Intervista. Parla lo storico del colonialismo sul ruolo dell’Italia nella crisi libica. «L’affermazione del ministro Gentiloni, “Siamo pronti a combattere” e la dimenticanza sulle nostre colpe nel disastro libico, mostrano il vuoto della diplomazia. Va coinvolto subito Romano Prodi»
Abbiamo rivolto alcune domande sull’attuale crisi libica ad Angelo Del Boca, storico del colonialimso italiano, della Libia e autore di molti saggi sulla figura di Gheddafi (compresa una importante monografia, riedita in questi giorni in una versione più completa da Laterza).
Come giudichi l’affermazione del ministro degli esteri Paolo Gentiloni: «Siamo pronti a combattere in Libia…», perché «è uno Stato fallito», sembra spiegare Matteo Renzi?
È una dichiarazione irresponsabile e imprudente. Perché mette l’accento (salvo marginalmente chiarire il solito riferimento all’«egida Onu») proprio ad un intervento militare dell’Italia che non siamo in grado di fare. Perché un conto è attivare una guerra aerea come abbiamo fatto nel 2011, un altro combattere con truppe di terra. È una dichiarazione gravissima, perché siamo spinti dentro uno scenario di guerra per il quale siamo inadatti. Basterebbe che i nostri governanti incapaci studiassero un po’ la storia, per scoprire le tante sconfitte libiche che abbiamo subito. Altro che inviare 5mila uomini come ha evocato la ministra della difesa Pinotti. Da inviare contro chi? Su quale fronte?
Renzi, che relazionerà su questo giovedì in Parlamento, sembra ora frenare e parla di «soluzione politica». Ma è chiaro che, dopo il sì in patria di Berlusconi, lavora ad una «coalizione di volenterosi». Ma la situazione sembra precipitare: l’Egitto del generale golpista Al Sisi, bypassando l’Italia, ieri notte ha bombardato le basi dell’Is a Derna; e ieri mattina la Francia ha chiesto la riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu…
È nello stile di Renzi che vuole giocare su due tavoli. Il primo è quello da «protagonista», di una missione militare a guida italiana. Una cosa mai sentita, almeno nel dopoguerra. L’altro è più prudente, viste le difficoltà reali di una tale enormità. Insomma: vabbè, lo facciamo con l’Onu. Che è un atteggiamento più moderato e più spendibile. Soprattutto di fronte all’atteggiamento del Cairo.
Ieri notte l’aviazione egiziana ha bombardato le postazioni dello Stato islamico a Derna. Quali reazioni provoca in Libia l’entrata in campo dell’Egitto con l’offensiva militare del generale-presidente Al Sisi? E qual è la situazione politica interna al fronte libico, diviso e frammentato?
L’iniziativa militare egiziana è rilevante, anche se va ricordato che è iniziata da tempo, infatti aveva già bombardato nei giorni scorsi Bengasi. Di fatto il nuovo regime del Cairo appoggia il governo libico in esilio di Tobruk che fa riferimento al generale Khalifa Haftar e al suo esercito. Haftar combatte già a Bengasi contro i jihadisti e sta riabilitando esponenti del regime di Gheddafi. E Al Sisi deve dare una prova di forza perché se non difende quel confine e il Sinai, per lui è finita. Il fatto è che dentro la Libia a cominciare da Tripoli, di alleati di Al Sisi non se ne vedono, Tripoli è persa. Anche perché il governo legittimo libico, eletto da elezioni suffragate dagli osservatori internazionali, è nelle mani della coalizione Al Fajr (Alba), formazione che va dai Fratelli musulmani alla milizia Scudo di Misurata. Come si ricorderà nel 2013 il generale Al Sisi ha deposto il presidente Morsi, massacrato e messo fuori legge i Fratelli musulmani. E ora le milizie del Califfato puntano alla conquista di Misurata, governata appunto dalle stesse forze di Tripoli.
Non ti sembra che, anche stavolta, venga taciuto l’interesse italiano, ormai decisivo, riguardo alle nostre fonti di approvvigionamento energetico?
Questo aspetto invece è fondamentale. Ma Renzi lo tace, anche perché la situazione dell’Eni in questo momento è pasticciata e ingestibile. Dopo gli scandali legati all’Algeria e soprattutto per la crisi in Ucraina che, alla fine, ha sostanzialmente penalizzato l’Unione europea e in particolare l’Italia, visto il disastro della cancellazione del South Stream, il fondamentale mega-progetto di gasdotto europeo. Secondo me in questa fase — e non solo per l’insicurezza derivata dalla guerra per bande ma anche per il mercato stornato verso altri lidi -, l’Eni non è in grado di estrarre nemmeno un litro di petrolio dai giacimenti libici.
Come mai tanta arroganza e miopia del governo italiano in questa fase della crisi mondiale?
È perché, in modo scellerato, manca una politica estera, una vera diplomazia italiana. Renzi dice che la Libia è uno «Stato fallito». E chi l’ha fatto fallire se non la guerra del 2011 voluta a tutti i costi dalla Francia di Sarkozy? Dimenticano che con quella guerra fuggirono milioni di lavoratori migranti e di libici, dei quali ora un milione è in Egitto e 600mila in Tunisia. Voglio ricordare che quando gli aerei della Nato bombardavano la Libia nel marzo del 2011, io ammonivo «la Libia diventerà una nuova Somalia». È quello che è accaduto. Ora va coinvolto, in una funzione di mediazione internazionale l’alta personalità di Romano Prodi, già inviato speciale nel Sahel dell’Onu, che ha espresso più volte la sua contrarietà alla soluzione militare, e che è visto come interlocutore anche dalle attuali autorità di Tripoli. Subito, prima che sia troppo tardi.
TOMMASO DI FRANCESCO
da il manifesto