta­gioni felici della nostra musica, quasi da amico fra­terno, com­pa­gno di nume­rose gene­ra­zioni che hanno can­tato e bal­lato al ritmo dei suoi brani indi­men­ti­ca­bili.

Apparve alla fine degli anni ’70 come pro­to­tipo di nuovo figlio di Napoli, timido e scon­troso, con i piedi ben saldi nella tra­di­zione sonora cit­ta­dina e attento alle sug­ge­stioni che arri­va­vano dai ritmi afroa­me­ri­cani, dagli amati Wea­ther report e Miles Davis, dal rock e dalla new wave.

Da Terra mia a Nero a metà pas­sando per A me piace o blues, il con­certo a Piazza Ple­bi­scito nel 1981 davanti a 200 mila per­sone segnò la riscossa dei gio­vani metro­po­li­tani dopo il ter­re­moto, una testi­mo­nianza impor­tante dello spi­rito di entu­sia­smo di allora. La nascita di una nuova con­sa­pe­vo­lezza, cre­sciuta sulle ceneri dell’impegno poli­tico, in un periodo di esu­be­rante crea­ti­vità, pen­siamo a Rico­min­cio da tre, il film di Mas­simo Troisi, altro bro­ther appas­sio­nato, o Tango gla­ciale, lo spet­ta­colo tea­trale asso­lu­ta­mente geniale di Mario Mar­tone o il romanzo Un giorno e mezzo di Fabri­zia Ramon­dino e natu­ral­mente alla scena ribelle di Zezi, Sepe e vesu­wave, se non vogliamo citare Disoc­cu­pati Orga­niz­zati e Lucio Amelio.

«Je so pazzo e voglio essere chi vogl’io, e non sono meno­mato sono pure diplo­mato e la fac­cia nera l’ho dipinta per essere notato». Così Daniele sce­glie di vivere a Roma (anzi più pre­ci­sa­mente all’Olgiata) anche se la sua fonte d’ispirazione con­ti­nuerà a essere la capi­tale del mez­zo­giorno, attra­verso musi­ci­sti e amici (l’elenco dei col­la­bo­ra­tori è inter­mi­na­bile: James Senese, Enzo Avi­ta­bile, Tony Cer­cola, Tul­lio De Piscopo, Rino Zur­zolo, Erne­sto Vitolo, Joe Amo­ruso, Rosa­rio Ier­mano, Ago­stino Maran­golo) tut­ta­via rivol­gerà la sua atten­zione oltreo­ceano, ai blue­sman famosi e ai chi­tar­ri­sti ecce­zio­nali (da Richie Havens a Eric Clap­ton, Pat Metheny,Nana Vascon­ce­los), vene­rati come mae­stri. A Napoli tor­nerà spesso pole­mi­ca­mente, non rico­no­scendo più la sua citta deva­stata dai mali seco­lari ingi­gan­titi da immon­di­zia e camorra.

Da inna­mo­rato pazzo della chi­tarra pas­serà attra­verso sta­gioni di easy liste­ning e di assoli memo­ra­bili (come il duetto di un paio d’anni fa a Cava de Tireeni con Eric Clap­ton), con rigo­rosa disci­plina con­ti­nuava a stu­diare la sei corde e col web aveva aumen­tato la sua popo­la­rità, già enorme.
Il suo rap­porto con la città e con gli amici di un tempo è stato con­trad­dit­to­rio fino alle recenti riu­nion a Verona e in giro per lo sti­vale (così forse si spiega la scelta della com­me­mo­ra­zione pub­blica al Divino Amore e la sepol­tura in Toscana, il suo buen retiro ) alla noti­zia della sua scom­parsa, si puo rea­gire solo come fece lui stesso nel 1994 per Troisi. «Spero che sia tutto un errore. Spero che doma­ni­mat­tina mi sve­glio ed è stato tutto un brutto sogno». Dagli in fac­cia, Pino, amato fra­tello blues.

FLAVIANO DE LUCA

da il manifesto

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