Atene. 600 ex dipendenti della radio-tv di Stato trasmettono da venti mesi su frequenze occupate, dal palazzo di fronte alla vecchia sede. Ora chiedono al governo di chiudere la rete filo-Samaras e di riaprire l’Ert
Aghia Paraskevi, Santa Venerdì, ore 12 del mattino. Andreas Papastamathiou si sistema nello studio radiofonico e sta per infilare la cuffia. Fuori di lì, molti greci sono pronti a sintonizzarsi sui 91,8 Mhz clandestini di Ert Open per ascoltare Relativo assoluto, un’ora di commenti semiseri sui fatti politici della giornata. Fino a venti mesi fa, la trasmissione andava in onda sulla radio di Stato, di cui Papastamathiou era uno degli speaker di punta. Oggi è un pirata dell’etere, come tutti i giorni al lavoro nonostante il governo Samaras gli abbia staccato la spina, pronto a trasmettere dal palazzo di fronte alla vecchia sede della radio-tv pubblica.
Tra le resistenze sociali della Grecia ai tempi dell’austerità, dove farmacie e ambulatori autorganizzati suppliscono alla mancanza di assistenza sanitaria e nelle mense del mutuo soccorso chiunque può trovare un pasto caldo, quella delle antenne è di sicuro la più conflittuale.
Ad Agia Paraskevi, Santa Venerdì, periferia est di Atene, incrociano le onde come sciabole invisibili, da un lato all’altro della strada, la nuova Nerit voluta da Samaras e gli esodati dell’Ert, che hanno occupato un paio di frequenze radiofoniche e la terza rete televisiva, hanno provocatoriamente mantenuto il nome della vecchia azienda statale e, incuranti di minacce e denunce, hanno continuato a lavorare in autogestione, a stipendio zero e con il solo aiuto del sindacato, in attesa che la situazione si capovolga e il nuovo governo Tsipras, come promesso in campagna elettorale, azzeri tutto ancora una volta e ricostruisca un polo informativo pubblico che abbia come bandiere quelle dell’autonomia e della qualità.
Sono andati avanti per quasi venti mesi, quanti ne sono passati da quella mattina del 18 giugno 2013 in cui, alle 4, la polizia antisommossa intervenne a chiudere e sgomberare l’edificio da cui trasmetteva l’Ert, con un’operazione degna di un colpo di Stato legittimata dai funzionari della troika in nome dei conti in regola. Ora scalpitano in attesa di risposte da parte di Tsipras. A molti di loro sarebbe piaciuto che il giorno dopo il voto il governo annunciasse la chiusura della ex tv di regime e li facesse rientrare in quel posto di lavoro che gli è stato scippato. Sarebbe stato un segnale simbolicamente forte, non è andata così e Andreas Papastathimiou, a pochi minuti dalla diretta pirata di Relativo assoluto, fa esercizio di realismo: «Non possiamo guardare solo a noi. Questo governo ha di fronte a sé un compito immane, le cose da fare sono così tante che se ne riuscisse a realizzare almeno la metà sarebbe già un successo. Certo, ci sarebbe stato un modo più veloce per rimettere a posto le cose anche qui. Ma credo che ci vorranno almeno un paio di mesi».
Un’altra verità
Negli uffici della Ert Open si vive come in trincea. Dalle finestre si osserva chi entra e chi esce dall’ingresso principale della Nerit e quasi si incrociano gli sguardi dei colleghi che hanno accettato di entrare nella tv filo-governativa di Samaras pur sapendo che avrebbero lavorato sotto il ricatto di un contratto in perenne scadenza, per quattro soldi e senza alcuna libertà.
Panaiotis Kalfagiannis è seduto alla scrivania del suo ufficio. Alla Ert era responsabile tecnico-amministrativo e, da sindacalista, conosce bene vizi e virtù della vecchia azienda di Stato. La storia che racconta non è quella che è stata data in pasto all’opinione pubblica greca e propagandata al mondo intero. Innanzitutto desidera sfatare una certezza data per assolut: «Non è vero che la società era in perdita». Anzi, «grazie al fatto che nel 2009 avevamo accettato di autoridurci della metà gli stipendi, di rinunciare a quattro milioni di arretrati e di prendere appena nove euro di rimborso per i servizi esterni, nonché di tagliare le consulenze milionarie che avevano fatto indebitare la società, già nel 2011 l’Ert aveva ripagato i debiti ed era tornata in attivo». La verità, spiega, è che «Samaras ha utilizzato gli ottanta milioni di attivo per aprire la Nerit», una struttura più leggera, con un terzo del personale rispetto a quello della vecchia tv di Stato, pagato decisamente meno e assunto con contratti a termine che vengono rinnovati ogni due mesi.
Nella vecchia azienda lavoravano 2650 persone, 300 delle quali precarie, con stipendi discreti. Kalfagiannis, ad esempio, dopo 17 anni di servizio guadagnava 2100 euro al mese. L’indebitamento risale al periodo della «Grecia da bere», tra il 2004 e il 2009: l’epoca delle assunzioni clientelari, delle consulenze superpagate e delle megaproduzioni esterne. «Nea Democratia ha cominciato a gonfiare gli organici a dismisura, presero 120 consulenti con contratti da 80 mila euro l’anno, facevano entrare persone con contratti a termine da 35 mila euro, si spendevano 100 mila euro l’anno per produzioni esterne affidate agli amici degli amici, uno spreco enorme», racconta Kalfagiannis. Quando arrivò la crisi economica, il risveglio fu brusco. «Abbiamo accettato di tutto: niente arretrati, stop ai rimborsi, stipendi dimezzati. Il mio, ad esempio, è stato tagliato a 1250 euro».
Con questa cura da cavallo l’Ert era tornata in attivo: «Era l’unica azienda a pagare le tasse, visto che alle altre ogni anno vengono condonati per legge i debiti e spesso non pagano neppure i contributi ai dipendenti», dice ancora Kalfagiannis. Insomma, con una gestione oculata avrebbe potuto andare avanti senza grandi problemi. Ma i funzionari della troika, arrivati ad Atene con il compito di tagliare la spesa pubblica senza troppi fronzoli, hanno deciso di affidare le pecore (i lavoratori) proprio al lupo che voleva sbranarle (il governo delle larghe intese Nea Democratia-Pasok). E così proprio chi aveva fatto a pezzi la tv pubblica è diventato il risanatore. Risultato? «Hanno preso i soldi che c’erano in cassa al momento della chiusura e li hanno utilizzati per fare questa schifezza», afferma Kalfagiannis indicando il palazzo su cui svetta la scritta Nerit. Solo il canone è stato leggermente ridotto: tre euro al mese invece dei quattro che si pagavano ai tempi dell’Ert, inserito nelle bollette della luce. Il giudizio del sindacalista è netto: «Quello di Samaras è stato il governo più autoritario e fascista dal tempo dei colonnelli, ma per loro la chiusura dell’Ert è stato l’inizio della fine». Paradossalmente, spegnere l’informazione ha avuto l’effetto di accendere le coscienze dei cittadini.
«Parliamo della società»
Ora le parti dovrebbero ribaltarsi. Alla Ert Open hanno tenuto duro per un anno e mezzo, rifiutando persino l’assegno di mobilità, che avrebbe garantito loro per un anno il 75 per cento dello stipendio, perché loro si sentono ancora dipendenti pubblici e non riconoscono il licenziamento di massa firmato Samaras. Ma non si accontentano di un semplice ritorno al passato. L’esperienza dell’autogestione, la solidarietà ricevuta dall’opinione pubblica, dai movimenti organizzati e dai politici oggi al governo, il fatto di aver costituito la voce della resistenza contro chi stava sfasciando la Grecia hanno trasformato innanzitutto loro stessi, che ora pretendono un cambiamento radicale nel modo di fare informazione pubblica. «Mi aspetto un’Ert con una maggiore apertura alla società, lo spazio nei programmi dovrà essere stabilito per legge, senza bisogno di dover rivendicarlo in continuazione».
Quello che è germogliato dalle macerie della vecchia tv è un progetto di autogestione che ora gli ex dipendenti vogliono trasferire nella nuova azienda pubblica. Una parte dei licenziati della Ert, circa 600 tra giornalisti e tecnici, hanno riaperto gli studi, utilizzando le proprie buonuscite, incrociando le antenne con quelle dello Stato, che nel frattempo le aveva privatizzate regalandole ai boss dei media privati, imprenditori con affari soprattutto nell’edilizia e in stretti rapporti con l’amministrazione pubblica, e gli sguardi con quelli dei 900 colleghi assunti ex novo o che avevano accettato di rientrare nell’azienda di Stato ricostruita, con contratti rinnovati di due mesi in due mesi, salari ultraridotti (dai 1000 euro, massimo 1200, per i giornalisti, fatta eccezione per le grandi firme, ai 600 per gli amministrativi e i tecnici) e costretti a fare da megafono al governo.
Gli uffici della Ert Open sono tappezzati di immagini della loro resistenza. Da queste parti è passato tutto il nuovo governo: si vede Tsipras arringare la folla nel giorno della chiusura, la neopresidente del Parlamento Zoe Konstantopoulou è immortalata con il pugno chiuso, ci sono il ministro dell’Interno Nikos Voutsis e la Governatrice dell’Attica Rena Dourou, ministri e sottosegretari, persino il vulcanico Panos Kammenos, leader dei Greci Indipendenti (Anel) e oggi titolare della Difesa nella strana alleanza con Syriza. Uno scatto ritrae un sorridente Daniel Cohn Bendit in versione tardosessantottina. A manifestare con i lavoratori dell’Ert sono stati tutti i movimenti di resistenza all’austerity e loro hanno ricambiato diventando il megafono dell’opposizione sociale ai governi della troika, dando voce alle vittime della crisi, agli sfrattati, alle persone licenziate e rimaste senza protezione. Sono stati un anello del processo di trasformazione che si andava consolidando nel Paese e che ha portato all’exploit di Syriza. «Abbiamo trasmesso per strada, cambiato le forme di lotta e rinnovato il modo di fare sindacato. Sembrava una battaglia persa e invece l’abbiamo vinta», dice soddisfatto Kalfagiannis. Non che non ci siano stati momenti di tensione: la polizia è intervenuta anche violentemente, il sindacalista è ritratto mentre lo portano via in manette il giorno dello sgombero, ma alla fine «sono stati frenati dalla solidarietà generale che abbiamo ricevuto» e hanno dovuto fare buon viso a cattivo gioco, accettando che l’Ert Open trasmettesse in concorrenza con lo Stato.
Su una parete sono raffigurati, come in una guerra, i caduti della tv pubblica. Sono diciassette, tra questi una giornalista volata dal terzo piano della sede di Salonicco, un altro morto di infarto nel palazzo di Agia Paraskevi, Santa Venerdì, alla vigilia del licenziamento, un altro ancora al quale è preso un colpo quando sono andati a sequestrargli l’abitazione, e così via mentre al mondo veniva fatto credere che la tv di Stato greca era un carrozzone obsoleto, insostenibile dal punto di vista economico.
Il vecchio e il nuovo
Prima della chiusura, l’Ert poteva contare su tre reti nazionali, un canale satellitare, sette radio e due orchestre: una di musica classica e un’altra di musica leggera, che impiegavano in totale trecento musicisti. Aveva diciannove sedi regionali, 35 antenne di trasmissione e gestiva un archivio nazionale della storia della tv, dei media e del cinema, qualcosa di simile al nostro Istituto Luce. Inoltre, gli operatori della tv pubblica filmavano tutti gli avvenimenti ufficiali (conferenze stampa, avvenimenti politici e religiosi) e le immagini venivano distribuite ai canali privati, che in questo modo risparmaviano sui costi delle troupe. Oggi la Nerit occupa solo una parte degli edifici dell’ex Ert, impiega un terzo del personale, che è stato posto alle dipendenze del ministero delle Finanze, e non gestisce la diffusione, affidata a prezzi di saldo alla rete delle tv private. Produce solo i telegiornali, ha un canale televisivo e un altro su satellite che trasmette solo programmi degli archivi. I canali radio sono affidati a società private che si occupano della produzione, con contratti rinnovati di mese in mese.
L’Open Ert autogestita, invece, ha quattro canali radio (uno politico, uno di intrattenimeno, un altro di cultura e l’ultimo di sport che la domenica diffonde una sorta di Tutto il calcio minuto per minuto, con collegamenti da tutti gli stadi) che diffondono in maniera illegale, mentre nella sede di Salonicco hanno gli studi televisivi: la vecchia terza rete occupata è visibile in tutto il nord della Grecia e copre il 68 per cento del territorio nazionale.
Syriza in campagna elettorale ha annunciato una legge per chiudere la Nerit e riaprire l’Ert, riassumendo il personale licenziato, con l’intenzione di sperimentare l’autogestione dei giornalisti, un inedito in un’azienda di Stato. Per gli ex lavoratori dell’Ert dare libertà assoluta assoluta ai giornalisti garantirebbe un’informazione realmente indipendente, slegata da interessi politici ed economici. «Vogliamo che il governo rimetta in funzione una tv realmente pubblica, in relazione con il popolo, che possa offrire informazione, intrattenimento e soprattutto cultura», dice Kalfagiannis. Alla Ert Open si aspettano che Tsipras ora rompa davvero, come ha sostenuto in campagna elettorale, quel nesso di interessi forti tra mondo degli affari, politica e media che ha stretto in una morsa di corruzione il Paese. «La nuova Ert dovrà avere maggiori responsabilità verso il pubblico e minori nei confronti dello Stato», si congeda con un sorriso Papastathimiou. Poi infila le cuffie e parte il suo programma: «Good morning Grecia».
ANGELO MASTRANDREA
da il manifesto