La scissione di Livorno

Un estratto dal libro di Alessandro Natta “Serrati, vita e lettere di un rivoluzionario” Editori Riuniti

1920-01-21-livorno-congress-1Se si rileggono oggi la lettera del 27 agosto e l’appello del 22 settembre 1920 che il comitato esecutivo dell’Internazionale comunista rivolge al partito socialista e al proletariato italiano bisogna riconoscere che, una volta che siano state considerate valide le premesse, e cioè che in Italia come nel resto d’Europa si è in presenza di una situazione rivoluzionaria, che occorre non attendere, non accontentarsi della occupazione delle fabbriche, che bisogna organizzare e sviluppare senza esitazione la lotta, allora anche i suggerimenti, le richieste, per essere parte dell’Internazionale comunista, per avere solidarietà e sostegno, appaiono concreti e motivati. Se riconoscete, come riconosce anche Serrati, che ci sono le condizioni per una rivoluzione socialista; se volete far parte a questo fine dell’Internazionale comunista, allora dovete decidervi a fare del Psi un partito fortemente organizzato, omogeneo, compatto; dovete liberarlo dal condizionamento e dalla remora dei riformisti. Ma Serrati ha resistito ostinatamente a questa richiesta, che negli ultimi mesi del 1920 è divenuta la rivendicazione e il cavallo di battaglia di tutte le componenti «comuniste», da Bordiga a Gramsci a Graziadei. E nel momento in cui viene nella direzione messo in minoranza, dice di essere convinto che la maggioranza del partito sta con lui. In effetti a Livorno, nel gennaio del 1921, egli giunge con una maggioranza netta: 92.028 voti, contro i 58.783 dei comunisti e i 14.095 dei riformisti. (…)

Ma le formazioni raccolte nella «mozione Imola» appaiono ormai decise ad andare avanti, a seguire senza troppe sottigliezze interpretative la direttiva dell’Internazionale comunista. E ad un Serrati che non si decide ad escludere la minoranza riformista, rispondono con un gesto  risoluto, netto, di rottura: se ne vanno a dar vita finalmente a quel partito comunista che si ritiene necessario per preparare e dirigere la rivoluzione incombente.

Forse nemmeno i «comunisti» avevano progettato questo esito: altrimenti avrebbero preparato una sede più idonea di quello squallido teatro S.Marco, per fondare il nuovo partito. Forse anche loro avevano pensato e sperato che, messo alle strette, Serrati avrebbe infine compiuto l’atto liberatorio, estromettendo l’ala riformista.

Non è stato così: la lunga, paralizzante battaglia che avrebbe dovuto portare alla separazione, come in tutta l’Europa, tra comunisti e socialdemocratici si concluse invece, in modo paradossale, inedito con una rottura nel grande campo del «massimalismo», della sinistra socialista. Davvero un capolavoro. Se ne renderanno via via conto con sgomento, con preoccupazione e irritazione profonda verso Serrati, ma anche verso i giovani dirigenti del nuovo partito comunista, i dirigenti dell’Internazionale, a cominciare da Lenin, ed inizierà la faticosa ed ostinata tessitura di una ricomposizione.

Ma il guaio è ormai fatto. E non mi sembra che oggi si possa in una seria valutazione storica giustificare, e persino esaltare, come a lungo abbiamo fatto tutti noi, anche sulla traccia di Gramsci, quell’evento del 21 gennaio 1921 quasi si fosse trattato di un atto provvidenziale, di garanzia per una salvezza, per una riscossa nel futuro. Post hoc, propter hoc! Senza dubbio quel partito comunista diventerà una formidabile trincea di resistenza e di lotta contro il fascismo, divenuto un regime dittatoriale e bellicista, e riuscirà nel momento più tragico della nostra storia nazionale ad essere in prima linea tra le forze politiche che promuovono e guidano la lotta di liberazione e di rinascita dell’Italia. Ma ciò non toglie che Livomo sia stato un passaggio negativo; qualcosa che non ha certo agevolato la raccolta e l’organizzazione delle forze, la fiducia e la volontà di lotta nel campo dei rivoluzionari per il socialismo, ed anzi ha offerto qualche insperata possibilità agli avversari, ai leader della liberaldemocrazia, e soprattutto ai nemici ormai scatenati, a quei fascisti che, sotto l’insegna bugiarda di una rivoluzione, stanno portando avanti, anche con la forza delle armi, un attacco distruttivo al movimento operaio e allo Stato liberale.

Si possono avere molti dubbi sul valore di quella considerazione che tanti anni dopo Mussolini fa in una delle conversazioni con de Begnac: «Se Giacinto Menotti Serrati si fosse dichiarato [a Livorno] dalla parte degli scissionisti sarebbero stati guai per la nostra ascesa al potere».

Certo per Serrati si trattò di una sconfitta, ed anche per il movimento operaio italiano di un duro colpo.

Se ancora una volta ci chiediamo perché il Psi, dalla grande affermazione politica ed elettorale alla fine del 1919 giunge, all’inizio del 1921, a questo sbocco lacerante e negativo bisogna rispondere con schiettezza e semplicità che alla base c’è la fascinazione, il richiamo enorme della rivoluzione d’Ottobre, c’è la partecipazione attiva di grandimasse – riflesso certamente della guerra – alla vita pubblica con rivendicazioni avanzate di nuovi diritti sociali e civili che non riescono tuttavia a trovare sbocchi positivi; c’è il travaglio, la lotta interna, le incertezze dei tradizionali gruppi dirigenti liberali e democratici dello Stato; c’è il sommovimento che ha investito, nel primo dopoguerra, alcuni dei paesi europei – quelli, si badi, usciti sconfitti – dalla Germania, all’Austria, all’Ungheria.

Ma le analisi della situazione europea su cui ne1l’estate del 1920 si fondano la strategia, gli obiettivi, le parole d’ordine del II congresso dell’Internazionale comunista non rispondono correttamente alla realtà, e non aiutano a compiere una valutazione precisa, realistica nemmeno i giudizi dei singoli partiti, compreso il Psi. Lenin poteva anche avere interesse a prospettare un quadro generale aperto ad una prospettiva rivoluzionaria, e a stimolare in tutta l`Europa una forte iniziativa di lotta del movimento operaio. Ma in Italia, in Francia, inGermania era proprio vero che si continuava ad essere alla vigilia di una rivoluzione?

C’è da dubitare che Serrati ne fosse del tutto convinto. E Gramsci non ci ha forse lasciato testimonianza che già allora pensava fosse ben difficile in Italia una presa del potere secondo il modello sovietico? Solo che tutti subivano il fascino dell’Ottobre, l’autorità di Lenin, l’entusiasmo delle masse, ed uno voleva essere più rivoluzionario dell’altro, più comunista, più internazionalista, fino allo scontro, alla divisione, con due partiti che, all’indomani di Livorno, si trovano alle prese con il problema enorme della ridefinizione della propria identita; il Psi ancora a discutere sul rapporto tra riformisti e massimalisti e con la spina dell’appartenenza o no all’Internazionale comunista; il Pcd’I che è anch’esso un raggruppamento di ispirazioni e orientamenti molteplici e non tarderà a scoprire quanto sia diverso il comunismo di Bordiga da quello di Gramsci.

Dopo Livorno intanto la violenza fascista cresce e dilaga, e si manifestano anche provocazioni oscure ed allarmanti come l’attentato al Diana diMilano. Ma il contraccolpo politico più serio e tempestivo è quello che viene da Giolitti, che cerca di cogliere al balzo il momento di difficolta della sinistra e decide a marzo di sciogliere la Camera. Giolitti tenta chiaramente una rivincita sul 1919, pensando di poter ridurre drasticamente la rappresentanza socialista, ma costruisce nello stesso tempo un’operazione più sottile, imbarcando nel suo blocco liberale anche Mussolini con il proposito di riuscire poi a manovrarlo. Questo disegno, certamente ingegnoso, non riesce, da una parte perché Mussolini non si lascerà addomesticare dai tanti che cercheranno via via di usarlo per i loro fini, e nemmeno da Giolitti, e dall`altra perché quella sinistra divisa, travagliata e incerta possiede ancora una straordinaria base di consenso popolare.

Si vota il 15 maggio. Il Psi ottiene 125 seggi; il Pcd’I 16; il Ppi tiene anch’essomolto bene con 107 seggi. Nel «minestrone» liberaldemocratico conservatore, c’è anche la pattuglia di una ventina di fascisti. In sostanza il disegno di Giolitti non ha avuto successo, e a giugno egli finirà per rassegnare le dimissioni. Ma quel risultato è molto significativo anche per la sinistra: in primo luogo perché conferma in generale la consistenza e la fedeltà dell’elettorato socialista; in secondo luogo perché nella manifestazione degli elettori si ha la conferma di quella che era stata nelle assise di partito la volontà degli iscritti, con una maggioranza significativa per Serrati, per i massimalisti o comunisti unitari rispetto alla sinistra di Bordiga e Gramsci, e al Pcd’I.

A me pare che anche da questo episodio venga un motivo di riflessione per i vertici dell’Internazionale comunista, che nel 1920 avevano forse prestato troppo ascolto e fiducia alle previsioni e ai calcoli dei gruppi comunisti, in particolare quello bordighiano, che ritenevano di avere conquistato nel partito una maggioranza netta, schiacciante. Ed invece non era così. La posizione “centrista” di Serrati, con quella sottolineatura di autonomia nazionale, ma per quanto oscillante e contraddittoria certamente legata a fondo all’Internazionale, non piaceva a Mosca, non piaceva a Lenin anche perché diveniva un punto di riferimento o un alibi per i comunisti di altri paesi. E tuttavia i conti bisognava riprendere a farli con quel testardo di Serrati, e con le masse dei militanti e degli elettori che continuavano ad avere fiducia in lui e a seguirlo.

A marzo del ’21 una insurrezione armata in Germania, nella regione mineraria di Mansfeld, da parte di una grande massa di minatori, fallisce miseramente nel sangue, ed anche questa dura lezione avverte che le possibilità rivoluzionarie si stanno riducendo.

Così quando si apre il III congresso dell’Internazionale comunista, a giugno, già nella prima relazione, quella di Trockij, si afferma che la rivoluzione mondiale non è così imminente come si era pensato.

«Noi avevamo creduto, nel 1919, che non fosse questione che di mesi e ora diciamo che forse è questione di anni…».

È chiaro che siamo di fronte ad una correzione di rotta, determinata sia dalle condizioni interne della Russia – Lenin sta per lanciare la Nep – sia dai colpi subiti in Europa nei tentativi di promuovere dei moti rivoluzionari, e dalle difficolta incontrate nella costituzione dei nuovi partiti comunisti. Sarà ancora Lenin a ricordare che il partito bolscevico ha potuto condurre vittoriosamente una lotta rivoluzionaria nel 1917 perché era riuscito ad avere con sé la maggioranza del proletariato russo. L’esigenza prima, dunque, per i nuovi partiti comunisti che hanno preso vita nei diversi paesi europei è quella della conquista della maggioranza della classe operaia e dei ceti popolari.

Restano ferme, pertanto, le critiche e le condanne del centrismo serratiano, la pregiudiziale dell’espulsione dei riformisti, ma non si può certo esaurire l’impegno politico dei comunisti in Italia nella polemica e nell’attacco contro i socialisti. Ma se ufficialmente le posizioni sembrano ferme al momento di Livorno, bisogna cogliere alcuni segnali, che in qualche misura anticipano la svolta che l’Internazionale comunista compirà a dicembre del ’21: la polemica intanto dello stesso Lenin contro l’estremismo di Terracini, che continua a sostenere la teoria dell’offensiva, e il ponte che viene gettato per costruire un nuovo rapporto con il Psi verso la delegazione di Lazzari, Maffi e Riboldi.

Saranno questi a sostenere – nel nuovo congresso, il XVIII, del Psi ad ottobre – l’esigenza non solo di una riconferma della adesione del Psi all’Internazionale comunista, ma di una ripresa della collaborazione.

E il primo nucleo della frazione che si chiamerà più avanti dei “terzini”. Al congresso Maffi e Lazzari raccoglieranno 3.765 voti di fronte ai 47.628 di Serrati-Baratono, ai 19.916 dei riformisti e agli 8.080 dei centristi di Alessandri. Ma a dicembre l’Internazionale comunista compie una vera svolta lanciando la politica del fronte unico, della collaborazione non solo sul terreno sindacale ma anche politico con le forze socialdemocratiche, anche con l’altra Internazionale.

I comunisti, e non solo gli italiani, ma anche francesi e spagnoli, sono nettamente contrari. Terracini, senza quella “souplesse” che Lenin gli aveva raccomandato, spara contro quell’orientamento. Ora è il Pcd’I a trovarsi al limite della rottura con l’Internazionale comunista.

Se si legge La Lima, che è rimasta il settimanale del Psi sempre molto vicino a Serrati, appare con chiarezza che il legame di solidarietà e di amicizia con la Russia continua ad essere saldo e forte nelle campagne continue – a febbraio parte da Genova una nave di aiuti e a salutarla c’è anche Serrati – né vi è incrinatura nell’internazionalismo e nella fede socialista.

Certo anche nella provincia è scatenata la polemica, e non mancano gli attacchi cattivi, ingiusti alla persona di Serrati, che qualche comunista di Oneglia ha definito «un secondo Rabagas» dopo Orazio Raimondo.

E lui replica: «Si oltraggia la verità Sono entrato nel Psi nel giorno della sua fondazione; vi sono rimasto milite devotissimo e disciplinato, attraverso tutti i dolori, senza chiedergli nulla, neppure la più stupida medaglietta. Vi rimarrò fino alla morte. L’altro giorno ho compiuto allegramente i miei 49 anni, guardando con orgoglio al mio passato e al mio presente di refrattario e di bohemien e ridendo in barba a tutti gli scemi».

Non esita a ingaggiare la polemica con gli amici di ieri, ora comunisti, ma non risparmia nemmeno i suoi: «La Lima – scrive in una lettera del marzo ’22 – da qualche tempo è un giornale del più puro riformismo, che si rifiuta persino di pubblicare il pensiero della direzione»! Poi, dall’inizio dell’estate sulla Lima vengono infittendosi le note dolenti sugli assalti fascisti, e i preannunci amari della sconfitta; e in un crescendo di confusione e incertezza arrivano, infine, gli annunci febbrili di una mobilitazione delle forze, della resistenza, dello sciopero, del contrattacco, anche armato. Si attende l’ordine di un comitato segreto d’azione. Ma non ci sarà nessun ordine. E ad agosto, dopo che i fascisti hanno conquistato a Genova l’Ente portuale e a Milano palazzo Marino, La Lima scriverà: «È inutile dissimularlo, noi siamo battuti in pieno». Insomma, si dà già partita vinta al fascismo «sorto tra le simpatie e sotto gli auspici di tutte le gamme più svariate del padronato italiano». Dopo lo sforzo estremo dello sciopero di settembre, c’è la resa: se ne va dal comune l’amministrazione socialista, e La Lima conclude, con il numero del 30 settembre, la sua gloriosa esistenza. Siamo ormai alla vigilia della marcia su Roma. Ma quando il 28 ottobre Mussolini è chiamato dal re a fare il suo governo, Serrati non è in Italia. Si trova a Mosca; ancora una volta ad un congresso, il quarto, dell`Internazionale comunista.

Nella lettera di Serrati del 7 agosto 19222, che già ho ricordato, si poteva leggere la desolata confessione della disfatta. Nei primi tre giorni di agosto l’estremo tentativo dello sciopero «legalitario» si è risolto in un fallimento disastroso, per la pessima preparazione, per i perduranti contrasti nella sinistra, per la tiepidezza, quasi una presa di distanza, della Cgil, e per la reazione violenta, durissima delle squadre fasciste che hanno ovunque la meglio, anche se non sono mancate resistenze gloriose, come a Parma con Picelli.

Mussolini finisce cosi per apparire in quel momento come la sola via d’uscita dal disordine, dalla baraonda, dalla crisi troppo lunga e sempre più grave dei governi, da Giolitti a Bonomi all’insignificante e fiacco Facta: lo scrive in modo perentorio Albertini sul Corriere della Sera; lo dichiarano i dirigenti degli industriali e degli agrari; lo fa capire il Vaticano; sono in sostanza disponibili i liberali, i popolari, e la monarchia e più che pronta.

A questo esito catastrofico ha contribuito tutta la sinistra.

Serrati, che continua ad obbedire a quella sua idea fissa che il Psi non può assolutamente farsi coinvolgere in una politica di collaborazione governativa con la borghesia e finisce per bloccate anche Turati, che sarebbe disponibile ad una qualche intesa con i popolari, con Giolitti, per sbarrare la strada al fascismo, ma non ha nemmeno lui il coraggio di rompere, di portarsi dietro il gruppo parlamentare, quasi tutto d’accordo con lui. Così alla divisione, ormai inevitabile, giungeranno anche i socialisti,ma ormai troppo tardi, sia per l’intransigenza dei massimalisti sia per il collaborazionismo dei riformisti. A sua volta il Pcd’I ha avuto di mira soprattutto l’obiettivo della distruzione dalle fondamenta (come diceva Terracini) del Psi, e di Serrati innanzi tutto. L’lnternazionale comunista ha preso coscienza, nel 1922, che la prospettiva di una rivoluzione nei paesi europei si è allontanata, ed ha corretto la rotta, tentando un avvicinamento alle altre organizzazioni internazionali, quelle socialdemocratiche, e proponendo la linea del fronte unico, della collaborazione, sindacale e politica, con le altre componenti della sinistra, e quindi del recupero del Psi e di Serrati. Ma il Pcd’I, sotto la guida di Bordiga, non intende demordere; si oppone strenuamente alla nuova linea dell’Internazionale comunista; obbedisce, o finge di obbedire, per disciplina, ma continua poi con ostinazione sulla strada di un estremismo intransigente e solitario. Al congresso di Roma, a marzo, il contrasto esplode in modo netto. Il Pcd`I non accetta la linea del fronte unico, del governo operaio, e l’Internazionale comunista boccia le «tesi» su cui dovrebbe fondarsi la «sezione italiana». Si finisce con un compromesso, quello, cioè, di attribuire un valore «consultivo» alle «tesi» del Pcd’I e di accettare da parte di questo per disciplina l’orientamento di Mosca. Dopo di che continua lo scontro distruttivo con i socialisti, nella persuasione che in Italia si finirà per avere un qualche governo socialdemocratico o che in definitiva nemmeno Mussolini sarà la fine del mondo, e forse tanto peggio tanto meglio!

Bisogna riconoscere che la sconfitta se la sono meritata, tutti.

1) Giacinto Menotti Serrati nacque a Oneglia, come Natta, nel 1876, e morì nel 1926. Giornalista e dirigente socialista, nel 1914 sostituì Mussolini come direttore dell’Avanti! Dal 1918 fu a capo della frazionemassimalista e divenne ilmassimo dirigente del Psi. Pur vicino alle posizioni dell’Internazionale comunista, combatté la “scissione di Livorno” da cui nacque il Partito comunista d’Italia, ritenendo prioritario tentare di salvaguardare le ragioni dell’unità del partito. Aderì al PcdI nel 1924, anno in cui si affermò la direzione di Gramsci.

2) La lettera di Serrati al fratello Lucio di cui si parla nel testo:

«Roma 7, VIII. 22.

Carissimo, dopo le dure giornate milanesi sono venuto a Roma per le riunioni della Direzione. Si aspetta che da un giorno all’altro anche Roma sia invasa. Se ne parla come di cosa normale. Gli animi vi si preparano. E circolano già per le strade i primi elementi della calata dei lanzi. L’on.le Lanfranceni è già giunto ed ha fatto la sua apparizione alla Camera in camicia nera! A Milano le condizioni deIl’Avanti! sono gravi perché il danno è ingente e ci vorrà forse del tempo prima che l’assicurazione paghi.Abbiamo però salvato tutto ilmacchinario, grazie alla buona difesa preparata e fatta.

Avrai visto che sono stati fatti i bandi da Milano.

Vi sono settanta persone. Io non sono compreso. A me si riserva altra sorte. Lo so perché me lo hanno fatto sapere. Spero che non ci riescano. Spero anzi che il tempo mi dia ancora una volta ragione e che questa povera gente d’Italia che oggi si piega al randello che la percuote, un giorno saprà apprezzare tutta la grande nobiltà dei nostri atteggiamenti e la fede che li ispirava. Verranno per le masse giorni molto tristi. Chi di noi resterà dovrà rifare il Partito. Dargli più rigidezza. Farlo meno abile e più nobile. Irrigidirlo in una posizione di lotta, ostinata, irriducibile, continua. Senza illusioni di nessuna sorte, senza preoccupazioni immediate, con più coscienza delle finalità,E dopo i giorni tristi—se sapremo fate, se sapremo tenere tutti i compagni buoni e fidati e tenere lontani gli infidi – verranno i giorni più lieti: verranno le nostre nuove vittorie e le definitive. Ne ho fede più oggi di ieri. Ne ho fede oggi, perché tutto l’oggi è una grande conferma della nostra dottrina. Bacia,caro Lucio, la santa Mamma nostra per me; bacia le sorelle e i fratelli, saluta col vecchio, antico affetto i compagni e tu abbimi sempre, con un abbraccio. Il tuo Menotti.».

ALESSANDRO NATTA

(in Alessandro Natta, Serrati. Vita e lettere di un rivoluzionario, Roma, Editori Riuniti, 2001, pp. 329-330).

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